La Sontuosa Tavolozza del Pittore Paolo Polimeno

A quindici anni dalla scomparsa, un sentito ricordo del maestro originario di Reggio Calabria, incontrato a Parigi dove aveva fatto la sua fortuna artistica

di Roberto Messina

Paolo Polimeno nel suo atelier parigino
e nell’appartamento
di rue Spontini

A ottantotto anni portati benissimo, tre lustri fa, è andato via per sempre Paolo Polimeno, pittore originario di Reggio Calabria, trapiantato a Parigi dal 1940, tra i maggiori artisti italiani della ville lumière.

Figlio di coltivatori di bergamotto, emigrato giovanissimo a Torino dove finisce la scuola industriale, appena può parte senza indugi per la capitale francese, in cerca di fortuna, di slancio e di poesia. Non lo attendono, però, tempi facili… tutt’altro. Fatica e indigenza, saranno suoi scomodi compagni di viaggio, e per lunghi anni e duri inverni. Ma riuscirà a frequentare la scuola di Belle Arti e gli ambienti creativi della città, cominciando con ciò a dipingere e a respirare l’aria buona e frizzante di Montmartre, con il sacro fuoco dell’arte che lo possiederà da lì a poco, interamente.

Nella sua mansarda al 12 di rue de Tocqueville, tra il Plaine de Monceaux e Batignolles, nel XVII arrondissement, poco dietro l’ex residenza privata del profumiere Guerlain, nello stile eclettico dell’architetto Paul Selmersheim, sta davvero in un pezzo di autentica bohème, con gli abbaini a dare luce giusta per poter lavorare, e con all’orizzonte l’impagabile cartolina dei tetti parigini. Qui, Polimeno lavora sodo e senza sosta, e via via i suoi quadri si accumulano appesi ai muri e poggiati alle pareti, impilati dietro le porte, accatastati accanto al divano e fin sotto il letto. Dappertutto. Lui cerca di cavarsela nei momenti duri, come mi dirà nel corso di un incontro: “mangiando solo patate, e con la testa che alla sera era letteralmente ubriaca di vernici e colori. Quando i soldi non bastavano per comprare tele e oli – specificandomelo con tono drammatico, ma anche nostalgico – dipingevo senza dipingere, e gli occhi e la mente mi servivano da mani”.

Una sfavillante
“Tour Eiffel”
nello stile di Polimeno

La gavetta è pesante, ma non sufficientemente per farlo indietreggiare. Come Pisarro, Monet, Guillaumin e Renoir, conoscerà giorni neri, di miseria e solitudine. Ma non si arrenderà. I primi risultati attendono Polimeno, prontamente ribattezzato dai francesi “Polì”, negli anni ’50, con le importanti mostre alla galleria du Faubourg Saint Honoré, al Salone d’Arte Moderna, alla galleria Bernheim. Negli anni ’60 conquista il Grand Prix d’Art di Parigi, una svolta. Nascono allora le sue robuste amicizie, tra cui quella con la famiglia De Gaulle e la signora Mendès France, moglie del primo ministro francese. Lungo la Senna, cominciano a trovare intanto successo i suoi colleghi, quelli del calibro di Severini, Campigli, Fontana, Cremonini.

Nel ’74 viene invitato alla galleria “Des Ponchettes” di Nizza (la stessa di Dufy, Chagall e Cocteau) consolidando la sua ascesa. Dopo una quindicina d’anni sulla cresta dell’onda, Polimeno improvvisamente arretra, si tira fuori dal giro: “troppa gente che ruota intorno all’arte – dirà – troppo mercato, troppi soldi. E tanti amatori disposti a pagare, pur di esporre e potersi atteggiare ad artisti”. Trova ancora piacere a lavorare, ma in Oriente, in Giappone, dove sarà ancora un successo.

La magnifica tavolozza
dei “Fiori di cardo” (1993)

Qualche anno fa ho avuto la gioia di incontrare Paolo (anche Paul) Polimeno nel suo appartamento di rue Spontini, nel XVI arrondissement, quartiere elegante e aristocratico, limitrofo al parco Monceau, celebre ritrovo degli impressionisti, dove pare s’aggirino ancora gli spiriti inquieti di Degas e Toulouse-Lautrec. Mi avevano colpito la sua eleganza, la sua energia, i suoi modi cortesi, lo sguardo penetrante e acuto, il viso impresso dalla fisiognomica calabrese indiscutibile, incastonato in una rastrelliera di foltissimi capelli bruni,: una sorta di marchio d’origine, anche se un quarantennio di “douce France” ne aveva modellato i tratti aggiungendo più d’una nuance.

Avevo potuto ammirare diversi suoi quadri. Tutti sorprendenti per l’esuberanza dei colori, la festa multiforme di una tavolozza davvero sontuosa, in cui sfumature bizantine si alternavano a sontuosità barocche; e poi, ambre romantiche a divampanti arancioni, rossi, gialli, usati come altrettanti lampi e fuochi d’artificio. Polimeno è stato un pittore, per così dire, dalla “doppia anima”. Una primaria: figurativa, classica, che rappresenta volti, monumenti, fiori, battelli e “péniches” fluttuanti sulla Senna. La seconda: avveniristica, dai toni metafisici, che fa uso di astrazioni geometriche da science-fiction, dove invece è tutta un’esplosione di dischi, eliche, e soprattutto sfere, una sua specificità.

Tutto ciò, va precisato, dipinto senza pennelli. Sì. Perché la spatola è stato uno dei segreti di Polimeno, con le sue tele fatte così: niente pennellate, niente tracce di disegno, ma veloci colpi di spatola che quasi “scolpiscono” la tela. Nel “Dictionnaire des peintres” (Bénézit, éditions Gründ, 1999) l’artista viene definito come: “Peintre de compositions à personnages, sujets religieux, paysages urbains, marines. Tendance abstraite. Il peignit d’abord au couteau des œuvres semi-abstraites, semi-figuratives, avant de réaliser des sphères magnétiques quand sa peinture prend une tournure nettement géométrique, mais aussi métaphysique”. Si precisa, poi, che l’artista è alla ricerca di ciò che lui stesso chiama “Quinta dimensione”: una pittura che per effetto ottico si ritrova come riflessa e immersa negli occhi di chi la guarda. Un bel giudizio. E fondato.

Locandine di mostre di Polimeno a Parigi e Nizza

Se di Michelangelo si è detto che “scolpiva dipingendo”, si potrebbe infatti sostenere che Polimeno “dipingeva scolpendo”. Ed è per questa ragione, anche, che i suoi quadri effettivamente “vibrano”. Perché il colore riesce a diventa materia che si accumula in strati successivi, cambiando tono con l’aumentare dello spessore e acquistando una sorta di rilievo plastico ultra-dimensionale. Ciò che ne vien fuori, è allora un’inedita potenza espressiva; una traccia figurativa che pare uscire dal quadro e dalla cornice, balzando appunto dritta e immediata davanti agli occhi dello spettatore, quasi non fosse un dipinto, ma un bassorilievo su tela. Ed è detto tutto.

Come ha avuto modo di chiarire il professore Riccardo Guerrieri, corregionale di Polimeno a Parigi, suo critico e anche suo amico dai tempi in cui l’artista frequentava il bel mondo italiano nella capitale francese (oltre che la Liguria, dove aveva un altro suo atelier a Uscio, in provincia di Genova) e in particolare quello del buon vestire, cui teneva molto (a cominciare dal mitico negozio di scarpe di Talbinio Berluti, assoluta eccellenza mondiale rilevata nel 1993 dal gruppo LVMH di Antoine Arnaud, in cui si sono affermati top manager italiani come Pietro Beccari e Andrea Guerra; e sempre da Berluti, nel negozio principale di rue Marbeuf 26, attiguo agli Champs-Elysées dove è passato il jet-set di tutto il mondo, tutt’ora sede principale dell’azienda, l’amicizia con la celebre costumista Olga Squeri Berluti, vincitrice del David di Donatello nel 1995 per il film “Farinetti”) Polimeno si è considerato egli stesso come un semplice “strumento” della spatola, dei colori e della tela con i quali si è specchiato. “E’ la pittura la sua Musa, che realizza attraverso lui le opere, e come diceva Proust: ‘la couleur pour le peintre est une question non de technique, mais de vision et le créateur puise dans les couleurs qu’il vient de trouver une joie éperdue qui lui donne la puissance de découvrir’”.

Due temi molto cari a Polimeno:
“Fiori di iris” (1996) e
“Battelli fluttuanti” (1993)

“La sua – spiega Guerrieri – è una pittura non figurativa, ma neppure tanto astratta. Il ricorso, dopo qualche decennio, alle sfere un po’ dappertutto nelle sue opere, non riguarda solo una dimensione ottica essenziale per influenzare lo sguardo e la percezione dell’immagine, ma ugualmente l’approccio ai segreti della spirale che noi dobbiamo, in due dimensioni, cessare di progettare. L’universo e la coscienza umana sono un continuum dinamico che gira e torna indefinitamente verso il proprio centro. Ecco, allora, la migliore produzione di Polimeno inverarsi quando egli arriva a realizzare nelle sue tele il vortice sferico che gira perpetuo su se stesso, dilatandosi e contraendosi, che ha un centro e una circonferenza intercambiabili, e che non ha né inizio né fine”.

Come ben sottolinea ancora Guerrieri, Polimeno, pure di gran talento, è però sovente mancato all’appuntamento con gli editori e i mercanti d’arte, quasi l’avesse fatto apposta: “e con un’abilità sconcertante per chi non fosse abituato alle biografie di questi uomini eccentrici la cui diversità si traduce nell’originalità dell’opera e che contribuiscono a mettere a nostra disposizione tanti “mondi…più diversi gli uni dagli altri di quelli che ruotano nell’infinito”. Generoso e cordiale, non ha mai frenato il carattere ribelle, le sue maniere a volte brusche, il suo desiderio di indipendenza, di purezza e di solitudine ispirata nella sua turris eburnea, tra le sue tele, le sue sfere, i suoi colori.

Il manifesto del film con De Funes e Montagnani
e la locandina di Polimeno ripresa
in una scena

Una curiosità: il momento di popolarità per Polimeno da una scena del film comico franco-italiano “Le folli avventure di Rabbi Jacob”, diretto da Gèrard Oury nel 1973, con le strepitose musiche di Vladimir Cosma, che ebbe grande successo in Francia (recentemente restaurato e riproposto in un prestigioso cofanetto), con le battute surreali e scoppiettanti dei mitici Louis de Funes e Renzo Montagnani, girata all’aeroporto di Orly, in cui i protagonisti dialogano davanti ad una parete con affissa la locandina di una sua mostra a Jouy-en-Josas.

Per saperne di più:

Guerrieri R., “Polimeno, pittore d’avanguardia”, Nuovi Orizzonti Emigrazione, Paris n. 121, gen-feb1987, p. 5

Guerrieri R., “Le peintre Polimeno au pays du Soleil Levant”, Nuovi Orizzonti Europa (Revue bimestrielle éditée par le C.I.E.M.I.), Paris, n.238, sett/ott 2001, pp. 32-33

Guerrieri R., “P. Polimeno, peintre italien entre la France et le Japon”, La Voce degli italiani in Francia, Paris, n. 16, 2001, p. 37

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