CON ANTONIO BUTTAZZO LA GIUSTIZIA VA A TEATRO…

Un cast di soli professionisti forensi con la passione per il palcoscenico, a fianco dell’avvocato cosentino trapiantato nella capitale

di Anna Morabito

Conosco Antonio Buttazzo dalle scuole elementari, poi come spesso accade nella vita, ci si perde di vista, per quindi incrociarsi in età adulta, circa dieci anni fa. Avvocato e giornalista pubblicista, e per un po’ di tempo anche editore, è nato a Cosenza ed ha vissuto anche a Napoli prima di trasferirsi nella capitale dove vive e lavora da 42 anni. È noto per essersi occupato di diversi casi di cronaca nera che hanno avuto un certo clamore mediatico. Instancabile viaggiatore, ama poi raccontare dei suoi viaggi. Pensieri, ricordi e riflessioni, che trovano spazio sui social e altre pagine di quotidiani e magazine culturali on line, con cui collabora stabilmente, che raccontano segreti e angoli del mondo poco conosciuti.

Seguo con interesse le sue opinioni perché lo stimo molto come persona e perché da combattivo polemista utilizza la scrittura in maniera autentica (e qualche volta anche sferzante), passando da argomenti seri a deliziosi spaccati di vita vissuta, utilizzando spesso esperienze personali. Si cimenta inoltre, oramai da un po’ di anni, con il Teatro, sua antica passione, e su quella gli ho chiesto una breve intervista. L’ho raggiunto nel suo studio specializzato in diritto penale e condizione giuridica dello straniero, percorrendo la via Nomentana. Ed è qui che è iniziata la nostra piacevole conversazione. Nel preparare questa intervista, mi sono imbattuta in diverse notizie che parlano di compagnie teatrali più o meno amatoriali composte di soli avvocati e magistrati… Due professioni affascinanti e complesse. Ed ecco perciò la prima domanda.

Antonio Buttazzo nel suo studio di Roma

Come spieghi questo interesse della tua categoria verso il teatro?

Non vorrei banalmente rispondere che soprattutto nella categoria degli avvocati c’è una certa propensione alla “teatralità” del gesto, oppure ricordare che la forza evocativa della parola fa parte del bagaglio culturale dell’avvocato, però è così. Ovviamente, poi ci sono delle sensibilità personali, nel mio caso quella del teatro è una dimensione che mi affascinava ben prima che intraprendessi la professione forense.

L’attività teatrale è diventata una tua seconda attività. Storia, dialoghi, come affronti tutto questo, sei lì anche per divertirti…

Infatti, mi diverte molto e mi rilassa tanto. Se ti riferisci agli impegni concorrenti, che pure esistono, io sono certo che si trovi sempre il modo di fare le cose che ti piacciono. Tanti trovano il tempo di andare in palestra o a correre. Io non faccio né l’uno né l’altro.

Esiste un linguaggio non verbale che ci unisce tutti e che è molto suggestivo, e poi quello verbale di cui tu hai fatto una professione di vita. Che rapporto hai con questi due aspetti della comunicazione?

I grandi attori di teatro, penso ad Eduardo, recitavano anche senza aprire bocca o lavoravano con la parola attraverso una ricerca sul tono e l’espressività come faceva Carmelo Bene con il suo phonè. In Tribunale non puoi stare zitto ovviamente. Ma già gli antichi retori sapevano che il linguaggio del corpo contribuisce ad esprimere il pensiero. Se poi mi chiedi che rapporto ho io con queste forme di comunicazione ti rispondo che sono uno spirito pagano e credo nella forza evocativa della parola e anche in quello del gesto.

Quanto c’è del lavoro di avvocato, delle udienze, dei mille casi che arrivano al tuo studio quando calchi le scene? Mi piacerebbe sapere quale è il lavoro che sta dietro alla preparazione del personaggio

Vabbè. io recito per divertirmi anche se ci metto l’impegno dovuto. Tuttavia è innegabile che qualche volta la mente corre alle tue esperienze professionali.

Recitare è un modo per vivere molte vite, ma anche il personaggio incontra l’uomo che lo rappresenta.

Il lavoro che l’attore, chiunque esso sia, fa sul personaggio che è chiamato ad interpretare è fondamentale. L’ “estraniamento”, almeno per me, è una condizione necessaria a cui arrivare. Se ci riesco, ho fatto un buon lavoro. Ma non è facile, almeno non per chi non è un professionista.

Ho avuto modo di vederti recitare in “Delitto ad Argo” e in “La Cricca della Banca romana”, e sono ormai molti anni che calchi le scene teatrali, che ti immedesimi nei personaggi. Quali parti di te tira fuori questo mestiere?

Sicuramente nei ruoli che quasi sempre interpreto, accusa o difesa, c’è una certa continuità con quello che faccio tutti i giorni da più di trent’anni. A volte la prendo come una sorta di training, e immagino come l’avrei posta in Tribunale quella argomentazione. Ma in fondo è solo un gioco. Che però mi diverte.

Hai portato in scena insieme ad altri professionisti, con la compagnia “Toghe in giallo” grandi processi della storia. È un esercizio speculativo come quando si traduce dal greco e dal latino, per capire cosa eravamo, come siamo cambiati nel tempo e cosa vogliamo essere in futuro? Sei una sorta di avvocato archeologo?

La messa in scena è un esercizio speculativo per definizione. In una occasione, si trattava delle letture delle catilinarie, un testo scritto da Lucia Nardi e diretto da Luigi di Majo, nel quale l’autrice ha proprio evocato la figura dell’avvocato archeologo che rilegge il testo alla luce della ricerca storica.

Non solo la storia passata insegna ma è anche educativo il contrario. In una società complessa, veloce e liquida come quella che viviamo, perché si sente la necessità di trovare delle responsabilità? Nel sentire comune l’idea è che oggi nessuno si assume più la responsabilità di quello che dice o fa e raramente ne paga le conseguenze. La legge coincide con la giustizia?

La legge regola rapporti umani. La giustizia è un’altra cosa e la puoi trovare, come diceva Aristotele, nella equità, che è appunto la giustizia del caso concreto. Non aspettiamoci altro. I “sistemi” giusti non esistono, sarebbe auspicabile che se ne trovino di efficaci e capaci di regolare al meglio, come detto, i rapporti sociali.

Sei anche autore di articoli su temi di attualità, politica, economia e costume su blog e numerosi siti on line, cosa rappresenta per te scrivere?

Scrivo perché mi piace condividere ciò che penso, o accendere un dibattito. Tuttavia, la maggior parte delle cose che scrivo non le pubblico.

Sei comparso nel film “Io sono Tempesta” con Marco Giallini, dove reciti un ruolo da “cattivo”, quello del senatore corrotto. Ti hanno scelto perché sei un penalista affermato o per la tua attività teatrale? Che esperienza è stata?

Qualche produzione cinematografica si rivolge ad impresari teatrali quando servono attori per ruoli diciamo professionali. Io ed altri colleghi, siamo stati scelti. E spero che non l’abbiano fatto perché do l’idea di un corrotto (ride)

Prossimamente vedremo Antonio Buttazzo in…

“Delitto ad Argo” di e con Cinzia Tani con la regia di Filippo Chiricozzi. La scrittrice Cinzia Tani, liberamente ispirata da Eschilo, Sofocle, Euripide, Alfieri, Yourcenar e Christina Wolf ha immaginato e scritto un processo a carico di Clitemnestra ed Egisto accusati dell’omicidio di Agamennone. Partecipano oltre alla bravissima attrice professionista Beatrice Palme, Antonio De Robertis, Giulio Eccher, Ferdinando Abbate, Lucilla Tamburrino, Erika Sideri, Pino Nazio, Valerio Giordano, Maria Teresa Condoluci, Matteo Simoncelli, Marina Binda, Fabio Peschi.

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