Elio De Luca, il ciclo compiuto dell’arte ispirata e colta

Originario di Pietrapaola, in provinca di Cosenza, da tempo trapiantato in Toscana, ha fatto della coerenza segnica e cromatica, dell’introspezione, dell’indagine antropologica, mezzi di conoscenza e meditazione oltre che di grande fascino e bellezza

di Roberto Messina

Ennesimo grande artista della “diaspora”, il calabrese Elio De Luca (Pietrapaola, Cs, 1950) si trasferisce ben presto in Toscana, prendendo dimora stabile a Prato e immergendosi repentinamente e a fondo in una vasta produzione affrontata per ampi cicli di importanti tematiche storiche ed esistenziali.

Il Tempo (Taranto, Galleria Comunale del Castello Aragonese, 2002), l’Infanzia (Firenze, Palazzo Panciatichi, sede del Consiglio Regionale della Toscana, 2003), la Madre Terra (Matera, Pinacoteca Comunale, 2005), l’Esistenza Terrena (Lecco, Musei Civici, 2006), la Pietà Umana (Roma, Palazzo Venezia, 2010), la Mitologia Classica (Fiesole e Pontassieve, Sala del Basolato e delle Colonne, 2014), la Natura (Milano, esposizione per l’Istituto Agronomico d’Oltremare presso l’EXPO, 2015), la Città Celeste (Città della Pieve, Palazzo della Corgna, 2016), il Mondo Femminile (Certaldo, Palazzo Pretorio, 2017), sono alcune delle sue numerose Mostre tematiche.

L’importanza delle sue opere, è stata riconosciuta anche in sedi internazionali, come il M’ARS Contemporary Art Museum di Mosca, il Foreign Art Museum di Riga, il Centro per l’Arte Contemporanea di Miami e quello di Santa Fé, lo Spazio Italia di Pechino, a testimonianza di un’opera ampia e prolifica, documentata da cataloghi e monografie curate, tra gli altri, da Cristina Acidini, Dino Carlesi, Umberto Cecchi, Alessandro Coppellotti, Giovanni Faccenda, Marco Fagioli, Riccardo Ferrucci, Salvatore Italia, Pier Francesco Listri, Filippo Lotti, Flavia Maccelli, Nicola Micieli, Tommaso Paloscia, Daniela Pronestì, Paolo Puggelli, Franco Riccomini, Barbara Santoro, Giampaolo Trotta, Maurizio Vanni, Anna Vasta, Rossella Vodret.

Nel 2018 il Lucca Center of Contemporary Art, presenta “Amore – Cantico dei Cantici”, mostra di De Luca curata dal direttore del Museo, Maurizio Vanni. Questa volta, il  confronto è per lui con un testo fondamentale della storia, della letteratura e della religione: la Bibbia Ebraica, che assieme a quella Cristiana, lui racconta in opere di infinita tenerezza, ma anche con un ardire di toni ricco di sfumature sensuali, con l’incontro simbolico di due giovani e pure creature, nelle quali gli esegeti  riconoscono la personificazione delle variegate forme che può assumere il più importante dei sentimenti umani: l’Amore.

I dipinti sono caratterizzati da un iconico fondale a foglia oro, dal quale emergono squarci di vivido rosso, su cui si stagliano le eteree ed impalpabili figure degli innamorati, che galleggiano e si inseguono, si trovano e si perdono, si abbracciano e si baciano, in un racconto allegorico sempre ed incessantemente in divenire. I colori e le forme rimandano ai molti significati simbolici propri del Cantico dei Cantici: il tenero e sensuale amore tra i due protagonisti, l’amore del creatore (Dio o forse lo stesso artista) per le sue creature, l’approccio spirituale all’esistenza terrena.

Non è un caso che proprio ai miti greco-romani e alle donne loro protagoniste – spiega Cristina Acidini, Presidente dell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze – De Luca si sia dedicato in più occasioni, specialmente nella mostra Donne e miti del 2014, curata da Filippo Lotti, che lo vide presente a Fiesole e a Pontassieve al tempo stesso. Scrisse in quell’occasione Pier Francesco Listri che le figure di De Luca quasi chiamano l’osservatore ‘a investigare con loro il senso dell’esistenza, qui colta in attitudini quotidiane, ma allusiva a un tempo immemoriale. La pittura figurativa di tanti protagonisti del Novecento italiano sostiene e corrobora la scelta di De Luca, che non è mai venuto meno alla propria coerenza: una schiera che annovera i grandi fautori del “Ritorno all’ordine”, maestri come Sironi (con il quale condivide l’attenzione per Giotto e per Masaccio), come l’amato Rosai, come il Campigli creatore di universi al femminile, come il figurativo per eccellenza Annigoni, dal folto seguito, con un nume tutelare alla lontana, lo straniero eppur tanto presente in Italia, Balthus. Da questa filiera artistica rigorosamente figurativa, ma aperta alle suggestioni del Surrealismo, proviene, a mio avviso, il senso di straniamento e di alterità che pervade le scene dipinte da De Luca, dove tutto è offerto alla contemplazione ma nulla si riesce a spiegare”.

Alcuni quadri di De luca da
“Amore. Il Cantico dei Cantici”

Secondo Maurizio Vanni, Elio De Luca: “ha fatto dell’indipendenza, della coerenza segnica e cromatica, dello spirito di appartenenza ai valori morali, dell’introspezione, dell’indagine antropologica e dello studio dei fenomeni che caratterizzano le relazioni umane un mezzo per conoscere, conoscersi e mettere in condizione ogni fruitore dei suoi lavori di rileggere la natura attraverso processi cerebrali attivi e meditativi. Le sue opere sono, spesso, legate proprio ai pensieri di identità, etica, giustizia divina e presa di coscienza di fronte alle avversità, ma anche di lucida estasi di fronte a tutto ciò che coinvolge e stravolge, in accezione positiva, il nostro apparato sensoriale. In un momento come quello attuale dove il naturale può essere interpretato e indagato ad ogni latitudine e con qualunque strumento possibile, De Luca ci invita a recuperare la consapevolezza del passato, la forza delle proprie origini e di quelle tradizioni che completano e distinguono l’individuo nell’era della globalizzazione”.

Così la sua lettura del Cantico e il tentativo di raffigurare i sentimenti e gli stati d’animo scaturiti dal poema d’amore più conosciuto, commentato e tradotto della storia non sorprende: “De Luca parte da questo assunto, ma cerca anche di indagare le parole da nuove ottiche proponendo una costante ricerca di unire gli opposti: il divino con la materia, il sacro con la terrestrità, l’infinito con il finito, la luce celestiale con la consistenza dei corpi, dove il soprannaturale potrebbe trasformarsi nel filo rosso che lega tutte le cose del mondo. Non si limita a illustrare i passaggi più suggestivi del Cantico, ma li prende a prestito per celebrare l’amore in tutte le sue sfaccettature, l’estasi, i sospiri, i lucidi sogni, il rincorrersi, il trovarsi, lo stordimento sensoriale, il cercarsi, il ritrovarsi – in particolare un dipinto mostra proprio i due innamorati che ascendono verso la luce divina -, ma anche l’amplesso e i momenti di dolce erotismo nei quali i due corpi si fondono diventando una cosa sola. (…) I dipinti si aprono a immagini incantevolmente magnetiche con il loro erotismo esuberante e gioioso, ma anche con scene commoventi legate all’affetto per la natura e per le persone. Il rispetto incondizionato è la parola che sublima uno stato d’animo generoso e altruistico che deve prendere le mosse dall’amore e dalla considerazione per noi stessi. (…) Il Cantico di De Luca è un’ode alla vita, un inno all’amore vero e profondo in tutte le sue sfaccettature, simbolo di promesse eterne terrene e sovrannaturali, ma anche traccia concretamente eterea d’infinito e di completezza. Solo questo tipo di amore potrà salvare il mondo”.

Chi è Elio De Luca: un altro speciale lettore del Cantico, dopo la mappatura infinita di scrittori, teologi, artisti, oppure soltanto semplici ispirati cantori? No, io credo che sia uno dei più acuti e intriganti poeti dei Poemi. Anzi, l’esegeta più integrato (e integralista, in senso buono) del testo. E nel “plenum” della bellezza. Il Cantico è l’”eros”, l’eros di Dio” – è quanto dichiara convintamente Don Giuseppe Billi, storico dell’arte e curatore Arte sacra contemporanea per la Cei -. Qui De Luca è al massimo; è di una qualità superiore. Non solo per l’affettazione figurale, ma per la plastica delle forme e dei segni, che non trascendono o si metaforano ma sono l’’unum’ antropico e divino del Regno dei cieli: qui, subito e per sempre. O come si dice spesso nella contemporanea sintesi teologico-esistenziale, l’avvento va incontro all’esito. Dio che si fa, ci fa, ci è. (…) Quelle bellissime figure di De Luca che, in già diverse occasioni, grandi storici dell’arte hanno definito radiose per quella ‘aura’ sospensiva, nutrita di interiore e pure misteriosa sublimità, sono come direbbe l’artista americano Newmann: ‘sublime now’, il sacramento dell’essere la fenomenologia del divenire e l’impossibile mobilità della quiete (da Fabro). Il massimo dell’arte che s’incontra con il massimo del Logos”.

La rivista Reality con la copertina dedicata a Elio De Luca

Come nascono queste opere, è stato chiesto a De Luca dalla rivista “Reality magazine”. Studi su carta o nascite d’impulso?

Credo che ogni artista abbia un modo proprio per realizzare le sue opere – ha spiegato l’artista -: c’è chi lavora d’impulso, magari in base ad una idea o ad una suggestione immediata e chi invece dedica più tempo alla fase di ideazione. Per quanto mi riguarda è difficile che inizi a dipingere un’opera senza un approfondimento e uno studio precedente, a meno che non mi sia stato commissionato un soggetto ben definito. Solitamente, poi, quando preparo la realizzazione di un’opera, non penso ad un solo quadro, ma ad un ciclo pittorico. Questo avviene attraverso la riflessione, lo studio, la ricerca, magari stimolato da un pensiero, da una immagine che mi ha colpito particolarmente, da un avvenimento. Per alcuni mesi leggo, guardo mostre o cataloghi, opere filmiche, che più o meno hanno a che fare con quella tematica o suggestione. Di solito in questa fase non dipingo. In seguito, quando mi sento pronto e mi pare di aver elaborato un’idea ed un immaginario completo, inizio a preparare schizzi e disegni. Questa fase è importante e necessaria  per avere un insieme di idee visive coerente, che poi costituisce il punto di partenza per iniziare a realizzare le opere definitive”.

Lo sguardo malinconico dei volti presenti nelle opere ha un significato particolare?

Quello sguardo, probabilmente, è il mio sguardo sul mondo. Per questo io non lo percepisco come una caratteristica particolare dei miei personaggi, ma come il loro normale ed intrinseco modo di essere. Quelle delle mie opere sono creature senza tempo, i cui occhi  penetranti, quasi ipnotici, osservano lo spettatore con uno sguardo di verità, sincero,  candido, dolorosamente puro. Ci ammoniscono e ci fanno riflettere sul rischio che corriamo nell’accettare di vivere in un mondo troppo spesso intessuto di finzioni ed ipocrisie. Se sapessimo ascoltarle forse ci direbbero che solo la cultura, l’evoluzione spirituale ed un più forte e coeso legame sociale, potranno aiutarci a sopravvivere e ad andare avanti come individui e come collettività. Quello sguardo, peró, non contiene solo un ammonimento, ma anche un profondo sentimento di pietas nei confronti dei propri simili, che costituisce, a mio modo di vedere, la natura più intima e sostanziale dell’essere umano”.

Elio De Luca “Città celeste”

Secondo Dino Carlesi, storico dell’arte e scrittore, Elio De Luca è “un pittore contemporaneo che ci va stupendo con la rappresentazione di un mondo che ha la tenerezza garbata di alcuni aspetti dell’esistenza, unitamente alla partecipata e dolorosa serie di sequenze intensissime per senso di attesa e di dolore, e anche per la segreta effusione di un filo di accorata ironia. Quando l’ingenuità si fa colta, allora lo stile emerge per salvare una situazione che potrebbe cadere nel peggiore dei manierismi. Il miracolo – per De Luca e per i buoni maestri come lui – nasce in virtù di una ricerca che avviene in uno spazio e in un tempo che sembrano non esistere, tanto è immobile la scenografia entro cui si muovono i suoi personaggi.

Tutto ha una temporalità sua propria: per la logica infantile che lo anima o per la fase aurorale della conoscenza che lo distingue in rapporto al dislivello con la moderna civiltà del linguaggio. La vera innocenza scaturisce dall’affondo che l’artista sa compiere in se stesso per rintracciare antiche e comuni radici, meraviglie inaspettate, logiche inusuali, in nome di atti creativi che salvino l’attualità delle situazioni umane e il linguaggio di antichi valori espressivi. L’operazione è legata non al recupero di un semplice codice formale, ma ad una profonda rivisitazione di uno stato originario ricco di inconscia innocenza. Il significato originario del concetto di ‘primitivo’ si è smarrito nel tempo via via che culture etnie conoscenze seguitano a riproporlo con estrema coerenza e continuità”.

Elio De Luca, “Bagnanti su rosso pompeiano”

Più che sogno mi pare che ogni immagine di De Luca indichi una intensa presenza intellettuale ed esistenziale che non abbia rapporto con l’onirico e perfino i riferimenti alle filosofie siano solo elementi di indagine storica offerti al critico per la sua preferenza all’indagine psicologica: il mistero si presenta ogni volta come confessione esplicita di un disagio reale di cui urge la comunicazione a terzi, anche come denunzia e gratificazione etica. L’impresa estetica è complessa in quanto le modalità non possono incrinare la resa di bellezza delle opere che contraddistinguono il suo mondo. Viviani offriva i suoi sbalordimenti, De Chirico i suoi misteri: De Luca non ripete niente, anzi, riconduce tutti noi allo stupore per le cose che già conosciamo, e quindi si rende doppiamente capace di presentarci come disperanti e nuove le situazioni della nostra angosciante presenza”.

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