08 Ago Corigliano Calabro Fotografia: quando si dice un unicum
Giunta alla XIX Edizione, grazie ad una intelligente e riuscita formula che lega al territorio e alla comunità che lo anima, costituisce un’eccezionalità di qualità e spessore nel panorama delle rassegne fotografiche internazionali
di Attilio Lauria
Fra le manifestazioni culturali del Meridione d’Italia è sicuramente una delle più longeve ed autorevoli, frequentata da ospiti internazionali che negli anni ne hanno decretato un successo sempre crescente. Parliamo del Festival Corigliano Calabro Fotografia, giunto quest’anno alla sua XIX edizione grazie soprattutto ad una formula che costituisce un unicum nel panorama delle rassegne fotografiche, e che lo lega ombellicalmente al territorio e alla comunità che lo abita.
Da Gianni Berengo Gardin, ospite della prima edizione, il Festival ha affidato ogni anno ad un diverso autore il compito di rappresentare il proprio contesto, proiettandolo così in quella dimensione straniante attraverso la quale la comunità rinnova il proprio sguardo su una realtà altrimenti abitudinaria, consentendole di riconoscere i segni della contemporaneità.
Ed è stupefacente leggere quella sorta di “albo d’oro” degli autori che hanno interpretato e rappresentato Corigliano, un privilegio che solo le grandi città iconiche posso vantare, e che dà la misura della straordinarietà dell’esperienza che da anni si rinnova nella cittadina ionica: da Gabriele Basilico a Francesco Cito, Ferdinando Scianna, Francesco Zizola, e ancora Franco Fontana, Francesco Radino, Enrico Bossan, Mario Cresci, Maurizio Galimberti, Luca Campigotto, Monika Cordiviola, Massimo Mastrolillo, Olivo Barbieri, Monika Bulaj, Lorenzo Cicconi Massi fino a Massimo Siragusa, Autore dell’edizione di quest’anno.
Un elenco di nomi che conferisce a Corigliano Fotografia il fascino di un sogno diventato possibile grazie alla passione e alla tenacia di Gaetano Gianzi, direttore artistico e motore instancabile del Festival, e al supporto dei tanti volontari dell’associazione “Corigliano per la Fotografia”. Medico di professione, negli anni ’80 e ’90 Gaetano frequenta le settimane della fotografia di Terrasini, in provincia di Palermo, all’epoca una delle poche manifestazioni fotografiche del Sud, insieme a numerosi altri festival nazionali in occasione dei quali ha modo di conoscere alcuni dei grandi autori della fotografia italiana ed internazionale. Ed è allora, quando inizia ad intrecciare una serie di rapporti personali, che l’idea di un festival a Corigliano si fa più concreta per poi diventare realtà nel 2003, quando Gaetano viene nominato assessore alla cultura della giunta di Corigliano Calabro, inserendo la manifestazione nel programma culturale cittadino.
Ad oggi sono oltre 300 gli ospiti – tra fotografi, giornalisti, photoeditor, lettori e curatori – ad essere passati per le splendide sale del Castello Ducale di Corigliano, uno dei meglio conservati di tutto il Meridione la cui costruzione risale al 1073, e dove nel 1354 nacque Carlo D’Angiò, divenuto poi re di Napoli nel 1381 con il nome di Carlo III. Ospiti che hanno dato vita a quell’intreccio di relazioni, scambi e reciprocità che hanno prodotto visibilità e attenzione verso la manifestazione, determinandone la crescita e insieme l’autorevolezza. Come di consueto, l’edizione di quest’anno, il cui tema è “La fotografia tra denuncia e speranza”, ha in programma una serie di attività che spaziano dalla lettura portfolio, inserita nel prestigioso circuito nazionale FIAF “PortfolioItalia”, ai seminari, workshop, presentazioni di libri e mostre che rimarranno allestite fino all’11 settembre. E proprio una delle pause del weekend inaugurale, è stata l’occasione per scambiare qualche battuta con Gianzi, al quale abbiamo chiesto se questo festival non sia nato già grande, considerata quell’intuizione iniziale…
“Sì, come ricordi, sin dalla prima edizione il filo conduttore è stato la committenza ad un autore di fama internazionale, di un lavoro che fosse una lettura personale del territorio, e così per questi diciannove anni. Abbiamo iniziato con Gianni Berengo Gardin, il cui reportage ha proiettato il Festival in una riflessione collettiva sulla contemporaneità proseguita poi da Gabriele Basilico, che in armonia con il suo linguaggio, divenuto uno stile riconoscibile, ha rintracciato i segni della stratificazione architettonica della città nel tempo. Nei tre anni successivi è stata la volta di Francesco Radino, con una ricerca sull’area portuale, i ritratti di Enrico Bossan, e il taccuino di vita quotidiana di Francesco Cito. L’edizione successiva, dedicata a “Fotografi e Fotografia del Sud”, ha proposto un lavoro di Mario Cresci ispirato all’ulivo, da sempre albero icona della meridionalità, e ancora altri grandissimi autori negli anni a seguire: Luca Campigotto, con “Le misure della notte”; Franco Fontana, con un inevitabile “Corigliano a colori”; Maurizio Galimberti, che ha trasformato Corigliano in “KoriPolaKalimba”; Ferdinando Scianna, per un diario di “Tre giorni a Corigliano”; Guido Harari, con “Spiaggiamenti”; Francesco Zizola, con il racconto “Ibris, l’uomo e il mare”; e poi ancora le donne voluttuose di Monica Cordiviola; “Il più è uguale al meno” di Massimo Mastrorillo, progetto fotografico che ha preso le mosse da questo detto della tradizione popolare calabrese; l’impossibile racconto di Olivo Barbieri; e quello di Monika Bulaj dedicato a Mario Dondero.
Ricordo anche un’edizione particolare del Festival dedicata al cibo, e al rapporto fra produzione e territorio…
“Sì, ci siamo dati un tema, ‘Agroalimentare e dintorni’, per esaltare quella che è la vera ricchezza del nostro territorio, ovvero la produzione agroalimentare di qualità. Un tema che si sposa con la cultura del cibo, con la nostra storia culturale, e non da ultimo, con l’offerta turistica. Un tema che è stato trattato da diversi punti di vista: Luca Bracali con “Freddo dal Sud” ha raccontato del processo di trasformazione dei vegetali che attraverso la surgelazione, dal campo arrivano sulla nostra tavola; con “Bufale e Mozzarelle” Francesco Cito ha reso le suggestioni di un allevamento e del suo esito produttivo; Luciano Ferrara ha documentato in “Liquorice” un’antica produzione territoriale; Francesco Zizola con “Citrus Deliciosa” si è occupato della produzione principe della Piana di Sibari, la Clementina, che abbiamo scelto anche come copertina quale elemento distintivo del nostro produrre. Stéphane Aït Ouarab ha scelto “Le facce del Sapore” per esplorare attraverso i visi dei ristoratori questa antica attività; Niccolò Biddau con “Industria Alimentare” e Giuseppe Torcasio con “Street ‘n’ Food” hanno offerto una dimensione più generale, declinando il cibo sul versante delle grandi industrie e del consumo da strada; e poi “Le Donne del Digiuno”, il lavoro di testimonianza di Francesco Francaviglia, vincitore di Portfolio Italia”.
Diciannove anni di continuità nel panorama calabrese sono una sfida difficilissima, quasi incredibile: quali sono stati i maggiori problemi organizzativi che hai dovuto affrontare?
“Naturalmente le difficoltà finanziarie sono al primo posto, come credo accada per tante altre manifestazioni; possiamo contare su alcuni sponsor illuminati e benevoli, ma per il resto, confidiamo nel contributo della Regione Calabria. Purtroppo partecipare ai bandi regionali è un po’ come puntare alla roulette, e non sempre va bene. Al di là del contributo, ciò che più pesa è la mancanza di certezze, che non consente di programmare con la necessaria serenità e nei tempi adeguati”.
Se dovessi individuare un qualcosa, un episodio che di questi diciannove anni ricordi con particolare piacere?
“Il conferimento, nel 2010, della cittadinanza onoraria a Gianni Berengo Gardin; non è stato solo un riconoscimento ad un grandissimo Autore che con le sue foto ha accompagnato la storia degli ultimi 50 anni della nostra società, ma è anche il riconoscimento istituzionale da parte della Città del valore di questa manifestazione, che ha proiettato Corigliano in una dimensione culturale internazionale”.
La sfida per il Festival di Corigliano sembra essere ora quella di offrire nuovi contenuti nel segno della continuità; hai un altro sogno nel cassetto?
“Fra le arti visive, la fotografia era sempre stata tenuta all’angolo, considerata una nicchia per pochi, da qui l’impegno e la sfida, nel nostro piccolo, per contribuire a conferirle una collocazione più giusta e meritata. Oggi il progetto a cui penso è la realizzazione di un libro con i lavori prodotti da tutti gli autori; l’altro sogno è Josef Koudelka, mi piacerebbe vederlo nelle vie di Corigliano …chissà!”
E Gianzi fotografo, autore che ha vinto numerosi premi, è legato ad una qualche foto in particolare?
“Mi piace ricordare, tra i miei primi scatti, quello emozionante a John F. Kennedy in visita a Roma nel luglio 1963…”.
E chissà, magari in futuro potremo vedere allestita anche una sua mostra; intanto con le sue produzioni internazionali la rassegna consolida il ruolo di Corigliano come cittadella della fotografia nel cuore del Mediterraneo, superando gli angusti confini territoriali in virtù della valorizzazione dell’identità, facendo propria la lezione di Albert Camus che già nel secolo scorso si interrogava sul “pensare meridiano” come ridefinizione dell’immagine che lo stesso Sud ha di sé, a partire dalla consapevolezza della propria identità. Ed è appunto quella continuità tra passato e presente che definisce l’identità, la prospettiva sulla quale il Festival della fotografia di Corigliano ha puntato con lungimiranza ad inizio millennio, in un momento storico improntato viceversa a quella globalizzazione messa oggi in discussione. Un pensare meridiano che il festival di Corigliano ha saputo declinare in chiave postmoderna.
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