Amaroni a convegno, racconta l’infinito mondo del miele

di Roberto Messina

La locandina dell’evento

“Tra cielo e terra, luna e miele”, è il titolo del davvero suggestivo e importante convegno tenutosi ad Amaroni, organizzato dal Comune (membro a ragione delle “Città del miele” italiane) che ho avuto il piacere di moderare, tutto dedicato al racconto delle proprietà, della storia, dei valori culturali, rituali, terapeutici, nutrizionali e in genere culturali del più nobile e antico degli alimenti umani: il miele appunto, già noto agli uomini preistorici, e sin dai tempi degli egizi, quattromila anni fa diffuso prodotto dell’apicoltura, e oggi, dopo l’abbandono in favore dello zucchero di canna, è tornato in forte auge per le sue proprietà alimentari e terapeutiche.

Nel ragionare sulle infinite connessioni tra miele, natura, universo, mitologia, poesia, filosofia, sul suo essere incredibile e prezioso collante tra storia, natura e tradizione, le varie relazioni ascoltate e i preziosi contributi portati all’incontro (tra cui quelli dei fratelli Maurizio e Sandro Di Massimo, autori di fondamentali libri sull’argomento erbe, radici, semi, fiori, piante officinali, per lo specialista Aboca Editore) e quello del fisico Francesco Bevacqua, molto, molto interessante (e non poteva mancare) quello di Giacinto De Rosario, oramai conosciuto e seguìto “cuoco alimurgico” (come ama essere esattamente qualificato) fondatore della prima Associazione Alimurgica d’Italia con sede a Fiumefreddo Bruzio (Cs). Esperto conoscitore e appassionato divulgatore di “tutto quello che c’è da mangiare, quando nulla resta da mangiare”, il suo specifico impegno prende spunto da quanto offre il mondo vegetale spontaneo e selvatico. Un tesoro ancora sconosciuto, e diffuso a piene mani in particolare in Calabria.

L’intervento di Giacinto De Rosario
(nella foto al centro)

Immersi come siamo nelle cronache, ahinoi sempre più da incubo, delle produzioni estensive che desertificano, e degli allevamenti intensivi che veicolano virus, raccogliere da mangiare con le proprie mani è cosa che stupisce, affascina, sorprende, e potrebbe pure diventare di moda. Con ciò, ecco il gradito incontro con un vero cuoco “alimurgico” (alimurgia è creatura del medico naturalista Targioni-Tozzetti, del ‘700 fiorentino, che partendo da osservazioni sui propri concittadini i quali nonostante due carestie consecutive non pativano la fame più di tanto, li osservò, spiò, come direbbe Camilleri, uscire la mattina presto con sacchi vuoti e tornare più tardi con gli stessi pieni di erbe raccolte fuori le mura. Gli toccò, da scienziato, sistematizzare quella cultura, quella conoscenza “popolare”, ed editare da lì a poco (1767) il suo famoso libro: Alimurgia.

Giacinto De Rosario, ad Amaroni ha tracciato un originale, raffinato e profondo discorso sul mondo del miele, e meglio, delle api, che riportiamo qui integralmente e che costituisce una vera “lezione” su quanto c’è da sapere, considerare, analizzare, riflettere, e “custodire” a riguardo, partendo dalla consapevolezza, oramai di dominio pubblico, che le api stanno scomparendo, e che se scompariranno del tutto, sarà un disastro per l’umanità, la natura, la biodiversità, la produzione agricola, l’alimentazione umana.  Ecco il suo discorso.

Ebbi le ali per volare lontano dal nido molto presto, e volando volando, nella più bella gioventù, in un settembre dimentico d’estate, approdai all’isola D’Elba. Dal molo in poi, un florilegio di bandiere bianche con striscia rossa in diagonale, e nella striscia, tre Api d’oro… A quale casata nobiliare appartiene quella bandiera… domandai all’edicolante (mitica figura, ora quasi ormai estinta). Sorriso compiaciuto, gongolando, il buon uomo rispose: è la bandiera che Napoleone Bonaparte diede all’isola… beh il resto della storia… trovatelo su google…

Tre api non fanno alveare… ma quel garrire, quell’emblema mi ha portato fin qui, fra di voi. A casa mia, in quel tempo, il miele non c’era, non si usava più (vezzi cittadini). Al suo posto, lucenti e svelti granelli di zucchero bianco. Il miele dorato, liquido e solido, lo incontrai lì. Sull’isola. Poi mi accorsi con più maturo stupore, che gocce di quel miele erano cadute da molto tempo sulla cartina geografica della mia, nostra Calabria… prendendosi nome: Melissa (colei che fa il miele, l’ape quindi); Melito Porto Salvo (fiume del miele); Melicucco (letteralmente acini di miele); Melicuccà (nel cui stemma ritornano le api d’oro) …tutte nate dal dolce prefisso Ittita melit… così lontana, è così prossima è la nostra storia!

Per voi ho estratto dall’enorme quantitativo di scritti, poesie, fiabe, versi, racconti, storie, questa unica poesia, questa del sempre verde e superpop Trilussa. Questa, e tutte le altre dell’ape dicono poco, in verità viene usata, per parafrasare, antropizzandola pregi e comportamenti. Eccola qui con piacere perché mi diverte, ascoltate:

Pur’io vorrei la pace

Diceva l’Ape a un Grillo

Ch’er lavoro tranquillo

Me soddisfa e me piace

Ma finché sulla terra

Parleranno de guerra

Terrò sempre a buon conto

Un pungjione pronto

Er pungjione mio

Che ma arrotato Iddio…

Potremmo continuare per molto, a leggere altre allegorie, similitudini… Il nostro antropocentrismo ancestrale collide con la capacità di convivere equamente con le altre specie, convinti come siamo, che noi umani, siamo l’apice della scala evolutiva. Qualche giorno fa, ebbi la fortuna di incontrare uno scritto di Rosi Braidotti, filosofa del postumano, sulle api. Le sue riflessioni coincidono con le mie, ma lei le dice meglio! Ecco cosa, fra l’altro: il nostro antropocentrismo genera quindi una specie di ignoranza collettiva, o un deficit relazionale verso le altre specie. Le api sono magistrali nelle relazioni diplomatiche con noi, fanno come se la convivenza, con gli esseri antropomorfi, fosse consensuali e definitiva, invece non è così. Non sono addomesticate, ma collaborano con noi secondo un modello contrattuale relativamente chiaro, un contratto potremo dire socio naturale. Lavorano per e con noi, condividendo profitti e rischi, ma tutto a modo loro. E difatti ogni tanto, prendono e se ne vanno via in cerca di altre sistemazioni, svuotando le arnie, e rompendo ogni legame con noi.

Il tavolo dei relatori: da sx, Teresa Lagrotteria (vicesindaco di Amaroni), Roberto Messina,
Gino Ruggiero (sindaco di Amaroni),

Giacinto De Rosario, Francesco Bevacqua

Non è da tutti comunicare con una specie così profondamente convinta della sua superiorità rispetto a noi. Certo spesso le api ritornano nell’arnia, ma tanto tutti sappiamo che se ne andranno di nuovo, quando e come vorranno loro. A decidere sarà lei, l’ape regina, vero simbolo del femminismo postumano, che comunque è stata prescelta, eletta e nutrita dalle api lavoratrici, operaie qualificate in vari settori e specializzazioni, la vera potenza e forza costituente sono loro, anche se a determinare i tempi e i modi sarà lei. Questo dice in un più lungo e articolato scritto la Braidotti.

Quindi, quella scala evolutiva benedetta, elucubrazione antropocentrica, inizia così a perdere il suo appoggio scientifico ed ideologico. E ci impone un altro e diverso modo di intenderlo il naturale, visto allora più come un albero, che prendendo linfa dalla terra ha generato rami e foglie, e su di ognuno di essi ecco apparire il segno di una nuova specie, una vita diversa, un perché forse diverso, ma sincrono giocoforza con noi esseri umani.

Per l’albero non vi è distinzione di importanza, fra i rami più bassi o più alti. Sono tutti suoi, frutto di una architettura consapevole e saputa, alla sua miglior crescita, e alla sua esposizione al sole.  Un invito quindi rivolto a preghiera di un rispetto, di un’attenzione non solo economicista, a questo unico mondo che abitiamo. Le api insegnano davvero, nella loro “sublime indifferenza” quanta distanza da colmare vi è fra ciò che sappiamo (molto), e ciò che dobbiamo capire fino in fondo per evitare al più presto possibile quella catastrofe che le immagini mediatiche ormai quotidiane ci rendono conto”.

Roberto Messina con il suo ultimo, meritevolissimo e appassionato impegno di Calabria Mundi, conosce bene quanto mi batta perché un sapere antico quale è l’Alimurgia, torni nuovo all’attenzione di noi tutti. Lasciate che vi lasci con una domanda…: quale sottile, incredibile intelligenza occorre perché le piante abbiano sviluppato per riprodursi quell’enorme armamentario floreale per attirare in maniera, possiamo dire gratuita, insetti come le api, a farsi veicolo per la loro riproduzione? Le api volano, e con loro un enorme bioma. Noi sciocchini, riproduciamo solo noi stessi… Mi sa che le api, potranno fare a meno di noi!