22 Gen Ebrei di Calabria: una grande storia ancora da raccontare
Nel processo in atto di riemersione dell’ebraismo in Italia lungo duemila anni, vengono fuori nuove pagine come quella di un probabile insediamento nel comune di Girifalco (Cz)
di Riccardo Guerrieri
Da Nord a Sud, tutte le località italiane hanno storie da raccontare relative alla bimillenaria presenza di Ebrei: sinagoghe, monumenti, musei, bagni rituali, cimiteri, resti archeologici, tradizioni e vicende di comunità fiorite e trasformate nei secoli. Il Sud, tuttavia, si differenzia fortemente dal resto della penisola per la presenza ebraica bruscamente interrotta dall’espulsione del 1510, e ciò si rispecchia nel patrimonio archeologico.
Fino a pochi anni fa, precisa Tullio Levi, « si pensava alla piccola Comunità di Napoli come alla più meridionale presenza ebraica nel nostro paese, e al Sud della penisola come ad un territorio praticamente privo di ebrei, essendo essi stati violentemente sradicati all’inizio del XVI secolo, poco tempo dopo la cacciata dalla Spagna ».
Oggi, tanto in Sicilia che in Puglia e Calabria, è in corso un processo di riemersione dell’ebraismo, dalle molteplici sfaccettature, di notevole rilievo e poco conosciuto, con il giusto risalto via via dato a pratiche che un tempo erano considerate solamente superstiziose (accendere le luci durante il sabato, coprire gli specchi nella casa del defunto, ecc.), ma che a ben vedere trovano la loro ragion d’essere appunto in consolidate tradizioni ebraiche di cui si era perduta la nozione.
Dopo quasi 70 anni, per dirne una, vede la luce, tolta dall’oblio del deposito dei reperti del Museo archeologico di Crotone, la stele funeraria ebraica risalente al XV secolo e trovata nel 1954 nei pressi di Strongoli, paese limitrofo a Crotone. Su Facebook, due gruppi offrono informazioni sull’ebraismo calabrese: Calabriajudaica (che, tra l’altro, il 27 gennaio 2019 ha pubblicato un’ampia bibliografia degli scritti sulla presenza ebraica in Calabria); e poi il blog con pagina Facebook, JewishCalabria-Cultura e Retaggio Ebraico, che Vincenza Triolo anima con costanza eccezionale.
Come non rammentare, poi, la tanto pubblicizzata presenza (seppur saltuaria) a Serrastretta, di una rabbina del Movimento giudaico riformato, Barbara Aiello, donna, e dunque non riconosciuta dalla comunità ebraica ortodossa. Comunità ebraica che oggi non esiste in quanto tale in Calabria, perché pochi i praticanti e poche decine quelli sul percorso di ritorno o di avvio all’ebraismo. La Calabria dipende, per questo, dalla comunità di Napoli, ma è ricca di storia dell’ebraismo anche come parte di un Sud in cui si pensava questa esperienza storica ormai da ritenersi un capitolo concluso, non deve quindi stupire che la riemersione degli « anusim », i discendenti degli ebrei meridionali costretti alla conversione all’inizio del XVI secolo, sia stata accolta con sentimenti contrastanti.
Non bisogna dimenticare, infatti, che è solo dal 28 ottobre 1965 che il Papa Paolo VI, con la dichiarazione « Notra Aetate » del Concilio Vaticano II ha rivoluzionato la dottrina della Chiesa e ha discolpato gli Ebrei della morte di Gesù. Riconoscendo tanto grande il patrimonio spirituale comune a cristiani e ad ebrei, questo sacro Concilio ha voluto « promuovere e raccomandare tra loro la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto con gli studi biblici e teologici e con un fraterno dialogo ».
Comunque, se è una curiosità la via Aschenez (il pronipote di Noé) nella toponomastica di Reggio Calabria con la relativa leggenda, sono una realtà la tabella sinagogale rinvenuta a Reggio, nonché altri reperti archeologici, soprattutto la sinagoga del IV secolo di Bova Marina, ricca di mosaici, la più antica in Occidente dopo quella di Ostia Antica, testimone di una fiorente comunità. Una presenza storica che è documentata attualmente, per le diverse località calabresi, dall’enciclopedia tematica on line « Italia Judaica ».
Di tutta questa vicenda, di cui cominciarono a scrivere Oreste Dito, Nicola Ferorelli e più recentemente Cesare Colafemmina seguito da tanti altri, rammentiamo che a Rossano operò intorno all’anno 1000 Shabbetay Donnolo, celebre medico e filosofo; che a Reggio fu stampato il 5 febbraio del 1475 il commento di Rashì al Pentateuco, cioè ai cinque libri che costituiscono la Bibbia ebraica, prima opera in ebraico con indicazione di data; inoltre che calabresi furono i genitori del grande kabbalista Hayim Vital, noto come « il Calabrese ».
Al giorno d’oggi è da rilevare che Bova Marina è al centro di un intenso piano di riscoperta dell’ebraismo calabrese, meta di visite da parte di turisti e studiosi da tutto il mondo ebraico e dove forse si farà il Museo dell’ebraismo calabrese. Da alcuni anni vi si svolgono attività in occasione della Giornata europea della cultura ebraica, di cui è centro animatore in Calabria.
In provincia di Cosenza, troviamo a Ferramonti quel che resta del campo di concentramento di ebrei stranieri, sorto durante la guerra. Sulla Costa dei Cedri, ogni anno, in agosto, arrivano rabbini provenienti da Israele e da tutto il mondo, per raccogliere gli eccellenti cedri calabresi che fanno parte essenziale delle celebrazioni della festa di Sukkoth. A Cosenza, per la ricorrenza della Festa ebraica delle luci, si accende pubblicamente il maestoso candelabro in Largo Antoniozzi, nel centro storico, a ridosso dell’antico quartiere ebraico; inoltre è stata inaugurato nel 2019 il Festival della cucina Kosher in Calabria, tappa importante affinché si possa praticare realmente l’identità ebraica ortodossa.
Testimonianze archeologiche della Diaspora ebraica, sono oggi visibili nel Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria, nell’Antiquarium Leucopetra di Lazzaro, frazione di Motta San Giovanni, a Vibo Valentia, e nel Museo archeologico nazionale di Scolacium a Roccelletta di Borgia. È in quest’ultimo paese del catanzarese dove io sono cresciuto (considerando a parte il loro ruolo di « cattivi » nella tradizionale rappresentazione popolare della « Pigghiata » di Gesù) di ebrei non se ne parlava praticamente mai… Ricordo solo che nel lontano 1958 i miei genitori scelsero un nome curioso per mia sorella, Miriam: mia madre, di origine lucchese ci diceva che era stato in memoria di una bambina ebrea con cui mamma giocava a Lucca e che poi scomparve tra le atrocità della guerra.
Per quanto riguarda il mio nome, solo alcuni decenni dopo seppi che era visto benevolmente tra gli ebrei, mentre in Calabria era veramente una rarità. Che poi mio zio fosse Beniamino, e che avessimo un parente Pinnarò, da parte della nonna paterna, ebreo vissuto in Egitto, non era mai stato oggetto di discussione in casa (almeno fino a quando non decisi di partire per la Francia nel 1980). Frattanto gli ebrei polacchi erano stati, se pur in minima parte, oggetto della mia tesi di laurea in Sociologia a Roma, con il professore Izzo.
A Parigi la situazione che ho trovato era molto diversa e ricordo ancora le discussioni vivaci che avemmo, io, praticamente il provinciale, ed un amico di mia moglie, un ebreo di cognome Oberlander, che per la prima volta mi ha fatto partecipe di un punto di vista sugli e degli ebrei, al quale non ero abituato, dato che in Italia alla fine degli anni ’70 il discorso comune era piuttosto filopalestinese. In ambito lavorativo sono venuto a stretto contatto con tante persone colte, dichiaratamente ebree, così come girando l’Italia non mi era mai capitato.
Il mio avvicinamento alla storia ebraica in Calabria si è compiuto solo con il mio lavoro del 1997: una « mémoire » per l’Università Sorbona III, su un medico di Borgia, Antonio Pitaro, partito da Napoli verso la Francia dopo i moti rivoluzionari partenopei del 1799. A questa memoria, seguirono due pubblicazioni su « Calabria letteraria »; un capitolo in francese in un libro collettivo sulle migrazioni ; e infine un libro su Pitaro edito da Laruffa nel 2000, scritto con il prof. Alfredo Focà.
La ricerca su Pitaro è stata la scintilla che mi ha fatto avvicinare alla storia degli ebrei di Calabria. Soprannominato nel suo paese natio « l’ebreo », Pitaro aveva pubblicato in Francia nel 1828 un trattato sull’arte del coltivare il baco da seta e produrre la seta.
Ho così riflettuto sul fatto che tanti miei amici e soprattutto tanti borgesi e calabresi avessero cognomi che potevano supporre o indicare origini ebraiche. Ancor di più, la sorpresa nel notare che queste eventuali origini si ritrovavano non solo nel cognome, ma nel soprannome, che al mio paese come in altri calabresi, è detto più precisamente «u ngiuriu », anche quando una vera e propria «ingiuria », un disprezzo, non è.
Gerhard Rohlfs nel suo studio storico e filologico del « Dizionario dei cognomi e soprannomi in Calabria », aveva tralasciato una parte della storia e della cultura indigena. Mi sono limitato perciò a spingere i miei amici a fare indagini sui loro stessi cognomi (Tedesco, Rotella, Liuzzi, etc.), ma ho considerato di non avere tempo né mezzi per eventualmente partecipare alla ricerca che Colafemmina conduceva all’epoca in Calabria, non riuscendo a verificare intanto neppure da dove provenisse il cognome « Pollacchi » di mia nonna materna, e poi scoraggiato dal fatto che vedevo realizzarsi cose senza un vero processo logico. Mia cugina calabrese, figlia di Beniamino, aveva battezzato sua figlia Esther, senza sapere ad esempio che in Francia sia Beniamino che Esther (o Miriam) sono nomi dati quasi esclusivamente all’interno della comunità ebraica. L’energia necessaria mi era venuta meno, poi, con l’evidenza del grande sforzo compiuto da un’altra amica di mia moglie, figlia di un celebre storico francese, per potersi avvicinare e poi convertirsi all’ebraismo, pur essendo già moglie da tempo di Olszer, dal quale aveva avuto due figlie.
E’ stato nel maggio del 2020 che ho letto sulla pagina Facebook di « Calabria Judaïca » l’articolo di Agazio Fraietta (ormai defunto) che evocava la probabile esistenza di un insediamento ebraico nel vicino paese di Borgia: Girifalco. Una ventina di chilometri nell’entroterra, nella parte dell’istmo calabrese, durante dei brevi scavi nel 2014, qui vennero alla luce reperti che facevano pensare alla possibile esistenza di una necropoli ebraica in una zona che dal punto di vista archeologico è ricca di quasi 5000 anni di storia, dove sono stati ritrovati reperti risalenti appunto al neolitico (nella stessa Girifalco esiste un museo privato, di Tolone Azzariti, ricco di queste testimonianze). La Rai, in uno speciale Tgr Calabria del 21 ottobre 2014 ha dato spazio a questi ritrovamenti e alle ipotesi validate dalla Soprintendenza ai Beni archeologici, cui avrebbero dovuto seguire scavi.
Nel 2016, nel talk show « KlausCondicio » condotto da Klaus Davi, Yehuda Pagliara, portavoce della comunità ebraica meridionale, conferma che la Calabria ha un posto centrale nella storia dell’ebraismo mondiale, auspicando la ricostituzione di una sinagoga (ortodossa) dopo circa 500 anni e la creazione di un percorso storico-culturale nella regione da valorizzare tra i milioni di ebrei e simpatizzanti del mondo ebraico presenti in tutto il mondo.
Quattro anni dopo (24 agosto 2020), il rappresentante dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI), delegato per la Calabria, Roque Pugliese, fa delle significative dichiarazioni in tal senso: « L’obiettivo è di evidenziare quello che di bello e positivo una località offre. In Calabria, i musei, gli antiquarium ed i parchi archeologici sono tra le ricchezze più grandi. Questo percorso è per visitatori e turisti provenienti anche da fuori regione che potrebbero non conoscere i luoghi d’interesse culturale e paesaggistico. »
Ho così preso contatto con Agazio Fraietta, che da Monasterace, dove si trovava in vacanza, verso la fine del mese di agosto è venuto a Catanzaro per incontrarmi e approdare a Girifalco per un colloquio con la presidente del locale Club archeologico, Ines Caliò ed i suoi collaboratori, tutti trovati in giustificato disappunto per il fatto che agli scavi del 2014 non si era dato seguito. Fraietta promise ai girifalcesi l’impegno per pubblicizzare e « smuovere le acque », ma poi tornato a Roma morì pochi mesi dopo.
Ho ricontattato la scorsa estate Ines Caliò per chiedere notizie, augurandomi passi innanzi. Purtroppo, nella suddetta zona di Girifalco, gli scavi non sono ripresi, e tutto è stato ricoperto e così occultato agli occhi dell’ignaro passante, mentre il terreno che dovrebbe essere ceduto al Comune da un proprietario privato, ancora non lo è stato.
Adesso, a inizio 2022, mi viene da chiedere se il gruppo archeologico girifalcese può ancora fare di meglio e di più per rinsaldare la necessaria collaborazione con la Soprintendenza, che, lo sappiamo, dispone di risorse economiche insufficienti per poter tutelare, gestire e valorizzare i tanti siti della regione calabria.
Per fare un parallelismo con un territorio a noi vicino, Francesco D’Ambra, appassionato di archeologia e scopritore dell’ipogeo a lui intitolato a Canosa di Puglia, mi ha raccontato di decenni di collaborazione, ma anche di forte dialettica con la Soprintendenza pugliese, e del grande lavoro di volontariato dei membri della Fondazione Archeologica locale, messo in campo per favorire gli scavi e l’arrivo dei cospicui finanziamenti giunti per aprire il museo e proteggere i siti canosini.
Nel colloquio, mi è sorta perciò la domanda se i volontari dell’archeologia di Girifalco siano sullo stesso percorso dei pugliesi, interessando anche debitamente il delegato per la Calabria della Comunità ebraica, il dottor Pugliese, perché in prima persona possa valutare l’effettiva importanza del sito e aiutare ad espletare ed accelerare i necessari interventi burocratici e amministrativi. Tutto ciò, affinché la nostra Calabria, colmando questa seria lacuna storica sull’ebraismo, possa conoscere ancora più a fondo se stessa e la sua immensa ricchezza culturale, per farne tesoro di sapienza su cui innestare lo sviluppo.
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