Joe Oppedisano, quando si dice “fotostar”…

Originario di Gioiosa Ionica (Rc), una vita a New York dove è stato allievo della leggendaria “School of Visual Arts”, oggi residente nell’alto mantovano, ha alle spalle una sfolgorante carriera

Joe Oppedisano ritratto da Roberto del Vecchio

di Roberto Messina

Ci sono grandi razze di fotografi: quelli che fabbricano immagini ripetendo ciò che è stato realizzato in passato; quelli che lavorano in studio; quelli che hanno per studio il mondo; infine quelli che possono definirsi artisti. Oppedisano soprattutto con gli ultimi lavori è riuscito ad individuare una strada nuova di racconto visivo” – così Giorgio Lotti su Joe Oppedisano, calabrese di nascita (Gioiosa Ionica, Rc, 1954), statunitense di formazione (New York, dal 1961) ed europeo (Milano dal 1981 e poi il Garda mantovano) per gusto e amore del bello, della storia, della tradizione, attivo nel nostro Paese ai più alti livelli, con un lavoro di grande interesse per l’incessante ricerca del nuovo e del particolare espressivo.

Concentrato su grandi temi (artisti di strada, circo, collage, immagini multiple) Oppedisano ha ingaggiato una complessa “sfida” analitica col mondo interiore e quello sensitivo delle immagini: “un impegno paziente, profondo più che approfondito – chiarisce Lanfranco Colombo –  con un grande amore per la ricerca, un forte desiderio di conoscere e viaggiare. Il tutto condito con lo zenzero di una frizzante cultura mista, cosmopolita”.

Una “De-costruzione” dedicata
a Mimmo Rotella

Come procede l’artista Oppedisano? – si chiede Morando Morandini -. Reinventa le ottocentesche silhouettes e, con una ingegnosa metamorfosi, traduce il montaggio cinematografico – procedimento temporale – in una dimensione spaziale. Rinnova cosi il genere del ritratto, genere che, sulla scia della pittura, fu all’origine della fotografia”.

Ciò che lo attira maggiormente (è lo stesso Joe a dichiararlo nell’introduzione al volume “Il circo”, Motta editore) oltre la pubblicità, è capire ciò che è diverso, che appartiene alle cosiddette sub-culture: persone o gruppi che vivono (e spesso sopravvivono) solo grazie alla passione per quello che fanno. Ma non è antropologia. E’ esplorazione delle possibilità del “terzo occhio” con un linguaggio personale, come per Mirò, Dalì e soprattutto Picasso in pittura.

Come tutti i fotografi che possono vantare una concreta e solida educazione di base (nelle aule, nelle sale di posa, nelle camere oscure della “School of Visual Arts”) Joe infatti, mostra e dimostra un approccio fotografico concentrato, non casuale.

“Mid Town”, De-costruzione

Al pari dei fotografi di cultura statunitense (si legge sulla rivista “Pro” che gli ha dedicato una copertina) il quotidiano non ha allontanato Oppedisano dalla fotografia di ricerca, confezionata al di fuori e oltre i canoni della committenza: quella fotografia che dà possibilità di “pescare” nell’estetica non ancora finalizzata, i suoi stessi termini più moderni e accattivanti.

Insomma, pur dovendo stare in linea con il “materialismo del senso comune”, la semplice azione individuale di riprendere un soggetto entro un riquadro determinato riesce a racchiudere concetti che scomodano idee chiave e filosofie. Dimostrando con ciò, che la fotografia non si sterilizza necessariamente alle sue evidenti apparenze, ma può (e deve) coinvolgere la costruzione stessa del processo mentale ispiratore. “Il modus operandi di Joe – si legge nella rivista ‘Il Fotografo’ – diventa linguaggio stimolante, vivace, che fa osservare luoghi deputati o situazioni di vita quotidiana con un nuovo spirito e una nuova evocativa”.

Queste, sono invece alcune dichiarazioni di Oppedisano: “Un ritratto non è una somiglianza. Nel momento in cui un’emozione o un fatto è trasformato in una fotografia, esso non è più un fatto ma un’opinione.” E poi: “Quello che mi attira di più, al di fuori dei tradizionali criteri pubblicitari e commerciali, è capire tutto cioè che è diverso, che appartiene alle cosiddette sub-culture: persone o gruppi che vivono, e spesso sopravvivono, solo grazie alla passione che mettendo in quello che fanno”.   

“De-costruzione”, Biennale di Venezia 2011

Oppedisano nasce, come detto, a Gioiosa. A otto anni si trasferisce con la famiglia in America, iniziando a lavorare per noti fotografi pubblicitari newyorkesi e avviando la sua attività di free-lance. Negli anni ‘80 è a Milano come inviato culturale di riviste americane: il “la” per una sfolgorante carriera su pubblicazioni come “Capital”, e grandi agenzie di spot e campagne per marchi come: Adidas, Pioneer, Kodak, Hitachi, Lacoste, Apple, Fiat, Campari, Ras.

Ma il lavoro professionale non gli basta. Si applica parallelamente, infatti, ad una ricerca visiva che esplora le possibilità tecniche del mezzo fotografico. Nascono così numerose foto artistiche pubblicate da riviste, raccolte in volumi, esposte in mostre (una quarantina di “personali”: da Milano a Tokyo, Roma, Parigi, fino al Museo “Alinari” di Firenze), oltre i favolosi “Collages” realizzati con una macchina fotografica personalmente modificata per ottenere inedite sequenze panoramiche e di scomposizione neofuturista del soggetto.

“Musicians”, una delle spettacolari “Extensions”

Quello di Oppedisano, una sorta di “Fellini della fotografia” considerata l’attenzione maniacale alle location (l’ambientazione), al casting (i personaggi), allo styling (gli accessori, i fondali), è uno straordinario viaggio dentro la mobilità dell’immagine. Un viaggio di un calabrese “fino al midollo” che ha conservato l’imprinting genetico, ma ha proiettato anima e mente nel mondo, alla ricerca di sogni, immagini, rappresentazioni in grado di emozionare ed emozionarci…

Le sue fotografie mirano a superare i limiti e a rompere le regole, a partire dalle “Architetture” che dissezionano il tempo, ai “Collages” che invece uniscono i fotogrammi, prima scomposti e poi sovrapposti in forme coincidenti quanto inedite e inaudite. Così il gioco e la prospettiva cubiste, risorgono e si sublimano nelle “Extensions”, i ritratti “lunghi” con un continuum d’immagine che trasforma i soggetti ritratti in elementi totemici. Infine gli “Innerself”, i ritratti del “profondo” che scavano nel soggetto incorniciato nella sua stessa silhouette come in un’impronta digitale,

Le sue opere – è stato detto – immortalano la geometria del tempo, la variabilità che intercorre tra reale e irreale e richiedono un sguardo analitico che riscopra il piacere della lentezza del mutamento, dello stupore della metamorfosi, ma anche del dinamismo in chiave futurista”.

Due volumi fotografici di Oppedisano sugli artisti di strada e sui ritratti in silhouettes

Oppedisano è un maestro nel suo campo, tra quelli rari, capaci di sintesi estreme e al tempo di estreme allusioni e metafore, capaci di scattare foto dell’istante che però evocano un au de là, una visione che va oltre o dentro, o che si prolunga fuori e altrove.

Nei giorni scorsi, è stato tra i protagonisti della straordinaria Mostra “Bellissimo. 20 fotografi travolti da insolito splendore” al Mo.Ca, il Centro per le nuove culture a Brescia, a cura di Mario Trevisan, in compagnia di Claudio Amadei, Gabriele Basilico, Mariella Bettineschi, Fabio Bix, Dorothy Bhawl, Silvia Camporesi, Bruno Cattani, Giovanni Chiaramonte, Renato Corsini, Franco Fontana, Maurizio Galimberti, Giovanni Gastel, Luca Gilli, Carlo Mari, Massimo Minini, Gianni Pezzani, Carlo Orsi, Paolo Ventura, Ramona Zordin.

Per chi volesse saperne di più: wikipediahttps://it.wikipedia.org/wiki/Joe_Oppedisano – www.joeo.com

Libri (scrivere a joe.cavriana@gmail.com): New York, Motta 1997 – Dark Blues, Graphoto 1998 – On The Road, Imation 3M 1999 – The Circus, Motta 1999 – Innerself, Charta 1999 – Unusual Portraits, Gelmini 2005 – 25 Anni di Arte di Strada, Edizioni Papergraf 2017

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