Francesco Toraldo: lo spirito acceso di colore

Affermato a livello internazionale, il pittore erede del compianto Enzo, grande catanzarese romantico figurativo, ha conquistato col suo stile originale e l’uso sontuoso ed esplosivo della tavolozza 

di Roberto Messina  

L’anima si esprime in tinte violente e accese di colore. E da quel colore viene fuori il mondo di Francesco Toraldo: un universo che sembra trascendere limiti di spazio, tempo e pelle, e allocarsi nella visione universale ed onnicomprensiva dell’arte.

Nato a Catanzaro, una vita vissuta a Roma, poi a Catania, Napoli, quindi Pescara e ora Agrigento, sposato ad appena 19 anni e subito con due figli, Francesco è figlio d’arte. E’ nello studio del padre Enzo (quartiere Porta Marina, zona Catanzaro sud) compianto pittore romantico figurativo molto amato in città, infatti, che apprende i segreti del mestiere, le conoscenze tecniche, l’uso raffinato quanto sontuoso ed “esplosivo” del colore, la sublimazione di temi e forme, là dove inizia quel percorso di definizione del linguaggio figurativo che, consolidandosi negli anni, diventa una pittura che sembra adesso tornata alla radice della sua ispirazione.

E’ in Sicilia, però, che matura il forte bisogno di una svolta in grado di liberare le sue emozioni, di tradurle in materia viva sulla tela. Qui, nel periodo catanese, subisce il fascino di Renato Guttuso ed inizia a fare un uso dei colori in grado di avvicinarlo al pittore palermitano. Nel 1993 le sue opere vengono esposte nella città etnea, dove ottiene un bel successo. Poi, via via, sarà presente a Genova, Tirrenia, Roma, Lecce. Nel frattempo riceve incarichi per la realizzazione di opere pubbliche. Invitato a Ginevra per “Europ’Art”, comincia a partecipare alle Fiere d’Arte e alle esposizioni estere.

Toraldo interpreta il vero attraverso il filtro delle emozioni – scrive di lui Vittorio Sgarbi, che rileva nelle sue opere – i cromatismi della pittura fauve e gli approfondimenti visivi dell’espressionismo tedesco del primo Dopoguerra, capacità espressive che si effondono nelle sue opere con gli effetti vibranti di colori primari e puri, perché egli non ama tenere sotto controllo la sua fantasia pittorica e quindi interpreta il vero attraverso il filtro delle emozioni”.

Perdersi tra le onde azzurre del mare, o abbandonarsi al vento come le sue vele. Inseguire l’eleganza del  movimento di campioni sciatori, ciclisti, schermidori, tennisti, oppure inseguire la linea delicata e forte di una figura femminile, o ancora quella ispirata e sognante di grandi jazzman, costituiscono per Toraldo il mezzo per comprendere il concetto del vero fuggevole, dello charme ineffabile, dell’energia che fa animare e germinare la forma inerte.    

“Quartetto jazz”, olio e acrilico su tela

Le opere di Toraldo, frutto di memorie sedimentate, vivono di colpi di spatola, e riescono a rendere moti e vibrazioni del ritmo, raggiungendo una grande densità lirica. Vien da pensare ad una famosa battuta del suo amato Guttuso, cui non ha mai fatto mistero di essersi ispirato: “non sono le opere degli artisti ad essere difficili da leggere, ma tutte le parole che vi si scrivono sopra”. Davanti ai suoi quadri si avverte, difatti, il senso di spaesamento tipico di chi la realtà vede, sente, e traduce in qualcosa che solo il complesso di emozioni, e non l’emozione singola, è in grado di recepire.

In questo, il genio del pittore catanzarese che riscuote successi di critica e pubblico tali da attirare l’attenzione convinta di importanti testate (qualche anno fa un suo catalogo è stato regalato ai lettori della rivista “Arte”) si accosta molto all’espressività tipica della musica, al punto da avvicinare le due arti sorelle nella personale del 2008 “Toraldo e i grandi della musica italiana tra informale e figurazione”, ospitata all’Accademia d’Arte La Rufa di Roma. Alla mostra, tra gli altri, collabora il cantante Amedeo Minghi, che dice a riguardo: “Se la mia musica ha suscitato l’animo di questo altro spirito libero, ne sono fiero, perché le arti tali devono essere: somigliare ai sogni degli artisti per essere impalpabili, ma al tempo stesso vividi e reali, come la vita che viviamo, mentre la interpretiamo”.

“Matrix”, olio e acrilico su tela

Negli anni a seguire, Francesco Toraldo ha trasfuso in “Rosso jazz” le sue originali e suggestive peculiarità stilistiche: quaranta spettacolari opere su una straordinaria tavolozza cromatica, dedicate ai grandi della musica afroamericana, realizzate su invito del Presidente dell’Ente Manifestazioni Pescaresi, Lucio Fumo che scrive: “Colori e note. Macchie, spruzzi, tracce e slanci, guizzi. Silenzi. Minuscole e gigantesche tele, soavi gentilezze, poi sontuose sommosse sonore. La sorpresa, la scoperta, la scelta dei particolari, sempre diversi. (…).”.

Il tratto limpido e icastico sintetizza la pittura di Toraldo come una “cornice” che inquadra estetica e poetica di quest’originale artista paladino della libertà, dell’indipendenza, della creatività oltre ogni costrizione, ribelle e anarcoide quanto basta per essere autentico e irriducibile, mai piegato, pure se a rischio di essere spezzato dall’ovvietà, dalla routine, dalle logiche del mercato… E’ però stato “enfant prodige”, e quindi gli è dato il vantaggio di una “vis”, di una esperienza a prova d’urto. A tre anni appena già lo si vedeva, infatti, felice a fianco del padre a maneggiare e giocare con i suoi colori, ad osservarlo dipingere, fin quando un bel giorno, con uno sgabellino sotto i piedi ed un pennello in mano, e posizionata una tela su di un cavalletto “mignon” fatto costruire apposta per lui, il papà gli dice “provaci!”.

Francesco Toraldo con il papà Enzo (Catanzaro, 1981)

Del piccolo Toraldo, secondo i racconti del padre e degli amici che numerosi frequentano lo studio di via Vincenzo D’Amato a Porta Marina, quartiere popolare vivace e animato, e quello di Piazza del Rosario, lì vicino, tra cui affermati artisti come Mimmo Rotella, Aldo Aloi ed Enrico Benaglia, si ammira il talento fin da allora straordinario, con i colori in primo piano e il rapimento per sfumature e miscele, con rossi e blu suoi preferiti.

Il giovane Toraldo cresce manifestando scarso interesse per lo studio, e grande per la vita: quella più vera… quella di strada, delle bische clandestine, delle “cattive compagnie”, dei locali fumosi, delle donne di strada. L’amore per la pittura sovrasta comunque tutto. Nell’atelier paterno la sua fame di vita si trasforma in arte, le emozioni del vissuto sono alimento per una pittura che si allontana dai canoni e dagli esercizi di stile suggeritigli\impostigli dal genitore ossessionato dalla perfezione tecnica. Francesco si abbandona, invece, ad un’istintività folleggiante quanto naturale, connaturata, fortemente personale, e libera da regole e dettami.

“Made in Bagheria”, olio e acrilico su tela

Con gli studi, approda al Liceo artistico di Catanzaro. Ma qualche anno, in contrasto sempre più frequente con gli insegnanti, e abbandona proseguendo da autodidatta privilegiato, già in possesso comunque di una buona “dottrina” e attrezzato di un forte bagaglio tecnico appreso sul campo.

Padre e marito già a 19 anni, a 21 anni con due figli ed un lavoro che nulla ha a che vedere con il mondo della pittura, prosegue il suo insaziabile cammino quotidiano. Dal 1975 è in Sicilia, a Catania, dove subisce il fascino di Guttuso, sua esplicita ed esplicitata fonte, quando si tuffa nella sperimentazione del disegno con le spatole, di cui si serve come pennelli e con la sua “vera pittura” che ha un nuovo “inizio”.

A quasi quarant’anni, il colore, come il magma del “suo vulcano”, l’Etna, fluendo sulla tela, viene plasmato e prende vita. Comincia così il suo lungo e fortunato periodo di mostre in tutt’Italia, e all’estero (Giappone, Svizzera, Francia). Nel 2006 si traferisce a Roma e avvia la collaborazione con la Galleria “Alexander & Victor Fine Art” di New Orleans.

“Maglia rosa”, olio e acrilico su tela

E’ il momento in cui conosce il mercante d’arte Franco Pincelli, con il quale inizia un importante rapporto di collaborazione artistica, e quando su invito del Presidente dell’Ente Manifestazioni Pescaresi, Lucio Fumo, realizza “Rosso Jazz”, una spettacolare raccolta di opere dedicate ai principali protagonisti della musica afroamericana e alla sua magia: una mostra che diviene clou del XXXIII Festival Internazionale del Jazz di Pescara 2005.

Nuove tematiche sportive come il basket, lo sci, il tennis, il surf e soprattutto la vela, arricchiscono l’opera di Toraldo e gli valgono l’interesse del Comitato organizzatore dei “Giochi del Mediterraneo”, con la richiesta di una raccolta di opere che rappresenti le discipline sportive in competizione in occasione della kermesse. Pescara sembra, così, voler sancire l’adozione di Toraldo, che sceglie di viverci. Poi a Napoli, in occasione dell’America’s Cup, l’artista espone alla Galleria di Chiaia, con un altro successone.

“Dubai World Cup”, olio e acrilico su tela

La sua pittura si anima di sempre nuovi colori dopo l’ennesimo trasferimento ad Agrigento e l’incontro con Rosanna, sua attuale compagna, che gli suggerisce nuove linee prospettiche che animano di altra luce la sua vita e non possono non riflettersi nelle opere più recenti.

E’ l’avvio di un nuovo periodo intenso e laborioso, con il ritorno ai lavori su carta: “sulla carta il mio linguaggio è scevro da ogni retorica ed   il segno non tiene conto di alcun principio razionale” – spiega lui stesso. In questo nuovo contesto, prendono forma collaborazioni che riporta Toraldo alla ribalta nazionale, partecipando nel 2016 a varie mostre a Cremona, Palermo, Salerno, Venezia.

Tornando un momento alla sua produzione “jazzistica”, straordinariamente suggestiva, moderna, sfavillante, valgano queste parole di Massimo Tarabelli dell’Ancona Jazz Summer Festival: “Il jazz è un mondo, uno stile di vita, un referente artistico imprescindibile per l’uomo moderno, sempre più avvolto da dubbi e inserito in una realtà poliedrica multiculturale. E’ un mezzo, in definitiva, con cui l’artista esprime se stesso e la sua poetica. Non importa come e con che cosa. Per questo ritengo che il maestro Francesco Toraldo sia innanzitutto un ‘jazzista’, che invece di impugnare un sassofono o una tromba, utilizza magistralmente la spatola e il pennello. (…) Le sue sono opere d’arte aperte, nonostante agganci visivi di immediata fruibilità. Ma tanto maggiore sarà il bagaglio conoscitivo di chi guarda, tanto più ricco risulterà il tesoro di emozioni che l’opera d’arte è capace di sprigionare”.

“Pescara jazz”, olio e acrilico su tela, “Jazz ’67”, tecnica mista su carta

Una pittura musicale, sonora, “sensitiva”, dunque, la sua, che Rossana Mele definisce come: “una scrittura cromatica che manifesta una grande curiosità per tutto ciò che concerne la natura creativa dell’uomo e le sue illimitate potenzialità sensoriali e culturali. (…)”.

Da un punto di vista stilistico, l’arte del maestro Toraldo sembra dunque avere ascendenti da primo Novecento europeo: Gauguin, Cezanne, Seurat. Un certo fauvismo alla Vlaminck e Derain. Un po’ di Braque e Matisse. Una leggera fiammata velocista meccanica e aeropittorica futurista, alla Balla e Depero. E comunque, e sempre, con una forte espressività che (sono parole ancora di Paolo Levi): “è affidata a cromatismi intensi e caldi e a un segno perentorio, in un impaginato dove confluiscono suggestioni informali e la riproduzione di un reale scomposto in una frantumazione di tratti dinamici, che invadono le sue tele con un sapiente gioco di contrasti”.

“Prada, Luna Rossa”, olio e acrilico su tela

La sua vicinanza tecnica, estetica, formale, poetica e psicologica alla lezione pittorica dell’espressionismo, con l’evocazione, la metafora, la sineddoche con la parte per il tutto e il contenente per il contenuto, è evidente. Ma non è esaustiva. E non è dominante, dato che i “soggetti” di Toraldo, gli squarci di realtà che ha scelto di raccontare, racchiudere e rappresentare sulle sue tele, sono “apparizioni”.

Bellissime fantasmagorie che rapiscono, fuggendo saggiamente dalla dimensione banalmente iconica, e offrendosi più consapevolmente scartando ogni possibile, univoca “dittatura”, allo spettatore libero di interpretare, di leggere più a fondo e in libertà la “propria” pittura e la “propria” bellezza. Proprie, perché universali. O perché credute appassionatamente e sensatamente tali.

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