Le gelsominaie di Calabria, antesignane dei principi della Moda Etica

Quella notte del 1967, la lotta per il diritto al salario, importante e significativa affermazione di un principio

di Sonia Costantino

Le gelsominaie al lavoro, in una foto d’epoca

A svegliare le coscienze di un sistema Moda “traviato”, che al di là della vetrina è fatto anche di violazioni dei diritti del lavoro e della sicurezza, di inquinamento ambientale e di speculazioni, è stato nel 2013 il drammatico evento del crollo del “Rana Plaza”. Alle nove del mattino del 24 aprile, a Dacca, capitale del Bangladesh, un edificio commerciale di otto piani, il Rana Plaza appunto, crolla su se stesso causa cedimento strutturale: più di 1.129 operai tessili perdono la vita. Tra questi, molti avevano manifestato da giorni seri dubbi sulla solidità dell’edificio, evidentemente fatiscente e pieno di crepe, ma temendo di perdere il posto di lavoro, seppur sottopagato, si erano ugualmente recati lì, costretti dai titolari delle fabbriche a quel pericoloso impegno quotidiano nella realizzazione di abiti per vari marchi occidentali.

Rana Plaza ha finito così per simboleggiare chi antepone il profitto ai diritti umani, e a seguito di questo shoccante disastro, si sono generati anche fenomeni importanti di rilocalizzazione, tecnicamente detti “reshoring”, verso l’Europa, nei Paesi dell’Est in particolare, ma anche in Italia. Il lavoro è perciò tornato al centro dell’attenzione, e oggi è con ciò maggiormente considerata la presenza preoccupante di fenomeni estesi di lavoro illegale, informale, precario, che si annidano nelle parti basse delle filiere produttive: a Sud, dove il subappalto fuori controllo trionfa; oppure al Nord, come nel caso del bacino sottocosto offerto dalla manodopera cinese in Toscana.

La globalizzazione è una sorta di livella al ribasso. L’assenza di regole e di interventi pubblici a tutela del lavoro favorisce la discesa dei salari e delle condizioni di impiego. Nei prossimi anni bisognerà lavorare ancora per il raggiungimento di livelli stipendiali dignitosi lungo le intere catene di fornitura, per gli standard di salute e sicurezza, per la tutela dei diritti umani e per la trasparenza, perché non sia più a repentaglio la vita dei lavoratori, quasi tutte donne, che confezionano i nostri vestiti e le nostre scarpe, ovunque nel mondo, Italia compresa.

La caratteristica cesta in vimini
impiegata per trasportare i fiori

Negli ultimi anni, nel campo del tessile così come nel manifatturiero e nella cosmesi, ci sono stati importanti miglioramenti in difesa dei diritti umani. Ma di strada ce n’è ancora da fare parecchia. Riflettendo su questo delicato argomento e sul tema delle lotte sociali, ci torna alla memoria la cosiddetta “rivoluzione profumata” delle coraggiose e sfruttate “gelsominaie” di Calabria, antesignane dei principi della Moda Etica. Grazie al clima favorevolissimo, il gelsomino, profumatissimo fiore orientale, si è diffuso lungo la Riviera jonica dei Gelsomini nel Reggino, nella Piana di Rosarno, a Bruzzano Zeffirio, a Bova Marina e in altri centri della zona circostante, da Palizzi fino a Siderno. Lì, si è materializzata una storia che è ancora attuale e doverosa da ricordare: quella di donne di età compresa fra i quindici e i cinquant’anni, le gelsominaie, appunto, e del loro costante sacrificio compiuto nello svolgere un lavoro duro e faticoso, con un esempio magistrale nella lotta per la tutela dei diritti.

Il noto profumo calabrese di gelsomino deve la sua notorietà al lavoro paziente di queste donne, che con estrema delicatezza erano dedicate a staccare nottetempo il fiore “vampiro”, destinato a diventare profumo. La loro giornata iniziava alle due del mattino, quando in gruppi raggiungevano i terreni di coltura, prima che il sole potesse rovinare i teneri fiori, a quell’ora nel massimo del loro profumo. Il gesto manuale correva dalla pianta alla grande tasca sul grembiule, riempita di petali e poi svuotata in ceste di canna o vimini rapidamente portati alla pesatura. Nelle otto ore di lavoro (si terminava alle 10 del mattino) il profumo si mescolava al loro canto che scandiva il ritmo di un impiego faticosissimo, se si pensa che per fare un chilo di petali si dovevano raccogliere circa 7300 fiori. Eppure, c’erano donne capaci di raccoglierne fino a 11, 12 chili al giorno. Nelle giornate di pioggia, la raccolta diventava poi particolarmente difficoltosa, con i piedi nudi che affondavano nel fango rallentando i movimenti.

Ma le gelsominaie resistevano: stanche, provate, ma fiere del loro lavoro. Raccolto con estrema cura, il gelsomino dal fiore stellato veniva trasportato su carretti agli opifici dove veniva fatto un semi-lavorato: il fiore si pestava, si riduceva in poltiglia e poi veniva spedito all’estero, soprattutto in Francia, per farne profumi. Grazie a queste donne, l’essenza di gelsomino si è via via imposta in profumeria, farmacia, gastronomia e nell’artigianato dolciario, e con questo, il nome stesso della Calabria ha viaggiato per decenni in tutt’Europa.

L’impegno delle gelsominaie rimaneva però sostanzialmente sottopagato e sfruttato. “Alle 3 del mattino lascio la mia casa e vi ritorno alle 3 del pomeriggio, dopo 12 ore di duro lavoro torno ai miei 5 figli con nemmeno 500 lire e la schiena rotta”: è la testimonianza riportata su un volantino della Federazione provinciale reggina del Partito socialista italiano, di una raccoglitrice di gelsomini di Bruzzano Zeffirio, che fotografa lo spaccato di un’epoca in cui le donne raccoglitrici di gelsomini, ma anche di olive nella Piana e nei campi sparsi nella provincia jonica di Reggio Calabria, avviano una lotta fondamentale per i diritti sociali ed economici essenziali, partendo da un vero e proprio manifesto delle condizioni di sfruttamento delle braccianti e delle lavoratrici agricole in questo lembo di terra, e dalle lotte necessarie per migliorare la loro condizione di lavoro e di vita. Un testamento di coraggio.  

La loro lotta dura ben dieci giorni. 4000 gelsominaie, unite e compatte, fanno muro contro la vile richiesta di riduzione della paga da parte degli agrari locali, una pretesa non sostenibile. La notte precedente alla domenica del 20 agosto 1967 è testimone del successo della “rivoluzione” di queste donne indomite. Proprio all’ora in cui il profumo dei gelsomini si fa più intenso e il fiore apre i petali aperti, ecco raggiunto uno storico accordo nella Prefettura di Reggio Calabria: da parte degli agrari, ritirata l’annunciata decurtazione del 20 per cento della retribuzione, mantenuta perciò uguale a quella dell’anno precedente: 450 lire per ogni chilo di gelsomino raccolto. Niente di più. Niente di meglio. Ma con l’importante e significativa affermazione di un principio.

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