IN OMAN PER COsTRUIRE… L’EDEN

Intervista a Nilo Domanico, ingegnere calabrese (originario di Rossano, Cs)  chiamato a dirigere nella capitale Muscat, la realizzazione del più grande giardino botanico del mondo, un progetto da 312 milioni di euro, a capo di 50 ingegneri ed architetti provenienti da ogni continente.

di Roberto Messina

Sarà una costruzione imponente, anzi “monumentale” nel vero senso della parola. Si estenderà per ben 4,22 milioni di metri quadri, in pieno deserto omanita, vicino Muscat, la dinamica e ricca capitale dell’Oman, isola di tranquillità nel mezzo del Golfo arabo. Grazie ad un (a dir poco) mega-impianto fotovoltaico, sarà self-sufficient sul piano energetico.

Nilo Domanico sul cantiere di Muscat

L’incredibile giardino paradisiaco che trasformerà l’arida sabbia in vitale frescura, è stato voluto direttamente dalla famiglia reale, ed in particolare dall’amatissimo e compianto (scomparso di recente) sceicco Qābūs bin Saʿīd Āl Saʿīd, sultano di Mascate e Oman dal 1970 al 2020, quattordicesimo discendente della dinastia Āl Bū Saʿīdī, il più longevo dei leader arabi. Educato in Inghilterra, è stato l’artefice del processo di modernizzazione del Paese con una politica di riforme e progetti di sviluppo soprattutto nel settore educativo-culturale e in quello sanitario, e con il merito di aver posto fine all’isolamento dell’Oman con l’adesione alle Nazioni Unite e la politica di avvicinamento ai Paesi sunniti sfociata nell’ammissione dell’Oman alla Lega araba (1971).

Il Giardino botanico si mostrerà come uno dei più grandi, anzi il più grande al mondo! E non solo. Pur nella giusta logica della sustainability e della environmental sensitivity, l’Oman Botanic Garden prevederà la costruzione e la dotazione di varie strutture complementari: tra cui un immenso centro visitatori, un centro di ricerca, un centro studi sul campo, i giardini dell’habitat all’aperto, un bioma montano settentrionale, un bioma montano meridionale e un’area di riserva naturale. Ciò che comunque andrà tenuto di mira, sempre e in generale, è una light footprint, una impronta leggera e non invasiva, tanto nella progettazione che nella messa in opera e nella fruizione e soprattutto nell’impatto col territorio. Una cosetta da nulla, insomma, sostenuta da una spesuccia da niente: 312 milioni di euro.

A sovrintendere a cotanto fare, e ardire, a coordinare i lavori di questa epica impresa, un calabrese purosangue, ingegnere esperto di project management e problem solving, con la piena responsabilità di vicedirettore del programma di attuazione e direttore dei lavori: ossia Nilo Domanico, da Rossano Calabro, professionista coraggioso e polivalente, con grande e significativa esperienza accumulata in pochi anni, passando dalla progettazione di grandi edifici, alla gestione e realizzazione di progetti articolati e funzionali, muovendosi a ritmo sostenuto e con leggerezza in vari cantieri tra Europa e Asia.

Laurea all’Università di Roma, tra i suoi vari, grandi lavori, la progettazione e costruzione di due mega-hotel: il Radisson negli Emirati Arabi ed un altro a Sohar, nel sultanato dell’Oman, il Radisson Blu. Quest’ultimo è stato la cover story di un importante magazine, “Construction World”, diffuso in tutto il mondo arabo e India (circa 50.000 copie) con all’interno una lunga intervista a Domanico quale progettista e project manager. A ruota, e sempre in Oman, la realizzazione dell’Hotel Hilton e del terminal della Oman Air nel nuovo aeroporto internazionale di Muscat. Domanico ha così avuto l’onore di essere tra i 25 imprenditori/progettisti che hanno accolto il presidente della repubblica Italiana Sergio Mattarella, durante la sua visita in Oman, e quello di entrare in confidenza con la Principessa di Casa reale Susan Al Said che ha inaugurato una sua mostra fotografica in apertura della Settimana italiana della cultura in Oman, nel maggio 2017, con ampio risalto sulla tv di Stato omanita, ed un’intera pagina su un importante quotidiano nazionale, il “Muscat Daily”, oltre vari articoli sul “Times of Oman” e l’Oman Observer”,

Nilo, quando è cominciata la tua avventura di ingegnere?

Si potrebbe dire che è stato un bel film, di cui ancora non si conosce il finale, ma che è valso la pena comunque girare. Il prequel è partito il 15 luglio 1997, giorno della mia laurea. Il film vero e proprio, è nato invece nel 2003, ma non in Oman, bensì con il mio primo viaggio di lavoro in Egitto e Yemen per il “concept design” di un Resort a Sharm El Sheikh e di una Clinica Universitaria ad Aden. Anche se, forse, la vera svolta è stata nel 2001, a seguito del master frequentato a Durham in Inghilterra, che ha influenzato non solo la mia carriera di ingegnere. Da allora, il forte desiderio di lavorare all’estero mi ha condotto prima negli Emirati Arabi, dal 2003 al 2009, poi in Oman dal 2009 fino ad oggi. E’ stata una sfida, nata dalla volontà e dal desiderio di conoscere e confrontarmi con il mondo. Parafrasando Troisi, non ho lasciato la Calabria come “emigrato” ma come “viaggiatore”. Non so se ho fatto l’ingegnere per girare il mondo, oppure se ho viaggiato per il mondo perché ero ingegnere.  

Rendering dell’area interna dell’Oman Botanic Garden
Rendering dell’esterno dell’Oman Botanic Garden

E’ stata, come si dice, una vocazione? O una casualità?

Quando si chiede ad un bambino se vuole fare l’ingegnere o l’astronauta, di solito risponde senza pensarci su due volte: “l’astronauta”. Sono stato tra i pochi bambini a rispondere: “l’ingegnere”.

Oman, realtà comunque particolare se non complessa. Descrivicela un po’…

Dall’esterno potrebbe apparire così, ma a viverla non è tanto lontana dalla nostra realtà, specie se riferita al Sud Italia.  I “tempi” di vita sono molto più simili ai nostri di quanto non si creda. Non dimentichiamoci che, comunque, il Sud Italia è stato soggetto alla dominazione araba, che ha inciso sulla cultura, dall’architettura alla cucina. Tra l’altro, ci sono parole italiane come pantalone, fattura, sorbetto (o “scirubetta”, dall’arabo sciorbet) che sono praticamente simili. Per non parlare della convivialità e del valore dell’ospitalità, tipico degli omaniti e di una nazione che ha comunque una forte tradizione storica molto aperta agli scambi culturali con gli altri popoli.

La tua infanzia, ricordi, rimpianti.

Il masterplan dell’Oman Botanic Garden

La mia famiglia è di umili origini. Nonostante non fossimo benestanti, la mia infanzia è stata più che felice: a riprova che i soldi non danno la felicità (che molti pensano sia una “frase fatta” inventata dai ricchi). Ricordo il primo giorno di scuola alle elementari; i giochi nel cortile o sulla strada davanti casa, ancora sterrata; le zie e gli zii che facevano a botte (metaforicamente) per portarmi in giro e per coccolarmi (ero il primo nipote). I nonni che mi volevano un gran bene, così come i miei genitori Agostino e Rosaria. Mio fratello Antonio complice dei giochi d’infanzia, come per le malefatte. Non ho rimpianti per l’infanzia. Se ci fosse concesso di tornare indietro nel tempo, la ripercorrerei tutta, così come l’ho vissuta. Un abbraccio a mia sorella Anna, venuta al mondo quando ero già adolescente e purtroppo non ha fatto parte della mia infanzia.

Hai portato con te la tua famiglia, come si trova?

Sì, è stata con me, in un Paese in cui non esiste delinquenza e dove mi sento sicuro di mandare i figli in giro in una città di oltre 1 milione di abitanti. Certo, tutti loro hanno sentito la lontananza dai parenti, e di questo sacrificio devo ringraziare Michela, Agostino e Paola. Ma si sono ambientati bene, hanno i loro amici, le loro abitudini, i loro luoghi del cuore.. Parlano inglese ormai fluentemente, ma hanno ben salda la consapevolezza della loro italianità. Sono felice di averli preparati alla sfida del mondo globalizzato, dandogli strumenti che non tutti hanno la fortuna di ricevere. All’inizio c’era ovviamente un po’ di timore per il fatto di vivere in un contesto con differenti punti di riferimento umani e sociali, ma posso ben affermare che è bastato un solo giorno per mettersi alle spalle il passato ed affrontare questa sfida con coraggio ed abnegazione. Ricordo il primo giorno di scuola dei ragazzi, entusiasti. Ora il primogenito è in Italia a studiare fotografia.

Ci racconti una tua giornata tipo?

Non è diversa da una giornata in Italia. Scuola, lavoro, spesa. Nel corso di questi anni però, durante i weekend o i periodi di vacanza, abbiamo esplorato in lungo ed in largo l’Oman alla scoperta di un Paese multiforme e variopinto dal punto paesaggistico ed antropologico.

Nilo Domanico con i responsabili del progetto
dell’Oman Botanic Garden

Oltre il lavoro di routine, da ingegnere e progettista hai una tua linea stilistica che cerchi si seguire comunque?

Ho sempre cercato di “mescolare” la tradizione con l’innovazione, quando ero ancora progettista e “disegnavo” i due Hotel 5 Stelle Radisson Blu. Da qualche anno seguo solo cantieri come project manager o “consultant”, dunque è tempo che non elaboro progetti, ma li realizzo.

Una responsabilità molto grande, la tua, nell’Oman faro della cultura e dell’educazione araba, a dichiarata vocazione turistica.

Se non fossi diventato ingegnere, probabilmente avrei studiato storia e archeologia. Mi affascina il passato, mi intriga la ricerca. Non ho mai smesso di studiare. Lo faccio durante i miei varchi di tempo e ciò a breve sarà “esposto” in un libro storico/avventuroso che in parte è ambientato nelle pieghe della storia omanita, lungo le sue tradizioni e tra le sue radici. Qualche anno fa sono venuti alla luce i resti di un’antica città, Salut, risalente all’età del bronzo, e di Ubar, la “città dalle mille colonne”, presenti nei miei scritti ambientati nel Medioevo.

Quanta gente lavora con te, o se permetti, come si dice, “sotto” di te, all’Oman Botanic Garden?

Ho un doppio ruolo, quello di vice direttore di progetto, una sorta di dirigente dell’Ufficio Tecnico del Diwan of Royal Court, e di direttore dei lavori per la costruzione. Dirigo 20 tra ingegneri/architetti e 80 tra botanici/paesaggisti come staff interno, inoltre coordino altri 25 ingegneri del team di design che collaborano con noi alla realizzazione del progetto.

In questo tuo impegno, cosa ti piace più e cosa meno?

Faccio un lavoro che è sempre stata la mia passione e per questo non mi pesa. Ma nel lavoro, come nella vita, si ha a che fare con persone. Dunque le problematiche sono simili. Mi piace tutto, le difficoltà, come i risultati raggiunti. Entrambe le cose contribuiscono in egual misura alla crescita individuale e dunque servono ambedue.

NIlo Domanico tra gli imprenditori che hanno accolto in Oman
il presidente Sergio Mattarella

La rete internet. Un habitat propizio per intercettare, promuovere e manipolare i flussi di novità? O pensi piuttosto che le idee nuove nascano sempre e comunque in solitudine…

Le idee nuove nascono in assoluta solitudine. Sulla vetta di un una duna, come sulla riva del mare. Sulla cima di una montagna, o su una tundra infinita. L’embrione di un’idea non ha bisogno di tecnologia, ma solo di sinapsi tra neuroni.

Veniamo alla tua terra d’origine. 

Ogni volta che attraverso il valico di Campotenese, la Calabria mi sembra ancora più bella, forse perché vivendoci, l’occhio si era “abituato” alla straordinaria ricchezza della nostra regione. Certo che ci tornerei a vivere. Sarebbe un’ulteriore sfida, al pari di quando sono partito, nel 2003, quando in Italia non c’era ancora questa crisi tremenda, e pur con tutte le difficoltà, si poteva ancora lavorare bene e guardare con speranza al futuro.

Esiste secondo te un’identità, una peculiarità calabrese?

Ogni comunità, racchiusa nel tempo da delimitazioni geografiche e morfologiche come le montagne ed il mare che rallentano le interazioni con altri popoli, sviluppa una propria peculiare e forte identità. La Calabria, delimitata dal mare e dalla catena del Pollino, ne ha una fortissima, poi contaminata da influssi greci e bizantini che l’hanno plasmata. Forte volontà e determinazione nella gente, certo, e soprattutto. Ma anche, talvolta, punte di eccessiva lentezza. Non sono mai stato per le generalizzazioni. Si riesce a fuggire dal migliore, come dal peggior retaggio. Alla fine, è sempre l’Uomo che vince, al di là delle proprie origini. Le radici contribuiscono a formarlo, ma il destino è poi sempre nelle sue mani.

Da “Elogio della fuga” di Heny Laborit : “In tempi come questi, la fuga è l’unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare”?

Per me la fuga può essere salutare in certi momenti. Talvolta, quando non puoi lottare contro il vento che genera tempesta, meglio cambiare rotta, salvare nave ed equipaggio, e poi ripartire. Indietreggiare, per poi avanzare con ancora più forza. La fuga è sempre temporanea. Ed io sono calabrese fino al midollo. Dunque, lottare per fermare le fughe. Niente è immutabile. Magari quando Corrado Alvaro rifletteva su questo, aveva perso ogni speranza. Per me la speranza non muore mai. “Non è finita fino a quando non è finita”

In cosa sei calabrese? E in cosa no?

Per la testa dura… non per la perenne fuga. Talvolta un calabrese può essere pigro. Io credo di non essere pigro. Devo sempre fare qualcosa.

Davanti la Sultan Qaboos Mosque.

In cosa sei omanita e in cosa no?

Sostanzialmente non c’è tanta differenza tra un omanita ed un uomo del Sud. Forse per questo mi sono trovato bene in questo Paese.

Un’idea per la Calabria.

La Calabria, così come l’Italia, è “bloccata” ormai da decenni da una serie di “tappi” che ostruiscono la fuoruscita delle energie migliori. Vedo un’Italia ingessata dalla burocrazia e dalle caste. Dove tutto è complicato, dove occorre una laurea specialistica solo per capire come aprire o chiudere un’impresa. Dove i costi energetici e quelli legati alla corruzione sono troppo pesanti per essere affrontati da un investitore italiano o straniero, che per questo preferisce dirottare altrove… In Italia, come in Calabria, è ormai quasi totalmente instaurato, anche se nessuno lo ammetterà mai, un sistema di caste chiuse che comprende i vari settori o categorie che definiscono la nostra società, il cui interesse è l’autotutela e non il progresso comune di tutta la comunità. Non esiste solo la “casta” politica italiana. Se fosse così, basterebbe spazzarla via. Invece è lì perché si regge su accordi a “geometria variabile” con tutte le altre caste a valle. Gli unici che non fanno “casta” sono i sommersi, gli invisibili. Ma i “salvati”, in un modo o nell’altro, sono “casta”. Un’Italia che per rivivere andrebbe stravolta da un nuovo Rinascimento, nel vero e letterale senso del termine. Investire in Cultura, Arte e Ambiente, i settori in cui potremmo essere davvero potenza mondiale. Non è possibile che in Oman sia valorizzata l’Opera Italiana, e nella scuola locale venga studiato Dario Fo, mentre in Italia i teatri vanno a chiudere. E’ magnifico andare alla Royal Opera House di Muscat per assistere alla Turandot o all’Aida nella lingua originale, ma è poi triste uscire e pensare, mortificati, che in Italia, dove queste opere sono nate, stiamo ricadendo nel Medio Evo.

Una proposta di ingegneria per la Calabria. Da te una proposta di ingegneria ambientale…

Finita l’emergenza dell’epidemia, in regione si dovranno affrontare altre emergenze che rischiano di danneggiare ulteriormente il nostro territorio e la nostra economia. In primis l’agricoltura. L’eccessivo emungimento delle acque di falda da pozzi per l’irrigazione, ha determinato la progressiva salinizzazione delle stesse e quindi il nuovo impiego di acque salmastre con conseguenze drammatiche sulle proprietà chimico-fisiche del terreno e sulle colture. In particolare, l’ingresso del cuneo salino, la salinizzazione delle acque di falda superficiale: un fenomeno che uno volta innestato è irreversibile. Non esistono dati certi sul numero di emungimenti idrici da falda attraverso pozzi: nella sola Piana di Sibari, si stima che di 500-1000 pozzi esistenti agli inizi degli anni ’70, si è passati ai 5000-6000 degli anni attuali. Risulta enorme, inoltre, la differenza tra le superfici effettivamente irrigate e quelle irrigabili.

Le ragioni che hanno determinato tale riduzione possono prevalentemente ricondursi a difficoltà strutturali e gestionali. Le difficoltà strutturali relative agli impianti, sono da riferirsi, in certi casi, all’inefficienza e al deterioramento delle opere di presa e alle insufficienti risorse idriche derivabili, inferiori a quelle valutate in progetto. Per quanto riguarda le opere di adduzione e distribuzione, le carenze sono dovute alla loro vetustà e all’obsolescenza del sistema a canalette prefabbricate, adottato in molti impianti, specialmente nell’area Sibari-Crati. Tali strutture sono spesso causa di perdite consistenti, tanto che il grado di efficienza in alcuni casi non arriva a superare il 50% e peraltro richiedono annualmente ingenti oneri economici per la manutenzione.

In base a quanto detto sopra, non si può non evidenziare con forza come sia importante, da non sottovalutare, e prioritario, il problema dell’ammodernamento e della razionalizzazione degli impianti. Esistono impianti a canaletta, di vecchia costruzione, che servono aree importantissime e che occorre convertire al più presto in impianti tubati, in quanto servono, come detto, aree dove la tradizione irrigua è ormai consolidata. Essi adducono al campo volumi d’acqua sempre più ridotti per le enormi perdite che si verificano lungo il percorso, con conseguenti spese di manutenzione ed esercizio sempre maggiori. Inoltre non consentono di praticare un tipo di agricoltura moderna e meccanizzata.

Nilo Domanico nel deserto omanita

Cosa bisogna fare, tecnicamente parlando?

Predisporre gli interventi da attuarsi con i Fondi Strutturali Europei, da rivolgere principalmente al risparmio e ottimizzazione della risorsa; alla razionalizzazione e miglioramento del servizio di distribuzione irrigua; alla riconversione degli attuali impianti a canaletta in impianti tubati; alla ricerca di nuove fonti di approvvigionamento idrico alternative (impianti di desalinizzazione). Vi sono diversi modi di desalinizzare l’acqua del mare, risorsa infinita del nostro territorio. Alcuni sono costosi, dovrebbero utilizzare enormi fonti di calore, ed altri più abbordabili dal punto di vista economico. Potremmo esplorare tutte le strade possibili, avendo ancora sul territorio delle “presenze” e delle risorse importanti, seppur magari “dormienti”. Si tratterebbe di sollecitare i tasti “giusti” per poterle risvegliare…

Calabresi cui ti sente particolarmente legato e calabresi fondamentali per la tua vita e la tua carriera?

Un calabrese di Soverato, poi trapiantato a Roma, il prof. architetto Lorenzo Monardo, un uomo speciale ed uno straordinario professionista che ha progettato infinite opere in Italia ed all’Estero, tra le quali le Due Torri del Centro Direzionale di Napoli e il “Fungo” a Roma Eur, per citarne solo tra le due più famose. Una persona umilissima e gentile, come solo i veri “grandi” sanno essere. Mi ha insegnato disciplina e metodo nel lavoro. Oltre che, fatto comprendere che nessun traguardo è impossibile da raggiungere. Nessun sogno è impossibile da realizzare.

Una bella e rapida “carriera” la tua… 

Beh, a 50 anni ho fatto abbastanza, ma molto resta da fare nei prossimi 50. Opere di rilievo ed utili per la comunità dove sono state realizzate.

Un lavoro, un’opera cui ti senti particolarmente legato?

L’attuale opera, il Giardino Botanico dell’Oman, probabilmente per la sua unicità e valore, quella che mi resterà nel cuore fino alla fine dei miei giorni. Quanti giardini botanici ci sono al mondo? Non tutti hanno avuto il privilegio e l’onore di averne realizzato uno. Questo sarà quello più esteso e “tecnologico” al mondo. Ma devo dire, che sono particolarmente legato affettivamente ad uno dei miei primi lavori: il Radisson Blu di Sohar, un Hotel a 5 Stelle che ho progettato e realizzato. Come avere un figlio partendo dal concepimento, per poi vederlo crescere e diventare grande.

Chi sono i Suoi più grandi nomi di riferimento nel mondo dell’ingegneria e della architettura?

Renzo Piano e Frank Lloyd Wright come geni dell’architettura, per la semplicità e la funzionalità delle loro opere e per il contributo di bellezza apportato all’intera umanità.

Da quali passioni è animato Nilo Domanico?

Nilo Domanico con il giornalista
Federico Fazzuoli,, storico conduttore
della trasmissione Rai “Lineaverde”

Oltre quella per il mio lavoro, la fotografia e la scrittura. Decine di migliaia di foto in giro per il mondo, diventate poi oggetto di un libro e di due mostre: la prima a Rossano, alla Fabbrica Amarelli, nel 2014; la seconda che ha aperto la Settimana della Cultura Italiana in Oman, al Museo Nazionale “Bait al Zubair” nel maggio 2017. Curo, inoltre, uno dei gruppi fotografici on-line più famosi sulla rete “Rainbow”: un network di oltre 26mila fotografi da tutto il mondo, attraverso il quale da 4 anni organizzo il Premio Internazionale di Fotografia “Italo”. Per la scrittura, ho appena completato il mio primo romanzo storico, ambientato nel Medioevo, in fase di rilettura e correzione. Doveva uscire quest’anno, ma vista l’emergenza virus, probabilmente sarà pubblicato nel 2021.

In Italia quali sono i tuoi luoghi del cuore?

Sarò banale ma adoro Roma. Poi anche Tropea e Capo Vaticano.

E nel mondo?

L’Isola di Skye, le Highlands in Scozia, Durham in Inghilterra. Jebel Shams e Wadi Shab in Oman.

Il posto più bello che hai visitato?

L’Isola di Skye. Un concentrato di così tante bellezze in un unico posto, secondo me senza pari nel mondo.

La globalizzazione ci ha portato in casa il mondo: c’è ancora qualcosa da raccontare?

C’è ancora tutto da raccontare. La globalizzazione è solo uno strumento. C’è chi lo utilizza a livello speculativo, ma ha fatto anche accorciare le distanze tra i vari Paesi, le diverse culture, i tanti popoli. Come sempre, sta a noi far prevalere le positività di questo “fenomeno” e non lasciarlo in mano a pochi.

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