Salvatore Falbo tra contrappunti cromatici e sognanti ATMOSFERE

Originario di Gagliano (Cz), critica e mercato stanno riscoprendone statura e ispirazione di grande pittore intimista oltre le mode e le avanguardie del Novecento

di Roberto Messina

Salvatore Falbo, Autoritratto

Non senza difficoltà, è stato finalmente possibile rintracciare a distanza di quarant’anni dalla scomparsa (1965) il discreto numero di opere, le testimonianze e gli elementi che pur parziali, aiutano a ricostruire la biografia del pittore catanzarese Salvatore Falbo (nato a Gagliano, Cz, nel 1913), con episodi, aneddoti e riconoscimenti in campo artistico, a cominciare dalla sua costante presenza alle mostre, documentata da cataloghi, ritagli di giornali, testimonianze dirette di amici e ricordi di parenti ed allievi che hanno avuto modo di conoscerlo ed apprezzarne grandi doti artistiche ed umane.

Le notizie più rilevanti sulla sua effettiva originalità, forza ed abilità artistica, oltre che dalla sua formazione (frequentò giovanissimo la bottega dei pittori Garibaldi e Rubens Gariani; suoi compagni di corso furono Eugenio Parentela, Andrea Cefaly junior e Francesco Cristini) provengono, per così dire, dalle sue stesse opere, che per tanto tempo, purtroppo, non hanno trovato tessuto artistico nel quale consolidarsi ed essere adeguatamente rivalutate con i loro elementi stilistici e poetici che riconducono decisamente ad una personalità di spessore, di alta sensibilità, magistralmente incline al racconto e alla rappresentazione degli aspetti poetici, spesso anche oscuri, della natura. Falbo arricchisce questa sua formazione ispirandosi alla tradizione del Verismo napoletano importata dai suoi maestri, ma rielaborata in chiave personale. Dalla desolata atmosfera di un “Paesaggio di Gagliano”, alla sicura pennellata in uno scorcio di “Marina”, è evidente come abbia riservato per sé una prodigiosa capacità di sintesi, capace di “impressionare” il momento estemporaneo di “plein air” a lui sempre molto caro, riuscendo a farne una sua precipua e riconoscibile impronta.

Non senza difficoltà, è stato finalmente possibile rintracciare a distanza di quarant’anni dalla scomparsa (1965) il discreto numero di opere, testimonianze ed elementi, che pur parziali, aiutano comunque a ricostruire la biografia del pittore catanzarese Salvatore Falbo (nato a Gagliano, Cz, nel 1913), con episodi, aneddoti e riconoscimenti in campo artistico, a cominciare dalla sua costante presenza alle mostre, documentata da cataloghi, ritagli di giornali, testimonianze dirette di amici e ricordi di parenti ed allievi che hanno avuto modo di conoscerlo ed apprezzarne grandi doti artistiche ed umane.

Paesaggio di Gagliano

Un lungo lavoro di ricerca posto alla base delle ultime mostre retrospettive a lui dedicate nel celebre castello sforzesco di Soncino (Cr) e a Palazzolo sull’Oglio (Bs) nella Galleria Minotauro, curate dal figlio Antonio Falbo e dal nipote Salvatore (mentre nella sua Catanzaro, finora, incredibilmente, nulla di fatto, se si esclude la sacrosanta intestazione di una via attribuitagli a Gagliano) cui è stato felicemente associato un ampio excursus aneddotico, a cominciare dal ricordo diretto del suo amico d’infanzia Angelo De Nardo, affascinato dalle nature morte di cui Falbo era maestro e in cui sapeva esprimere rara intensità: “silenzioso e concentrato – racconta – si arrestava davanti al cartone, ed era un’emozione vedere scorrere improvvisamente e velocemente la sua mano in modo così sicuro e quasi automatico… Davanti a lui, il modello, non sempre figure umane come quelle degli ateliers preromantici, ma spesso un semplice e modesto piatto di frutta o fiori, circondato da foglie o rami secchi. Sulla tela, invece, un preciso e rapido sovrapporsi di macchie, contrasti di colore e cromie tenui, dai tocchi pregiati e dai contrappunti tonali armoniosi. L’ambientazione, un grande giardino rigoglioso di piante e fiori, una piccola sorgente d’acqua, uno studiolo in un piccolo stanzino con unica apertura una finestrella malconcia da cui filtrano i raggi del sole”.

Ritratto di Alessandro Turco

De Nardo ricorda ancora quei momenti, indelebili nella sua mente, seduto accanto all’artista ad osservare i suoi esili e nello stesso tempo decisi tocchi di pennello, e la sicurezza di una mano guidata come per un’attitudine naturale: “Le sue mani erano sorprendenti: magre, dalle dita affusolate, nervose, scattanti, in grado di segnare la tela in modo sicuro e privo di tentennamenti, e di esprimere serenità d’animo pur nella forza dei colori caldi di due mele o di un peperone su un tavolo d’opaline… Penso, comunque, che è ‘all’aria aperta’ che Falbo ha ottenuto il miglior effetto del ‘vero’, dipingendo la realtà come si propone ai nostri occhi”.

Altro importante aneddoto nella memoria di Alfredo Mazzocca, anche lui grande ammiratore e testimone sin dall’infanzia del lavoro del “professor Falbo”: “la pittura gli regalava serenità. Nei pomeriggi dopo le ore di ufficio passate alla delegazione di Governo di Gagliano, in cui svolgeva la professione di Ufficiale di Stato civile, era solito condurmi nelle campagne intorno al paese, facendomi portare la sua valigetta di colori, mentre lui imbracciava il fucile. Severo con se stesso, ma generoso e comprensivo con gli altri, lo incontravo sovente per le ‘rughe’ di Gagliano con accanto il suo ‘treppiedi’, specie nei mesi pre-autunnali quando nelle infinite gamme di verdi, dominanti ed elitari della natura tutt’intorno, si coglievano i chiari segni della stagione volta al termine. Intento a cogliere il momento propizio nella sua bozza di paesaggio, desisteva anche per un nonnulla, quando, ad esempio, una nuvola passata veloce in cielo, cambiava la luce, e gli faceva abbandonarne l’esecuzione. La luce doveva essere sempre quella giusta. E se non era quella, poteva tornare sullo stesso luogo anche per un mese di fila, così come ricordo fece in posti chiamati ‘a’ Strina’, ‘Jeliconte’ e “Masseria’”.

Via Bellavista, Catanzaro

I paesaggi di Gagliano, i casolari e le verdi “timpe” in cui Falbo trovava forte ispirazione e salda pace spirituale, i soggetti privilegiati del suo narrare per composizioni di forme e colori, costituivano anche il sottofondo, ben trasfuso in chiave psicologica, dei suoi abili ritratti (ma sovente è il paesaggio stesso, senza figure umane, a qualificarsi e raggiungere il climax ritrattista) là dove l’indagine introspettiva viene concretizzata in volti pensosi, su sfondi di toni uniformi e poco illuminati, mentre nel suo autoritratto, lo sguardo particolare ed indefinibile rivolto all’osservatore, sembra quasi ammonire e mettere in guardia da qualcosa.

Le opere presentate nelle due ultime esposizioni datano tra gli anni Trenta ed i Sessanta, con Falbo spettatore attivo del tramonto dei vari stili e poetiche novecentiste, e per contro, dell’impetuoso affacciarsi o imporsi di quelle avanguardistiche tonali, espressioniste, astratte e informali, ma senza curarsene troppo e restando saldo sulla propria poetica antropologica.

Il suo interesse, l’immagine, la vita e dal pensiero degli strati meno abbienti della popolazione: contadini, pastori, pescatori, dei quali seppe riprendere, con abile trama disegnativa, i segni delle fatiche e del vivere quotidiano, attraverso morbidezze chiaroscurali e profonde vibrazioni tonali. Le sue vere gioie, le ore di libertà nel silenzio dello studio o in aperta campagna, alla ricerca di espressioni cromatiche sempre più nobili. Approfonditi i classici della letteratura e della filosofia, idolatrò anche la musica (ispirato dallo zio materno Salvatore Caroleo, compositore di rango internazionale, del quale ascoltava con trasporto le esecuzioni orchestrali da lui scritte e dirette) esercitandosi al flauto, accompagnato dagli amici con chitarra e violino.

Natura morta

Dal 1937 partecipò attivamente alle esposizioni “sindacali” organizzate da Alfonso Frangipane in Calabria assieme alla “Confederazione fascista dei professionisti e artisti”. Sul finire degli anni ‘40, intensificò i suoi rapporti di collaborazione con gli amici scultori: Giuseppe Rito, Domenico Colosimo e i fratelli Jerace. È datato 1947 il famoso ritratto del senatore Alessandro Turco (oggi nella collezione di famiglia) dal quale emerge una forte carica espressiva caratterizzata da una strana e intensa fissità pensosa.

Anche in altri ritratti noti si può riscontrare la capacità dell’artista di sintetizzare i tratti somatici e psicologici dei personaggi. Nel 1949 espose in una collettiva a “Villaggio Mancuso” nella Sila catanzarese, e proprio in quell’occasione, durante le celebrazioni del Premio Sila, conobbe il pittore Michele Cascella, che tanto affascinato dai suoi paesaggi, volle incontrarlo. Fu poi invitato, con sale personali, a due mostre a Firenze e Napoli, mentre si distinse in diverse edizioni del “Maggio di Bari” e partecipò alle rassegne d’arte calabresi organizzate a Reggio Calabria, Polistena, Nicastro, Catanzaro. Morto prematuramente a soli 52 anni, ha lasciato un discreto numero di opere e diversi affreschi in case private di amici collezionisti. In occasione del quarantesimo anniversario della morte, nel 2005, l’Amministrazione comunale di Catanzaro ha voluto intitolare, in segno di gratitudine per il suo contributo culturale, una via nella natia Gagliano.

La via intestata a Salvatore Falbo nella sua Gagliano

Salvatore Falbo è stato, senza dubbio, uno dei protagonisti delle avanguardie calabresi del Novecento, tra i più illustri della corrente artistica catanzarese, distintosi per il suo citato, forte e dichiarato interesse per i meno abbienti dell’agro gaglianese, dei quali ha rielaborato nelle tele la vita umile (ma densa) di gente solo apparentemente semplice, ma in verità “naturalmente” filosofa e poetante…

Oltre che negli olii a tecnica di “fumo di candela”, fu straordinario nel carboncino e nell’acquarello: laddove la porosità della carta rivela tutta la freschezza del suo tocco. Nei ritratti, come d’altronde in quelli del suo maestro Garibaldi Gariani, il fattore umano è vivo e particolarmente equilibrato, con la fisiognomica che è abilmente piegata all’espressività, ed i precisi lineamenti del viso che rinviano all’atmosfera psicologica precisamente cercata, voluta e finemente espressa.

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