Gianni Guerrieri: il teatro con la maiuscola e il ricordo emozionante del lavoro in Calabria, tanti anni fa…

A Firenze, incontro con l’attore-pioniere dell’arte teatrale calabrese tra gli anni ‘60 e ’80, e poi tra i protagonisti delle scene italiane

di Roberto Messina

 

Dopo tanti anni, con grande gioia, ritrovo a Firenze Gianni Guerrieri, attore e regista di origine calabrese (è nato a Borgia). Il Caffè Rivoire di Piazza della Signoria (non ai tavoli, che non si può più) è anche in piedi la cornice ideale per parlare di teatro (nostro antico e condiviso amore), per riannodare i fili comuni delle rispettive storie, per riflettere sulla società d’oggi, assai diversa da quella calabrese degli anni ’80.

E’ una conversazione pacata, ma appassionata, sul fil rouge del tempo che passa trasformando cose e persone, ma non riuscendo a vincere le grandi passioni. Si comincia dalle origini, l’attività in Calabria. Gianni, ricordo con particolare piacere il tuo “Viaggio del povero Giangurgolo”: perché allora la scelta di quello spettacolo?

“Pensavo che in Calabria ci fosse particolare bisogno di lavorare sulle persone, stimolarne il senso critico, la capacità di decifrare la realtà per tentare di modificarla. Ho ritenuto all’epoca utile agire nelle scuole, con i bambini e i ragazzi in formazione, oltre che con gli spettacoli nei teatri e nelle piazze. Ho perciò fondato l’Associazione culturale ‘La zagara’, raggruppando attorno a me giovani attori e tecnici prevalentemente locali, ed ho avviato un’intensa attività. Con l’assessore all’Istruzione di allora al Comune di Catanzaro, il compianto Francesco Mercuri, persona straordinaria per spessore culturale, capacità e lungimiranza, abbiamo così elaborato l’idea, nuova per quei tempi, dei ‘Laboratori teatrali’ e messo in piedi spettacoli in vari luoghi della Calabria, anche ‘sperduti’. Il più apprezzato tra questi ‘Il Viaggio del povero Giangurgolo. Dialogo di un comico e di una tartaruga’: un lungo tour in Italia nei luoghi della Commedia dell’Arte, in cui la maschera calabrese di Giangurgolo (Zanni) incontra altre maschere: quella napoletana di Pulcinella, quella veneziana di Arlecchino, e così via. Al centro, il tema della de-territorializzazione, della sofferenza dell’emigrato che, in giro nel mondo per trovare lavoro, perde identità e radici e deve accettare solitudine e sofferenza come dimensione abituale di vita. Lo spettacolo, su mio testo e regia, ed un solo attore, io stesso, e la tartaruga Ecuba a rappresentare la storia antica del mondo, ha avuto pieno successo, rappresentato anche a Roma e ripreso da Rai 3. In quegli anni sono stato regista, attore e drammaturgo di ‘Pseudolus’ di Plauto, ‘Poesie d’amore’, ‘Ecco i clowns’, e poi ‘Signori, la mafia’ su testi di Corrado Alvaro, sulle critiche condizioni della società calabrese”.

Con il grande Tino Buazzelli

Gianni, poi la tua esperienza professionale si è sviluppata tra gli anni ’60 e ’80 soprattutto a Milano e Roma, e più in generale nei grandi teatri italiani, al seguito di importanti compagnie e registi. Sei tornato in Calabria, dove sei rimasto per un po’. Cosa ti ha spinto al rientro?

“Il mio amore per il teatro dura da sempre. Fin da bambino sentivo attrazione per ogni spazio o situazione che presentasse aspetti di teatralità, protagonismo, esibizione. A scuola ed in chiesa, tutte le recite erano mie. Da adolescente ho coltivato questa passione, e maturato l’idea del teatro come professione. Il bisogno di dotarmi degli strumenti necessari, mi ha spinto, giovanissimo, a Milano, all’Accademia dei Filodrammatici diretta da Esperia Sperani, la migliore di allora… Teatro, cinema, televisione sono divenuti il mio mondo. Ho avuto la fortuna di fare esperienze indimenticabili con i più grandi registi ed attori italiani: Dario Fo, Giorgio Strelher, Elsa Merlini, Gino Cervi, Vittorio Gassman, Tino Buazzelli, Virna Lisi, Pasquale Squitieri, Giorgio Albertazzi; e poi Cobelli, Scaparro, Calenda, per citarne alcuni. Non ho mai dimenticato la mia terra, con le sue bellezze e la sua forza, ma anche la sua miseria e la sua rassegnazione, dove sono cresciuto ed ho affetti cari e dove c’è bisogno dell’impegno di tutti per far rifiorire la civiltà. La cultura ha un ruolo fondamentale per la crescita degli uomini, per questo ho ritenuto doveroso il mio contributo”.

Nei panni di Giangurgolo

Ed oggi, la tua professionalità, la tua esperienza, dove ti hanno portato?

“Dopo il periodo calabro, ho ripreso il lavoro nel teatro e nella tv nazionale. Poi, ho deciso di dedicarmi alla mia famiglia, a mia figlia che abita negli Stati Uniti ed a mia moglie impegnata da sempre in politica, con la quale vivo a Livorno. Qui, la Fondazione del Teatro Goldoni, che svolge un’intensa attività culturale nel teatro, la musica e la danza, e che ha visto impegnate figure di prestigio internazionale come Lindsay Kemp, mi ha chiesto di tenere dei corsi di recitazione. Un’attività non facile, perché i giovani di cui occorre attrarre l’interesse, sono oggi molto diversi da quelli del passato. E’ stata un’esperienza interessante ed anche gratificante. Il risultato è venuto bene, come nella messa in scena de l’Inferno’ di Dante e di ‘Salmodiando’ un mio testo sui Salmi. Un bella soddisfazione, ho poi avuto con l’altro mio spettacolo-monologo sulle ‘Confessioni’ di Sant’Agostino”.  

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