Pino Posteraro: dalla Calabria a Vancouver, per l’eccellenza, la cultura e l’umiltà in cucina

Originario di Lago (Cs), è titolare nella moderna città canadese di “Cioppino’s Mediterranean Grill and Enoteca” classificato tra i migliori 50 ristoranti del mondo 

Pino Posteraro

Non a caso nominato “Cavaliere”, con l’Ordine della Stella d’Italia consegnatogli in Canada, lo chef Pino Posteraro è attivo da diversi anni e ai più alti livelli a Vancouver, dopo una lunga esperienza in giro per il mondo in costante, vivace e ricco confronto con varie culture alimentari internazionali “specchiate” ogni volta con la solida base calabra e la sua tradizionale sapienza gastronomica (in particolare quella di “Lago” il suo paese natale in provincia di Cosenza). Lui è quel che si dice davvero un “number one”. Grande tra i fornelli. Straordinario nella gestione e nell’accoglienza. Acuto e saggio negli affari. Gran capitano di brigata. Anfitrione quando serve. È anche “filosofo”, avido lettore e praticante di meditazione trascendentale.

Oltre al Cavalierato, di recente per lui anche l’altro gran riconoscimento di “Guardian of Tradition Award” dal Gambero Rosso: uno dei soli sette internazionali assegnati dall’organizzazione per il 2023, tra i migliori ristoranti di alta cucina all’estero “3 Forchette”, unico a Vancouver nella lista dei 30, e uno dei due canadesi.

Non è da oggi, ma da un po’ di tempo che il locale di Posteraro è un punto di riferimento per l’haute cuisine dell’intera Terra dei Laghi, il Canada, il “paese di speranza e di promessa” come lo aveva definito nel secolo scorso lo scrittore Charles Dickens. In quanto, poi, a Vancouver, va ricordato che varie volte è risultata in cima alle statistiche mondiali per qualità della vita e dell’”offerta” (giudizio certamente attendibile, espresso dal “Population Crisis Committee” di Washington in base al parere di 50 esperti di ogni parte della Terra). Un primato meritatissimo per la bella città-porto della British Columbia, tra quelle più popolate e multiculturali del Canada, abituale location di set cinematografici e con una scena artistica, teatrale e culturale sempre intensa.

Qui, per chi è in cerca di cucina di alta qualità italiana, ma non solo, di quella comunque fatta con ingredienti di grande qualità, a cominciare ovviamente dall’olio d’oliva, dal pesce e dalle carni di prim’ordine, dai salumi, dai formaggi e da un’infinita carta dei vini, Posteraro è un modello virtuoso di cucina, professionalità, competenza e qualità. “Cioppino’s Mediterranean Grill and Enoteca”, il suo favoloso ristorante nell’elegante quartiere di Yaletown, è un immancabile e imprescindibile punto di riferimento, ed i “personaggi” che lo frequentano, sovente al “top”, sono qui attratti dalle delizie dello chef di esperienza global, ma soprattutto prezioso ambasciatore del made in Italy.

In questa nostra intervista, ci racconta la sua storia. Cosa “bolle” abitualmente nella sua pentola tra tradizione ed “evoluzione” (più che “innovazione”, con l’inclinazione a fare “cibo per il futuro”). Cosa sta per maturare nel suo “giardino” (dove ha piantato alberi di alloro, ciliegie, prugne, mele, peperoni e pomodori). La sua vita a Vancouver. E naturalmente, il suo sconfinato amore per la Calabria e per Lago.

Uno scorcio del ristorante “Cioppino’s”

Cominciamo come dicono i latini, “ab ovo”: dall’inizio. Posteraro, quando è cominciata la Sua avventura di chef?

“È cominciata quasi per caso: lavoravo nei ristoranti di Lago come factotum per mantenermi agli studi. Facevo di tutto: pulivo, aiutavo in cucina, suonare la chitarra per intrattenere i clienti, poi mi sono cimentato anche con il mandolino e la fisarmonica”.

Poi come è proseguita?

“Nel 1989 alla Vecchia Lanterna di Torino, sotto lo chef Armando Zanetti, poeta in cucina e mio grande sostenitore. Quindi a Pisa da Sergio Lorenzi, a Palermo alla Scuderia. Poi a Singapore.”

È stata, come si dice, una vocazione?

“In effetti è stata tipo una vocazione tardiva…”

La Sua più grande soddisfazione in questo lavoro?

“Vedere le persone ed i clienti interagire con i piatti creati ed andare via con un grande sorriso sulle labbra.”

In cosa è impegnato adesso, anche oltre il ristorante?

“Aiuto le scuole alberghiere del posto, collaboro con la Camera di Commercio Italiana nelle diverse iniziative culturali ed enogastronomiche consolari”

Che tipo di ricerca culturale, e a quale livello di qualità e quantità, effettua con la sua cucina?

“La cultura intrinseca che fa parte di ogni individuo che ha un vissuto, e mi rifaccio alle radici familiari, avendo avuto una madre che è stata un grande cuoca, oltre che una fantastica mamma. Una ‘ricetta perfetta’ di tradizione ed evoluzione.”

Una responsabilità molto grande, la Sua, di chef di punta nella grande e prestigiosa Vancouver, crocevia tra Oriente e Occidente, con tanta “bella gente” e tanto turismo.

“Una responsabilità nella quale mi ci rispecchio in pieno ed ogni giorno mi ci applico con serietà, integrità, etica.”

Pino Posteraro ai fornelli

Quanta gente lavora con Lei, o come si dice, “sotto” di Lei, al ristorante?

“Io guardo a loro più come collaboratori, che lavorare sotto di me. Sono in pieno un leader che dà spazio e rispetto, ma che sa di essere la colonna portante, il valore intellettuale della struttura , oltre ad essere quello che lavora più di tutti..: ho 45 persone che aiutano a muovere tutte le ruote di questo carro.”

Il lavoro in cucina, cosa Le piace di più e cosa meno?

“La creatività di sicuro. Odio la routine, che uccide la creatività.”

Ristorazione. La trova adeguata all’esigenza attuale di Vancouver?

“Vancouver è una città che ha una cultura gastronomica molto avanzata, il perfetto palcoscenico per quello che faccio.”

In cosa si distingue generalmente la ristorazione italiana a Vancouver?

“La mia si distingue per avere rispetto delle tradizioni, spaziando nel moderno e nel creativo.”

Anche in cucina è il genio solitario a trovare le grandi idee, o queste nascono dalla collaborazione?

“Io sono il motore creativo che poi coinvolge i collaboratori.”

Scienza e Cucina. Quanto si somigliano? E quanto differiscono?

“Sono una imprescindibile dall’altra, ma mai perdere le intuizioni istintive altrimenti si può sfociare nell’arido privo di emozioni…”

Com’è organizzata in particolare la Sua cucina? A cosa tiene di più?

“Fare una cucina vera italiana, io tengo di più nell’importanza della materia prima supportata dalla tecnica…”

Un piatto che preferisce cucinare?

“Dipende da quello che più mi ispira nella stagione con i suoi prodotti. Nelle mie degustazioni non ripeto mai gli stessi piatti.”

Una giornata-tipo al Cioppino’s…

“In mattinata verso le otto rispondo alle email, contatto fornitori speciali, vado a lavoro verso le nove per ritornare a casa verso mezzanotte/l’una. Dedizione ed abnegazione sono necessarie.”

Il piatto che va più forte, quello che le chiedono sovente?

Pappardelle con guanciale di vitello e funghi porcini.”

Si ritiene più conservatore o progressista? Cosa pensa della nuova tecnologia in cucina: cucina molecolare e quella all’azoto. Lo chef: per più scienziato, o più artista? O forse, più artigiano?Il significato ultimo del cucinare. Secondo Lei cosa esprime? Ha portato la cucina italiana nel mondo. Un’opera pionieristica, da messaggero di qualità e tradizione… È stato difficile insegnare a mangiare poco e bene agli yankee e ai cinesi? Qualche aneddoto?

“Sono convinto che siamo artigiani con spinta intrinseca di creatività. Picasso non è stato mai capace di dipingere, e tutti gli altri artisti, due stessi quadri. Noi cuochi, per necessità dobbiamo fare le stesse creazioni in serie, per creare emozioni e riuscire a sopravvivere in questo mondo che è in crisi di tutto. Sono un artigiano che usufruisce di una vena creativa spiccata e mi faccio supporto della scienza: in questa maniera, ogni giorno riusciamo a adempiere ai nostri compiti con successo, e fare felici i commensali. Circa quattro anni fa, sono stato invitato a Seattle con altri sei cuochi italiani di talento e successo come Massimo Bottura, che era lì, come c’ero anch’io. Lui è per la rottura totale con la tradizione, almeno lo era. Io sono per attingere alla tradizione ed evolvere. Portò un esempio, come fa spesso, di un’artista cinese, Wei Wei, che ruppe un piatto Ming vecchio di centinaia di anni, io gli dissi che avrebbero dovuto arrestarlo, perché precludeva alle nuove generazioni di ‘vivere’ attraverso quel piatto la storia e la tradizione connessa a quel cimelio. Gli orientali sono ricchi di tradizioni e di grandi cucine, un pubblico più selettivo e più preparato.”

Pensa che negli ultimi anni ci sia stato un significativo aumento della qualità media dei ristoranti italiani all’estero?

“Sì, grazie a grandi, appassionati e dediti professionisti.”

Pensa che stereotipi e falsi miti che circondano la cultura gastronomica del Bel Paese stiano venendo meno? E che gli stranieri stanno scoprendo i veri sapori italiani anche al di fuori dalla Penisola. È giusto?

“Giustissimo: sta venendo meno quella gestione familiare che tanto è stata importante nella nostra generazione, e non c’è più spirito di sacrificio e dedizione.”

In un’ultima classifica dei migliori ristoranti italiani nel mondo, il Suo è tra i primi 50, soddisfatto?

“Onorato, sorpreso, ed umilmente soddisfatto.”

Da chi ha ereditato questa Sua passione?

“Mia mamma.”

A casa Sua chi cucina?

“Mia moglie, che è cubana, ma che ha imparato da mia madre.”

Quando va al ristorante come lo sceglie?

“Non in base a popolarità o trend, ma in base a solidità e sobrietà gastronomica.”

Ce ne indica qualcuno di Suo favore a Vancouver?

“Chef Tony a Richmond, per la cucina cinese. Maenam, il miglior cibo tailandese. Cibo greco al Mythos.”

Dove e quando ha cominciato a muoversi tra i fornelli?

“A casa con mia mamma, e poi con mio fratello a Toronto.”

Oggi, lo trova un lavoro faticoso, anche se ben retribuito?

“A 58 anni di età non mi pesa, dà grandi soddisfazioni, e in tutta onestà non si pensa alla retribuzione, altrimenti avrei fatto qualcos’altro più lucrativo.”

A chi deve, tra tutti, di più?

“A mia mamma e mio fratello Celestino. Ad Armando Zanetti e Sergio Lorenzi.”

Da chi un grande insegnamento?

“Da Frank Sinatra… Stavo cucinando nella sua casa di Palm Springs, nel 1992. Alla domanda sulla chiave del suo successo, questa risposta: ‘ragazzo, ricorda una cosa: sei bravo come la tua ultima esibizione’. Quindi, abnegazione, ore instancabili ed essere umili. Non ci sono espedienti. Il successo è temporaneo e fuggevole, e può durare, come mi ha insegnato il grande Frank, solo se si rimane umili, disponibili, e se si lavora duro.”

L’incontro con il presidente
Sergio Mattarella

Un giudizio, non di parte, su Cioppino’s

“Qualcosa di unico, non realizzabile in Italia.”

Com’è nato Cioppino’s?

“Dalla voglia di potermi esprimere nelle arti culinarie.”

Quali sono oggi i suoi “numeri”?

“Cucina personalizzata integralmente legata ai prodotti ed ai fornitori speciali.”

Lei è tanto attaccato alla Calabria …Un piatto del Suo menu che le ha dedicato?

“Tutti, perché sono connessi nel mio intimo, che è calabrese Doc!”

Cosa manca a Vancouver, e cosa trova solamente a Vancouver?

“Si trova tutto, ma mi manca la mia regione ed il mio paese…”

Veniamo alla terra d’origine. Quali sono esattamente le Sue origini calabre? E quelle della Sua famiglia. E cosa pensa in cuor suo della Calabria e dei calabresi? 

“Originario di Lago, sono innamorato della mia regione e della sua gente.”

Esiste secondo Lei un’identità, una peculiarità calabrese?

“Intelligenza intrinseca: tragicomicità degna d’ispirazione di maschere greche, satira un po’ aggressiva.”

Un’idea per la regione.

“Remare verso la stessa direzione come collettività, non individualmente: è proprio vero l’unione fa la forza!”

Alla Calabria mancano le prospettive? Cosa suggerisce?

“C’è bisogno di un mental coach collettivo, che ci dia consapevolezza nei nostri mezzi.”

Il Suo parere sull’attività di ristorazione in Calabria. E quello sulla produzione gastronomica.

“Ottimi livelli, con ottime prospettive.”

Calabresi cui si sente particolarmente legato, e calabresi fondamentali per la Sua vita e la Sua carriera…

“La famiglia, gli amici, il parroco Don Federico, il mio professore di filosofia Padre Morosini nonché arcivescovo di Reggio, un carissimo amico.”

In cosa si sente calabrese? E in cosa non lo è?

“Tenacia, testardaggine costruttiva, dedizione ed abnegazione. Cultura del lavoro, che una volta ci apparteneva…”

Un’esperienza cui si sente particolarmente legato.

“La vecchia lanterna, a Torino. E Sergio Lorenzi, a Pisa.”

Chi sono i Suoi più grandi uomini di cucina di riferimento?

“Appena citati sopra, aggiungendo Auguste Escoffier.”

Da quali passioni è animato Pino Posteraro?

“Dalle arti nelle sue diverse espressioni e da riuscire a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno, la positività! La mia famiglia, mia moglie ed i miei quattro figli.”

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