30 Mag Arnaldo Caruso, la ricerca italiana sul coronavirus, a grandi passi
Il coronavirus si depotenzia? Lo scienziato cosentino Arnaldo Caruso, misurato e cauto come d’indole, presidente dei Virologi italiani, Ordinario all’Università e direttore della Microbiologia all’Ospedale di Brescia, è ottimista dopo l’isolamento di una variante meno aggressiva.
di Roberto Messina
Per ragioni professionali, per alcuni “lavori in corso”, per comuni interessi culturali (ha scritto un preziosissimo libro per Pellegrini editore sula storia dell’antica e gloriosa Sibari, e un altro, strepitoso, è in corso d’opera sull’antica cucina Mesopotamica, Egizia, Magnogreca e arcaica calabra), e ancora per l’amore verso la “nostra” Calabria (è cosentino), per il gusto del …piccante (nel tempo libero partecipa con gioia alle conviviali dell’Accademia del Peperoncino) e per averlo premiato a Cremona in una passata manifestazione di Calabria Mundi (v. foto) ho il privilegio di essere amico di Arnaldo Caruso, professore ordinario di Microbiologia all’Università di Brescia, direttore del reparto di Microbiologia degli Spedali Civili di Brescia, scienziato, ricercatore e presidente della Società Italiana di Virologia: insomma, una vera autorità del campo, che nei lunghi mesi di pandemia abbiamo visto agli onori delle cronache nazionali per i suoi studi sul coronavirus e le attività di ricerca portate avanti nel suo reparto.
In questi difficili giorni (come negli altri) Caruso è rimasto fedele a sé stesso: uno scienziato “galileiano”, uno studioso, un medico equilibrato e “misurato” che parla solo e sempre a proposito, che “dice quando sa”, non tendendo mai a pronosticare, a indovinare, a vaticinare, ma appunto ad esprimere solo quello che i fatti, la scienza, la sperimentazione, il metodo, le “prove”, gli evidenziano.
Non per voler male a nessuno, ma di “profezie” avventate, ipotesi e scenari orwelliani (e credo molti siano concordi con ciò) in questo tempo ce ne hanno presentati davanti, fatti sentire (e subire), tanti, troppi. La conquista della visibilità mediatica, fa talvolta brutti scherzi, si sa. E succede che si possano smarrire misura, approfondimento, consapevolezza, fondatezza. La diretta, può diventare allora un ring: per imporre la forza verbale, o al contrario, per finire dritti al tappeto.
Arnaldo Caruso, che pure nella sua qualità di Presidente dei Virologi italiani avremmo potuto vedere ogni giorno discettare in tv, come si diceva prima, ha invece scelto di parlare poco. E non per essere anti-allarmista e anti-catastrofista (com’è), ma per intervenire solo quando chiamato e necessario. E infatti, è andato sullo schermo, tirato in ballo, solo per le grandi questioni, e per spiegare le ultime eclatanti evidenze dei suoi studi.
Nel generalmente incredulo avvio della pandemia, quando si era in buona parte scettici sulla necessità di “chiudere”, Caruso è stato tra i primi ad invitare, invece, e decisamente, a non abbassare la guardia, al fine di evitare sicuri contagi e l’aumento esponenziale della curva infettiva. Poi, tra i primi ad aver indicato la necessità di misure di contenimento allargate a tutt’Italia, per combattere una sfida senza precedenti. Tra i primi ad aver isolato il virus. Ad aver parlato di una probabile attenuazione del ceppo virale con l’arrivo dell’estate. Ad aver indicato il limitare la socialità, come il metodo più efficace. Addirittura, tra i primi ad aver parlato di pandemia, anticipando la ritardata dichiarazione della stessa Oms. Infine, tra i primi ad aver “avvertito” sui lunghi tempi necessari per disporre di un vaccino, senza illusioni, con la necessità di puntare presto e velocemente su farmaci antivirali da perfezionare per lo specifico. Arnaldo Caruso, ha detto e spiegato tante cose importanti: ma come accennato, alla sua maniera, con misura, cautela e sostanziali prove alla mano…
Ultimamente la sua “popolarità” (suo malgrado, malgrado la sua riservatezza) ha subìto una brusca accelerata, da quando ha presentato le prove che il virus ha ridotto la sua capacità di trasmissione e contagio. Insieme ai ricercatori del suo laboratorio di Microbiologia dell’Asst Spedali Civili e quelli dell’Ateneo bresciano, ha infatti isolato una variante estremamente meno potente di Sars-Cov-2: “I ceppi virali che abbiamo studiato, isolato e sequenziato – ci ha spiegato il prof. Caruso raggiunto al telefono a Brescia – sono in grado di sterminare le cellule bersaglio in due, tre giorni. La variante, invece, di giorni ne impiega sei, esattamente il doppio. Ne abbiamo voluto parlare prima della pubblicazione dello studio, per lanciare un messaggio di speranza, anche in vista di una probabile recrudescenza del Sars-Cov-2 in autunno, quando comunque avremo a che fare con varianti virali più attenuate”.
Il virus non sembrerebbe, dunque, come si sente dire da più parti, “diventato più buono”. Avrebbe “solo” (ma non è poco) ridotto la sua forza contagiosa, mutando come corpuscolo meno potente. I tamponi degli ultimi giorni hanno fatto registrare più bassa carica virale, ma non si sa – chiarisce Caruso -: “in quale misura circoli questa variante e se sia geneticamente diversa dalle altre. Potrebbe essere la base di una futura mutazione di un virus meno aggressivo. La prudenza è però necessaria, perché non si può escludere che la variante di virus indebolita possa ricombinarsi geneticamente, recuperando aggressività in una probabile prossima nuova ondata autunno\invernale. Teniamo presente che il virus non è scomparso. C’è, e sta in giro. Si attenua, ma può tornare. Sono comunque ottimista. La sfida resta però e comunque, per la stagione fredda, e occorre ancora molta attenzione, perché il ceppo pandemico, quello che ha dominato e purtroppo piegato la scena mondiale, potrebbe tornare, se non sarà surclassato, com’è probabile, da varianti di virus con potenziale meno aggressivo. Entreranno poi, naturalmente, in gioco fattori altrettanto importanti: i nuovi farmaci meglio testati, e le stesse difese immunitarie dell’organismo che vanno rafforzandosi. Il virus muta e si ‘adatta’. E si ‘adatta’ al virus lo stesso organismo”.
La prospettiva sembra, dunque, buona. Ma – è questo il sostanziale messaggio del prof. Caruso – non dobbiamo farci trovare impreparati all’eventuale ritorno del coronavirus,nell’attesa che una sua mutazione meno aggressiva possa imporsi ed esser contrastata più facilmente.
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