LIBRO: Il faggio che sposò la luna

Autore Felice ForestaEditore Tra le righe Libri

Che l’uomo sia un umile impasto di terra, lo dice il Libro per eccellenza. Che in quell’alchemica mistura di polvere, sangue e lacrime, si sedimentino indissolubilmente anche voci, gesti, profumi e liturgie della propria terra, amata o odiata che sia, tutto ciò, invece, lo rivela questo romanzo. E più di tutti, lo racconta il protagonista di questo bel libro dell’avvocato catanzarese Felice Foresta, Giancarlo Morabito, docente di Botanica Farmaceutica all’Università di Agraria di Piacenza che, una mattina di settembre, vede proiettare su un vecchio specchio di famiglia le vicende della sua vita.

Giancarlo, della terra, dei suoi frutti, venefici e salvifici, comunque sempre preziosi, ha fatto il proprio credo, la propria missione di vita. E se pure la vita l’ha portato ad allontanarsi da quei luoghi primigeni e “selvaggi” del profondo Sud che l’hanno visto nascere, soffrire e, dunque, formarsi, a quei luoghi del cuore e della memoria lui costantemente fa ritorno. Non solo quando, in occasione di una dolorosa ricorrenza (la celebrazione della messa per i trent’anni dalla morte della madre), intraprende il suo personale nostos – quello lungo il quale si dipana il filo della narrazione e che lo ricondurrà nel suo alveo naturale, tra volti e paesaggi familiari – , ma anche tutte le volte che una spinosa difficoltà, una circostanza insolita o un’inattesa felicità lo costringeranno a fare i conti con la propria coscienza, a mettersi in gioco come uomo, come padre, come marito.

Così sarà anche quando Giancarlo, “inciampato” casualmente nel destino di dolore e dannazione – una triste storia di traffico di clandestini – di un vecchio compagno di giochi e desideroso di aiutarlo, all’inizio non saprà, sopraffatto ed impotente, come agire, rimanendo combattuto tra fede e ragione, tra legge di Stato e legge del cuore. Un libro ed un piccolo orcio daranno lo spunto. Ma, alla fine, a diradare il buio fitto delle incertezze e delle paure, interverrà – attraverso un monaco, Antonio, anch’esso un amico del tempo fermo e felice – il “lume” risolutivo della memoria. E’ l’eco di una voce, quella del padre amatissimo, uomo “di fede e di diritto”, l’impronta, indelebilmente impressa nella sua anima di persona “semplice”, l’incisione di quei valori unici, eppure inossidabili, che dalla terra provengono e dal rispetto della terra e della sua dolente, ma sempre invitta, umanità traggono perenne forza ed ispirazione. Giancarlo, in fondo, ci dice che tutto rimane di quello che si è vissuti da piccoli, anche il valore simbolico del pane, che è pane di vita, pure quando è coriaceo nella sua durezza. Si può sempre farlo rinascere con un filo d’olio, così come si devono far rinascere, nei nostri cuori,

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