Michele Belcastro e la Sila, incastro perfetto

Con ancora una sorpresa dal suo “Passato e Presente, Quante storie…” (Pubblisfera Edizioni), Michele Belcastro sta saldamente nel mondo diacritico e diacronico della letteratura, e lo fa con la delicatezza di una cediglia, lo stupore di un vespro sul lago… Non sono, però, storie di carta, queste sue. Sono sedimenti, angoliere, attimi. Una raccolta di racconti, certo. Prima ancora, un découpage di memorie assiepate su quell’anticipo di paradiso che è l’altopiano silano

di Felice Foresta

Michele Belcastro
nella “sua” Sila

Ogni uomo è un luogo. Il suo. Quello che nasce con te, di cui porti le stigmate, ovunque abbia a trovarti. Di cui conosci i segreti, le ombre, le accise. Di cui recuperi ogni traccia di bellezza, anche nel dolore. Di cui traduci ogni traccia di dolore in bellezza.

Il rapporto fra un uomo e un luogo è, però, una faccenda complessa. Dubbia. Controversa. Spesso, facciamo fatica a spiegarci perché. Perché, improvvisamente, un luogo ti lusinga. Ti assedia. Ti chiama. Forse, perché ci sei vissuto, e magari ci sei anche nato. Forse, è solo perché noi apparteniamo ai luoghi in cui sono sepolti i nostri padri, le nostre anime, le nostre storie. Quelle che ti rimangono dentro, attaccate alle pareti del tuo io. Quelle che attraversano stagioni, notti, avversità e che, spartane e stoiche, resistono. Storie che le nevi, i giorni di pioggia, e tramontane sferzanti non piegano. Levigano, semmai. Perché quelle storie sono le tue storie. Perché quelle storie le ha raccolte un mastro liutaio, le ha custodite e le ha consegnate a quel miracolo irripetibile, inespugnabile e inimitabile che è la carta.

Non sono, però, storie di carta, quelle che racconta Michele Belcastro nell’ultima sua fatica letteraria, Passato e Presente, Quante storie… (Pubblisfera Edizioni). Sono sedimenti, angoliere, attimi. Una raccolta di racconti, certo. Prima ancora, un découpage di memorie assiepate su quell’anticipo di paradiso che è la Sila.

La Sila, già. Il grande altopiano calabrese. Dolce come una carezza di tua madre. Accogliente come l’abbraccio di tuo padre. Che ti rapisce. Che puoi mettere tra parentesi, mai al confino, però.  Che ti aspetta.  Che segna il tuo cammino, guardandoti l’ombra. Come si fa con un figlio.

Michele Belcastro negli uffici di Pubblisfera
a San Giovanni in Fiore
(Cs)

Michele Belcastro è la Sila. Un incastro perfetto. Un incastro fetale. Un intaglio di eterno. Lo è in ogni sua forma, in ogni sua proiezione. Nei suoi respiri di pece e felce. Nella scommessa di vita di un lupo, di una fiumara, di una baracca. Nelle piccole e straordinarie epopee di sommozzatori del rischio che hanno negoziato affetti, fatica, lealtà con la natura, con il rigore degli inverni, con la levità di primavere rutilanti. E solo perché acqua e luce fossero un lascito per tutti e non un’enclave per pochi.

Michele Belcastro è ormai da qualche tempo che ha fatto ingresso nel mondo diacritico e diacronico della letteratura. E lo ha fatto con la delicatezza di una cediglia, con lo stupore di un vespro sul lago, con l’impeto buono del campanaccio di una ienca di podolica.

La sua, però, non è una elegia sussiegosa. Nel suo stile asciutto, pulito, immediato, c’è tutta la verità che si chiede a un narratore. E le verità che Michele Belcastro ci affida con Passato e Presente sono tante. Anzi di più. C’è la declinazione del tempo, nella didascalia assiomatica di Agostino. La centralità delle tradizioni, dell’idioma, della musica. La commozione sociale di un mondo che sembra sepolto, se non scomparso, e che pure attraverso le sue parole si sforza di non abdicare. C’è, insomma, in quello che è l’erede spirituale di Raccolti d’altri tempi, l’universalità di un etimo che si apprende in Sila per farsi apostolo dei suoi valori, dei suoi significati e dei suoi significanti nel mondo.

La copertina del libro

Ha rughe buone Michele Belcastro, il tremore di chi ha lavorato tanto, la ricchezza dello sguardo di un anziano. La sua è una bisaccia che pesa. E che profuma di Micene e Delfi. Armonia, temperanza ed essenziale sono le ancelle che lo hanno accompagnato anche in quest’opera, ineludibile per chi ama la Sila, o solo per chi ne sente parlare per la prima volta. Perché ci disvela il volto di un milite di un’identità insopprimibile. Perché è un libro che guarda alla nostra storia per superarla.

Anche se non tutti abbiamo avuto la ventura di nascere in Sila, come Michele Belcastro, è lì che torneremo. Perché è da lì che veniamo.

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