UN “GIALLO” SUL PITTORE CEFALY

L’avvincente opera prima di Francesco Stirparo, medico di Caraffa, si è imposta al “Golden Book Awards” di Napoli

di Roberto Messina

“L’ultima tela di Cefaly” (La Rondine Edizioni) è il primo romanzo di Francesco Stirparo, vincitore del premio per la miglior trama al Concorso letterario “Golden Book Awards” di Napoli. Si sviluppa come un giallo, con trama la ricerca di un dipinto misteriosamente scomparso del grande pittore risorgimentale Andrea Cefaly, attivo a Cortale (Cz). La narrazione è un fiume in piena che travolge con i precisi richiami storici alla società locale e ad alcuni protagonisti della cultura a cavallo dell’Otto-novecento, e poi con il dettagliato spaccato sull’arte del grande Cefaly; le tristi vicende del brigantaggio e le sue conseguenze; le due culture, albanese e calabrese, a confronto; le tradizioni e superstizioni popolari.

Oltre a raccontare per la prima volta la recente rivolta popolare locale contro la giustamente avversata ipotesi di costruzione della mega-discarica di Battaglina (Girifalco), vicenda conclusasi positivamente, si concentra su tematiche ambientali: speculazioni edilizie e deturpamento paesaggistico dei parchi eolici che hanno profondamente segnato il territorio sulle colline tutt’intorno, dando giusto spazio a protagonisti e loro lotte di salvaguardia.

Dott. Stirparo, partiamo dall’inizio. Ogni romanzo comincia con un’idea, una scintilla. Cosa l’ha spinta a scrivere “L’ultima tela di Cefaly”?

E’ nato dalla necessità di rivalutare storia e personaggi della Calabria spesso misconosciuti. La trama si snoda intorno ad un dipinto perduto di un pittore immenso, ma dimenticato dai più: Andrea Cefaly, tra le personalità più forti dell’Ottocento, attivo sia sul piano politico che, ancor più, come artista. E’ un omaggio ad una grande mente, per non dimenticare un artista, ma soprattutto il luogo in cui è nato, un posto unico, meraviglioso quanto oscuro, tormentato, sprezzato da chi da fuori poco lo conosce, e da chi dentro finge di non conoscerlo: la Calabria, i suoi artisti, le sue bellezze, la cultura e la gente che vi abita.

Dopo cent’anni dalla scomparsa del quadro, un architetto tedesco con la passione dell’arte, Gunter Maeler, parte per la Calabria alla ricerca della tela di Cefaly, pezzo di pregio per la mostra che sta per allestire a Monaco di Baviera. Nell’indagine, è aiutato da una ragazza di Caraffa, Giorgia Miceli, studentessa con la passione per il giornalismo, che scrive articoli di denuncia per evitare la costruzione di una mega discarica in località Battaglina, tra Borgia, S. Floro, Cortale, Girifalco e Caraffa. La ricerca, condotta in varie città dell’istmo di Catanzaro, si presenta difficilissima, e i due devono superare intralci, remore e diffidenze, in una terra ricca di bellezza, ma anche di ostacoli”.

Perché un tedesco protagonista del racconto?

“Mi intrigava l’idea dell’Italia, della Calabria osservate da una persona ricca di pregiudizi come potrebbe essere un architetto tedesco di successo, il Gunter Maeler, prigioniero dei postulati della ragione e dominato dall’atavico spirito tedesco, che però subisce progressivamente il fascino della realtà antropologica calabrese: di fronte a vari accadimenti, ai suoi occhi quasi magici e mistici, che sembrano nascondere una sorta di simbologia criptata, la razionalità vacilla, facendosi risucchiare in una vertigine di emozioni. Duttile e curioso, si lascia avvolgere dalle spire di un mondo che gradualmente lo contamina, sino a farlo arrendere al ‘sentire’ tipico della cultura, dei riti, dei miti, delle superstizioni meridionali. La passione di Gunter nell’andare alla cerca della tela, l’ammirazione per questa terra che colpisce l’occhio dell’osservatore per i suoi colori, i suoi contrasti, segnano emozioni e sensazioni che ho cercato di trasmettere al lettore, per sentirle ed interiorizzarle”.

Invece Giorgia, la protagonista femminile?

“Giorgia Miceli, con la sua spontaneità, incarna l’orgoglio e la determinazione del popolo calabrese, di quanti vogliono salvaguardare terra e dignità. Il suo è un universo arbëresh febbrile e variopinto, in cui sociale e personale si intrecciano, come in una fitta rete, con la sua anima un po’ vagabonda e inquieta, raccontata nelle sue più intime vicissitudini. I due personaggi protagonisti, Gunter e Giorgia, impersonano due realtà umane e culturali tra loro apparentemente inconciliabili. E’ la storia di un’amicizia connotata da una preliminare incomunicabilità, che coincide poi con un continuo cercarsi, perdersi, ritrovarsi e forse perdersi di nuovo, fino a diventare complici nell’inseguire incertezze e speranze”.

Il romanzo è animato da un gran numero di personaggi.

“Alcuni, sia del passato che contemporanei, sono citati con i loro reali nomi. E gli accadimenti che li coinvolgono sono reali, anche se descritti in modo romanzato. Per gli altri soggetti di fantasia, mi sono ispirato a persone della vita quotidiana, impossibilitate ad emergere nonostante le indubbie qualità, perché vittime di inganni e soprusi di politici e persone senza scrupoli.”

I suoi riferimenti letterari? E come potrebbe definire questo romanzo?

Indubbiamente il lettore più smaliziato troverà delle similitudini con il famoso libro di Dan Brown ‘Il codice Da Vinci’, ma la somiglianza si ferma al mistero riguardante un dipinto e all’avventura condotta da una coppia di protagonisti diversissima per carattere ed estrazione culturale. Il filo conduttore è l’amore per l’arte, la cultura e le tradizioni calabresi, ma in fondo la ricerca del ‘capolavoro’ di Andrea Cefaly rappresenta quella della propria identità, dei propri valori e infine di sé stessi. Il romanzo lancia anche messaggi più profondi. Sono certo che il lettore potrà appassionarsi alla narrazione di una Calabria positiva, fatta di persone orgogliose con un forte senso del dovere, che non abbassano la testa davanti al malaffare, come molti personaggi del romanzo, e come in realtà Andrea Cefaly: artista malevolmente dimenticato dai conterranei, ma uomo di grande spessore morale. Ho poi voluto dare rilievo alle persone che hanno costituito il Comitato ‘No Discarica Battaglina’: sono la speranza che in questa terra è possibile ribellarsi ai poteri forti per tutelare il bene inestimabile della salute e impedire il disastro ecologico”.

Da chi ha tratto fonte di ispirazione?

Da mia moglie, arbëreshë di Caraffa e antropologa, studiosa del costume e delle tradizioni albanesi. Alcuni passaggi molto tecnici, ma descritti con voluta levità, sono frutto dei suoi studi di cui mi ha reso partecipe. A lei, alla mia famiglia e a tutti coloro che hanno condiviso i miei percorsi dedico questo lavoro”.

Francesco Stirparo è nato a Catanzaro il 20 marzo 1956. Dopo aver trascorso l’infanzia e l’adolescenza nella città natale, ha studiato Medicina all’Università di Firenze, specializzandosi in Dermatologia e Venereologia. Lavora a Catanzaro come medico dermatologo e vive a Caraffa di Catanzaro con la moglie Cettina Mazzei, pittrice, antropologa e studiosa dell’albanesità. Dal 1995 è Presidente dell’Associazione “Progetto Caraffa” con la quale ha organizzato numerose iniziative culturali e sociali. Ha scritto poesie e due commedie “La bisbetica di Caraffa” e “L’invenzione”, messe in scena nel 2015 e 2016.