ANTONIO PITARO: DA BORGIA A PARIGI, NELLA DIASPORA ITALIANA, COLTA, LIBERA E INCOERCIBILE

Medico, chimico, scienziato, letterato, poeta, una geniale e storica figura di calabrese decisamente da riscoprire per i suoi preziosi studi e il ruolo controverso, ma di rilievo, che ebbe nella capitale francese tra ‘700 e ‘800 anche quale dichiarato “amico dei patrioti”

di Riccardo Guerrieri

Le migrazioni di massa dall’Italia in Francia (sia pur dai diversi Stati che la componevano) cominciano alla fine del ‘700 con il cosiddetto “triennio giacobino” della Rivoluzione partenopea e la sua tragica conclusione. In questo contesto, il calabrese Antonio Pitaro rappresenta un caso particolare di emigrato in Francia, incluso tra quelli però che poterono inserirsi di diritto nel mondo del lavoro, grazie ai suoi studi in Medicina e le sue conoscenze di Fisica, Chimica, Fisiologia, Clinica, ed infine chiedere ed ottenere la cittadinanza francese, pur sempre restando legato alla sua amata Borgia ed alla sua rimpianta Napoli.

Borgia (Cz), monumento ad Antonio Pitaro,
(busto in bronzo realizzato nel 1954
da Salvatore Ferragina)
(ph R. Guerrieri)

Conoscere e far conoscere il calabrese Antonio Pitaro (1), contribuirà intanto a permettere meglio agli italiani di riappropriarsi di una parte del passato ante-risorgimentale e risorgimentale e di comprendere più a fondo le origini di alcune “rappresentazioni sociali” che i francesi usano fare degli italiani emigrati.

Pitaro nacque a Borgia (nell’attuale provincia di Catanzaro) da Saverio Pitaro e Rosa Febrajo, tra il 1767 ed il 1774. La data non è certa, perché i documenti della parrocchia andarono distrutti nel terribile terremoto del 1783 (2).  I biografi suoi contemporanei lo dicono nato da una famiglia distinta, che aveva dato un seguito di professori abili in medicina. Sembra sicuro che fece i suoi studi nel Collegio del Vescovado di Squillace e che li fece sotto la direzione di suo padre, egli stesso uomo di scienza e di valore. In un documento della Polizia francese, il padre di Pitaro è definito chimico e accademico napoletano.

Praticamente assenti le notizie sul periodo della sua vita a Borgia. Si sa solo, dallo stesso Pitaro, che nel 1789 è nel suo paese, ove è testimone del morso di una tarantola. È ancora a Borgia, forse in vacanza, nel 1793, precisamente in una località chiamata Paligorio (centro abitato all’origine del paese Borgia) in una casa di campagna dei genitori, dove può osservare un altro fenomeno di tarantismo: si descrive come più capace di giudicare le cose da solo…

Alcuni versi di Pitaro incisi sul monumento

Non si sa precisamente quando, ma giovane, lascia il suo paese natale per recarsi in Campania per completare i suoi studi. Borgia, un centro agricolo non distante da costa e Appennino calabrese tra Catanzaro e Squillace, alla fine del ‘700 conta circa 3000 abitanti. Molti calabresi vanno a Salerno o a Napoli per seguire gli studi di Medicina, Pitaro risulta aver ottenuto il diploma di dottore in Medicina e chirurgia presso l’antica e celebre Università di Salerno nel 1798, ma probabilmente aveva conseguito una prima laurea a Napoli. In effetti dalla lettura dei suoi lavori dell’epoca, sembra godere di una certa credibilità scientifica già nel 1794, quando pubblica un suo studio sulle ceneri vulcaniche, attribuendosi il titolo di “professore presso l’Ospedale del Regal Corpo degli Artiglieri” di Napoli. Altri saggi scientifici ci sono pervenuti pubblicati tra il 1795 ed il 1796 e, nel 1797, si parla del medico Antonio Pitaro nel Giornale letterario di Napoli n° 85 (8 settembre) in quanto autore di un’analisi di un fenomeno atmosferico, di una “meteora ignea”. Per quanto riguarda le sue attività professionali, egli stesso si descrive, fino al 1827, come ex professore di Chimica, di Materia medica e Farmacia nell’Ospedale dei Corpi di Artiglieria e del Genio a Napoli, ma, nel 1828, aggiunge il titolo di ex professore di Fisica per lo stesso periodo e per la stessa istituzione.

A Napoli, Pitaro partecipa nel 1799 alla difesa dell’effimera Repubblica partenopea: biografi francesi ed italiani sono concordi per indicare che l’ammiraglio Francesco Caracciolo si serve contro gli inglesi di una bomba incendiaria analizzata e ricostruita da Pitaro. Malgrado gli sforzi dei repubblicani, Napoli cede e Pitaro esce dal Regno per cercare asilo in Francia. I veri motivi ci sfuggono, perché il nostro, a parte il fatto di essere stato citato nel “Monitore”, non risulta implicato direttamente nella Repubblica, della quale, tuttavia, nel 1832, denuncia in una poesia la spietata e crudele repressione. Non si sa precisamente quando, né in quali condizioni parta da Napoli, ma egli risulta essere a Lione nell’ottobre del 1799 in attesa di decisioni riguardo alla sua sorte da parte delle autorità francesi, dopo essere stato a Marsiglia.

A vent’anni, scrivono i primi biografi francesi, si era talmente ben fatto notare a Napoli che il Governo lo designa in quanto professore di Fisica nel Corpo reale di artiglieria, ed è destinato ad insegnare dopo qualche anno Chimica nel Collegio della Marina Reale, quando scoppia la rivoluzione del 1799. Nel “Monitore Napoletano” si parla nel 1799 in termini elogiativi del Pitaro, definendolo “valentissimo chimico”. Con gli altri titoli, Pitaro si definisce anche come membro del Corpo Reale medico consultante degli Ospedali militari di campagna per l’esercito delle Due Sicilie. Per quanto concerne i suoi interessi e le sue attività di quegli anni, bisogna riferirsi, sia pur con le dovute cautele, a quanto scrive Pitaro stesso nel 1828 e nel 1832, quando nelle sue opere presenta i suoi lavori precedenti; ma di questi è rimasta traccia solo del primo rapporto sulla cenere vulcanica e di un saggio pubblicato a Napoli nel 1796 riguardo un’analisi chimica del carbon fossile.

Frontespizio del libro di Foca-Guerrieri-Leo
dedicato a Pitaro (editore Laruffa)

Si può dire che Pitaro conclude la prima parte della sua vita in Italia alla fine del ‘700, per cominciare la seconda nell’800 in Francia, dove morirà nel 1832. La Francia aveva già delle difficoltà materiali ad accogliere gli esuli italiani del Nord in un periodo in cui doveva far fronte alla seconda coalizione e risolvere i problemi di politica interna che avrebbero provocato il ritorno dall’Egitto di Napoleone e il colpo di Stato del 9 novembre 1799. Le stesse difficoltà incontrarono i napoletani sbarcati nel mese di agosto a Marsiglia e a Tolone. Già il 5 aprile del 1800 Bonaparte scriveva al ministro di Polizia di ordinare ai prefetti di prendere delle misure per allontanare da Parigi la grande quantità di rifugiati italiani e stranieri che vi si trovano senza nessun mezzo di sussistenza. Quando gli esuli napoletani arrivarono a Parigi, trovarono una comunità italiana che restava luogo di riferimento fondamentale per la cultura internazionale e particolarmente italiana ma, in quei primi anni dell’Ottocento,  dovettero rivalizzare per emergere di fronte alle autorità francesi ed ottenere il maggior numero di vantaggi.

Per l’anno di arrivo a Parigi di Pitaro, le sole informazioni riscontrabili sono quelle contenute nel fascicolo di naturalizzazione. Il 27 agosto 1816, deponendo la domanda al Comune di Parigi, dichiara risiedere nella capitale dal 1801. Arrivato a Parigi, scrivono i biografi francesi, Pitaro si dedicò interamente ai suoi studi prediletti, esercitando nel contempo l’arte della guarigione nella quale acquistò in poco tempo una meritata riputazione. Non si sa nulla di preciso riguardo al periodo relativo al suo arrivo in Francia e particolarmente a Parigi. Il solo dato riscontrabile è fornito dagli archivi dell’obbedienza massonica del “Grand Orient” francese. Pitaro è definito un medico, abitare nel 1803 in rue Hautefeuille (sesto arrondissement attuale), al numero 37, ed essere membro, già col grado di maestro, della loggia del venerabile Abraham chiamata “Les élèves de Minerve”.

Riguardo alle sue attività dei primi anni non esiste alcuna traccia se non un titolo e una data di un’opera stampata dall’autore e citata da Pitaro stesso nel 1832. Essa è : Cause de la mort instantanée et totale de la grande masse de poissons du lac de Patria et du fleuve Sarno, dans le royaume de Naples, arrivée en même temps dans l’annéee 1788, Paris 1804. Non si sa esattamente, in effetti, di cosa vivesse durante i primi tempi del soggiorno, perché fu solo dopo il 1808 che dovette ricevere la possibilità di esercitare ufficialmente la Medicina in Francia. In quanto medico straniero diplomato in un’Università straniera dovette subire tutti i cambiamenti legislativi nell’esercizio della sua professione. Negli almanacchi imperiali, Pitaro non appare in nessuna lista in cui si parli di medici fino al 1812. Certo è che nel 1805, quando Pitaro dà alle stampe a Parigi, con una sua prefazione di venti pagine, una traduzione delle appendici delle lezioni di Fisiologia dettate nell’Università reale degli studi di Napoli, nel 1804, dal suo professore Nicola Andria, egli parla solo dei suoi titoli di studio napoletani e salernitani. Sono sempre datate del 1805 due altre opere, che in effetti devono essere state pubblicate anni dopo.

Manoscritto di Antonio Pitaro

Per il 1806 si posseggono delle informazioni su Pitaro che sono quanto mai sconcertanti. Negli archivi della Polizia è costituito un fascicolo sui soggetti del Regno delle Due Sicilie nel quale è inserita la lista dei “Napoletani” che erano ormai sorvegliati. Nella lista di amici e nemici della Francia imperiale, Pitaro è il quattordicesimo su centoquattro, ed è il solo accanto al cui nome appare una grossa X nera. Si legge di lui: “Medico, ha dei talenti, è amico intimo a Parigi di Scrofani, Deliberti & Co. La sua condotta è equivoca. Suo padre è un chimico, accademico di Napoli”.

Per quanto riguarda le attività di Pitaro, bisogna riportarsi alle sue proprie notizie biografiche. Nella pubblicazione del 1805 si definisce membro delle Società Galvanica, Medica d’Emulazione ecc. di Parigi e nelle altre pubblicazioni aggiunge essere membro della Società di Medicina Pratica, della Società Imperiale d’Agricoltura della Senna e di altre Società scientifiche. Un documento consultabile dell’epoca, che presenta la lista dei medici, è del 1809: in esso il dottor Pitaro figura in quanto membro della Società Medica d’Emulazione, mentre non risulta né in quanto membro della Galvanica né in quanto medico o chirurgo dell’Imperatore o della sua Casa, né in quanto medico in attività nel Dipartimento; Pitaro non figura neanche nell’Almanach Imperial come medico della famiglia imperiale.

Senza dunque poter ben sapere quali esatte occupazioni Pitaro svolgesse a Parigi, è comunque accertato che tentò la carriera scientifica. Tra il 1808 e il 1810 presentò all’”Académie des Sciences” dell’Istituto Imperiale di Francia quattro memorie scientifiche che diedero luogo a dei rapporti nei quali è dimostrato che Pitaro era un illustre sconosciuto; in effetti egli è solamente identificato come un medico dell’Arco, cioé napoletano: Pitaro è molto criticato ed è insinuato un dubbio sulla sua buona fede. Per quel che è della terapia musicale nei casi di tarantismo, essa non è negata, ma è giudicata essere efficace per le malattie nervose o spasmodiche.

Carmelo Fodaro, ritratto di A. Pitaro (1990)

Nel 1811 Pitaro si dà alla letteratura e pubblica in italiano una Scelta di Poesie liriche del napoletano Gaspare Mollo dei duchi di Lusciano, contribuendo in tale maniera alla diffusione dell’Italiano, che è stato un ruolo di primo piano svolto dagli esuli. L’anno seguente, nel 1812, Pitaro compare nell’Almanach Imperial, in una nuova lista di medici che esercitano nel territorio di Parigi e circondario, quella dei “Dottori in Medicina diplomati nelle nuove Facoltà”. Nello stesso anno dà alle stampe una curiosa pubblicazione in italiano: Lettere filologiche del dottore A. Pitaro indiritte a varj suoi amici. Il 10 settembre del 1812, Pitaro pubblica un’Analisi della Napoleonide, scritta in italiano, in cui analizza l’imponente poema di Petronj dedicato alle imprese di Napoleone: genere nel quale si era cimentato anche il catanzarese Gaetano Rossi, a fine 1799 con il suo Bonaparte.Nel 1813 è pubblicata una nuova edizione della Napoleonide di Petronj. Nella prefazione è citato Pitaro in quanto curatore delle note letterarie; così è possibile sapere che egli è uno dei dodici dottori in medicina legale della corte imperiale.

Non si hanno più notizie di Pitaro fino al 1816. In quell’anno, dopo La Restaurazione, egli figura nel nuovo almanacco, Almanach Royal, sempre nella stessa lista dei medici delle nuove facoltà, ed il 27 agosto richiede la cittadinanza francese. Il referandario presenta Pitaro, nella lettera del 1 ottobre, come una persona che ha “costantemente esercitato la sua professione e che si è fatto favorevolmente conoscere da parecchi membri molto raccomandabili del Governo”. Il prefetto presenta Pitaro come estraneo ai dibattiti politici e completamente dedito allo studio della sua professione, “egli si fa stimare da tutti sia per i buoni sentimenti che lo animano sia per il generoso disinteressamento con il quale prodiga i soccorsi della sua arte”.

Certo è che, come lo dimostra il sua atto di naturalizzazione, Pitaro aveva affrontato il periodo della seconda Restaurazione con le migliori carte in regola poiché era protetto dal potente Ministro di polizia Decazes, il quale, sotto Napoleone, aveva occupato nel 1811 la carica di  Secrétaire des Commandements nella casa di sua madre Letizia Ramolino. Fu forse frequentando con gli italiani la madre di Napoleone, che Pitaro conobbe Decazes.

Scorcio della villa comunale di Borgia
dedicata a Pitaro

Non si hanno informazioni precise di Pitaro nel periodo successivo all’avvento al trono di Luigi XVIII se non quelle riportate dallo stesso nella sua pubblicazione in francese del 1828 sulla produzione della seta. Pitaro afferma essersi sempre tenuto lontano da simili burrasche pericolose e, sempre proseguendo l’esercizio della Medicina, aver cercato di continuare il lavoro sulla seta. Tra i titoli che Pitaro presenta nel frontespizio, ci sono quelli nuovi di: membro della Società di Medicina pratica e della Morale cristiana di Parigi; delle Società Reali di Medicina di Westminster e della propagazione del vaccino di Londra.

Nell’introduzione al capitolo primo della terza parte della sua opera sulla seta, La Science de la sétifère ou l’art de produire la soie, esplicita la sua concezione nel campo economico e nel 1828 sembra accantonarsi su posizioni che, pur lodando l’iniziativa individuale ed il progresso dovuto all’iniziativa economica, sembrano di tipo moderato rispetto alla spinta rivoluzionaria che ormai prendeva toni socialisti mettendo in causa la genesi stessa della proprietà privata e le conseguenti ingiustizie sociali.

Come prova del fatto che Pitaro non avesse rinunciato alle sue velleità scientifiche, bisogna aggiungere che quest’opera fu inviata dall’autore alla Académie des Sciences il cui registro la cita come ricevuta il 21 luglio 1828. Tra il 1828 ed il 1832 non si sa cosa fece esattamente Pitaro, ma si parla di lui in una lettera degli esuli calabresi. Pitaro risulta infatti essere amico dei patrioti, anche se non è attestato in nessuna parte un suo contributo attivo, e specialmente di colui che verso quegli anni era il faro degli esuli italiani a Parigi, Guglielmo Pepe, nonché di suo fratello Florestano, entrambi di Squillace, cioé del paese vicino a Borgia dove Pitaro aveva studiato.

Nel 1832 ritorna alla letteratura in quanto versificatore, forse sentendosi più obbligato dall’immagine positiva ormai veicolata in Francia del letterato italiano che dall’esplosione della scrittura. La sua pubblicazione è un poema di diciotto canti contro la tirannia e per la libertà dei popoli che  fu ripubblicata con l’aggiunta di cinque poesie elegiache e di una pistola, sotto il titolo di Poesie Elegiache. Sono presentate anche le sue opere precedenti date alle stampe e quelle ancora inedite : delle quali però non ci è pervenuto nulla. Un Poemetto odaico sulla fisiologia delle passioni del D.L. Alibert risulta tuttavia curiosamente già citato come pubblicato in un almanacco dei principali abitanti di Parigi per il 1831 in cui Pitaro, eccezionalmente rispetto agli altri personaggi, occupa parecchi righi.

Il 28 luglio del 1832, alle dieci di sera, Pitaro muore, in una situazione economica poco invidiabile, a Parigi, nella rue Hauteville al numero 2; muore senza che Parigi se ne accorga, forse a causa delle rivolte cittadine di quegli anni o del colera che imperversa, forse a causa di una sua perdita delle facoltà mentali. Le informazioni che ci sono pervenute sulla causa della morte e sul testamento sono dovute solo al carteggio degli esiliati.

Al termine della laboriosa ricostruzione della vita di Pitaro, si può dire che, una volta sganciatisi dal comodo rispetto del mito, lo studio riflette tutte le ambiguità del personaggio derivanti dall’egli aver vissuto, in posizione assai centrale, in un’epoca particolarmente turbolenta. Sgusciato fuori da un paesino nel fin fondo del regno delle Due Sicilie, emigrò verso la capitale del Regno per motivi di studio e diede in seguito un contributo in quanto uomo di scienza ad una rivoluzione della quale non sappiamo se sposò le tendenze più intransigenti o no. Arrivato a Parigi conobbe e frequentò personaggi influenti tanto della comunità degli italiani quanto dell’élite francese. Medico, scienzato, critico letterario, poté beneficiare della sua cultura eclettica e farsi valere nella Parigi mondana senza peraltro far capire il risultato del suo intuito nei circoli scientifici di allora.

Note

1) Per quel che riguarda le difficoltà nelle ricerche su questo personaggio, leggere la mia memoria del 1997 per La Sorbona-Paris III : Antonio Pitaro: dalla Calabria a Napoli, da Napoli a Parigi, tra il ‘700 e l’800, tra Rivoluzione e Reazione, 133 p., sotto la direzione di J. Ch. Vegliante. Per quanto riguarda gli aspetti letterari, leggere i miei due articoli pubblicati su Calabria Letteraria : Antonio Pitaro: uomo di scienza e uomo di lettere a Parigi nell’Ottocento, vol. XLV, n° 1-2-3, gennaio-marzo 1997, pp. 48-52.  –  Un testo di Antonio Pitaro su musica del maestro Ferdinando Paër, vol. XLVII, n° 4-5-6, aprile giugno 1999, pp. 77-79. Per quel che è del contenuto scientifico dell’opera di Pitaro, leggere il libro scritto con A. Foca: Antonio Pitaro: medico e scienziato da Borgia a Parigi tra ‘700 e ‘800, Reggio Calabria, Laruffa Editore, 1999, 170 p. Infine per gli aspetti relativi all’emigrazione degli italiani, leggere il mio contributo Antonio Pitaro: un Calabrais entre Révolution et Restauration nel libro La Traduction-migration, sotto la direzione di J. Ch. Vegliante, 2000, Harmattan, Parigi, pp.225-243.

2) Cf. Salvatore Guerrieri, Borgia, Edizioni Carello, Catanzaro, 1992