02 Giu Rocco Femia, da Aprigliano (Cs) a Tolosa, per raccontare l’italianità oltre i luoghi comuni…
Intervista al giornalista\editore (col marchio Editalie) dell’importante rivista bilingue italo-francese “Radici”, anche organizzatore di grandi eventi culturali, musicali e teatrali. Nel prossimo numero doppio estivo del magazine, 20 mete turistiche (un borgo per ogni regione, per la Calabria Fiumefreddo Bruzio) di un’Italia sconosciuta anche a gran parte dei suoi abitanti; e poi un approfondito e inedito dossier sull’Italia Paese dell’antimafia
di Riccardo Guerrieri
Cos’hanno in comune l’antica città francese di Tolosa ed il paese di Aprigliano, in provincia di Cosenza? Cosa lega la “città rosa”, così chiamata per i mattoni in terra cotta impiegati come materiale tradizionale di costruzione (o anche la “città viola” per la sua rinomata industria legata al delicato fiore) ed il comune di 2800 abitanti situato sulle pendici della Sila a più di 2000 chilometri dal capoluogo dell’Occitania? Intanto, un nome, che si può facilmente incrociare nella città occitana del Sud Ovest della Francia, un personaggio che di Tolosa ama soprattutto il suo quartiere chiamato “Carmes”, venuto qui da Aprigliano: Rocco Femia.
E’ un “italiano vero”, con esperienza internazionale e fedele a quelle origini calabresi che hanno dato al mondo un popolo di lavoratori infaticabili, ma anche tanti personaggi celebri come Cassiodoro, Gioacchino da Fiore, Telesio, Campanella, Mattia Preti. Una Calabria che sin dai tempi della Magna Grecia di Pitagora, fino a quelli moderni di Gianni Versace, è stata terra di generose risorse umane che Calabriamundi sta facendo appassionatamente (ri)conoscere portandole alla luce a contrasto delle ombre che continuano ad oscurare la punta dello stivale.
Rocco Femia è figlio del Sud italiano, ma la sua non è stata una partenza con la “valigia di cartone”, tutt’altro. E’ uomo dai molti talenti, laureato in Giurisprudenza, poi giornalista, in Francia anche editore di giornali e produttore di spettacoli musicali e teatrali. Fa parte di quegli italiani che hanno colto l’opportunità di una vita all’estero, senza però tagliare i legami con la madrepatria. Fondatore nel 2002 del gruppo editoriale EDITALIE, Rocco Femia ha assunto la direzione della rivista RADICI rendendola attualmente la rivista franco-italiana bilingue più diffusa nel mondo francofono, con più di 18.000 abbonati in Francia e in Belgio, Svizzera, Lussemburgo e Canada. Nel 2011 crea la sezione libri in lingua francese, ma consacrata alla cultura italiana nell’intento di “far emergere il meglio di un popolo o di un territorio e condividerlo con tutti”: cioè non solo con gli italiani all’estero o gli oriundi italiani, ma soprattutto con i numerosi francesi appassionati dell’Italia che apprezzano la linea editoriale della rivista che spazia dall’attualità, alla storia, dalla cultura alla gastronomia.
Mi piace far notare che il cognome Femia deriva dal verbo greco “phemί – φημί”, che significa parlare, discorrere, raccontare, saper dire: tutte doti che si addicono al nostro direttore, che oltre ai suoi editoriali ed ai suoi post sulla rete, ha scritto e pubblicato libri che costituiscono Oltralpe un radicato punto di riferimento. È con grande piacere che gli diamo direttamente la “parola” con questa intervista.
Circa 30 anni fa, direttore, si è stabilito a Tolosa, già capitale europea dell’industria aeronautica e spaziale grazie alla costruzione dell’Airbus, dove lo sport emblematico è il rugby e, a livello gastronomico, i piatti più conosciuti sono il cassoulet e la salsiccia omonima. Quali sono stati e quali sono le Sue particolari interazioni con questi tre aspetti della vita di Tolosa?
Con Airbus, nessuna. Con il rugby altrettanto, rimanendo ancora un po’ più interessato al calcio. Con la gastronomia mi sono lasciato volentieri conquistare dalla buona cucina del sud-ovest francese, una delle migliori di Francia.
La scelta del nome RADICI ha un significato ampio e profondo. Nel finale del film di Franco Battiato, “Perduto Amor”, il personaggio-filosofo Manlio Sgalambro parla di “appartenenza al territorio di nascita”. Quali sono e quali pensa che saranno i suoi rapporti con il paese di origine, Aprigliano e, più generalmente, con la Calabria e l’Italia?
Le ‘radici’ sono quell’elemento naturale che ci ricorda chi siamo e da dove veniamo. E che aiutano a capire, se vissute nel rispetto della memoria, quale strada prendere. Soprattutto per dare ‘senso e direzione’ a quello che facciamo. È solo nelle scelte che facciamo, attimo dopo attimo, nel presente nel quale viviamo, che possiamo essere fedeli alle radici. E poi dovremmo metterci d’accordo su cosa intendiamo per ‘radici’. Lei sa bene che ci sono radici sane, forti, storicamente importanti; ma anche radici che pur appartenendo a ciascuno e al nostro popolo collettivamente, non sempre sono motivo di fierezza. In questo senso, amare le radici significa far memoria di quella storia di costumi, cultura, idee e testimonianze che hanno veramente arricchito il nostro personale cammino esistenziale. Ecco, le radici sono il luogo sano della memoria collettiva, quel pozzo senza fondo dove attingere la buona acqua di cui abbiamo bisogno, soprattutto oggi. Personalmente quando evoco Aprigliano, il paese dove sono nato, penso di essere tra coloro nel mondo, numerosi, che vivono un costante e lancinante senso di sofferenza e allegrezza.
Sofferenza per la distanza e allegrezza per questo senso di appartenenza fiera e ragionata ad un luogo preciso e non ad un altro. Perché noi siamo veramente di un luogo particolare e di nessun altro. Apparteniamo a quel posto. Sempre e per sempre, anche se la vita ci porta altrove. Questa coscienza, però, non mi ha mai impedito di guardare fuori e di diventare in un certo senso cittadino del mondo. Apertura al mondo che è possibile solo se si ha consapevolezza delle proprie radici e di quel posto unico e irripetibile nel quale è nata la nostra avventura umana. Ecco cosa rappresenta per me Aprigliano.
La rivista RADICI è costituita da circa 70 pagine, ha una grafica ben curata, interamente a colori, con tante belle foto ed una squadra al lavoro affiatata e motivata, con un bellissimo sito (www.radici-press.net). Poco tempo fa, Lei annunziava anche la creazione di una piattaforma web al fine di produrre documentari e contenuti giornalistici ed artistici per la rete. A che punto è questo progetto?
Ci stiamo lavorando. La pandemia ha rallentato il progetto e acuito la difficoltà nella ricerca degli sponsor necessari per realizzarlo. Ma siamo testardi (questa è sicuramente un’eredità calabrese) e so che ce la faremo, a condizione di restare fedeli ai valori che ci muovono.
Il 9 aprile scorso, in quanto direttore di RADICI è intervenuto per denunciare una politica “ormai fuori dal gioco della vita” a causa di “una selvaggia globalizzazione” che ha determinato “l’assolutismo di certi poteri che fanno quello che vogliono” e decisioni che contano quando provengono dall’alta Finanza. Recentemente, ha ribadito la sua visione e la pratica di un giornalismo responsabile ricco di umanesimo, di valori e di diritti. Poiché in occasione della morte del giovane clandestino Moussa Balde Lei è insorto su Facebook scrivendo “Quest’Italia qui non mi piace proprio… ma proprio per niente”, potremmo pensare ad una Sua “discesa in campo” nelle elezioni politiche, oppure la Sua visione di un’altra Italia, che Lei auspica “aperta, libera, coraggiosa, laica e solidale”, resterà solo una linea editoriale?
Quello della politica è un mondo che preferisco giudicare a partire dal suo operato. NOn ce l’ha prescritto il medico che per realizzarsi ed essere in buona salute, bisogna lottare per avere un posto in Parlamento. Anche perché, in politica più che altrove, il concetto di coerenza alle proprie idee ha una durata di vita pari a quella di un respiro, flessibile come la meteorologia. Se guardo all’Italia, poi, la non credibilità è diventata uno sport nazionale. Basta vedere la televisione e leggere i giornali. Partiti e leader che ieri contrastavano certi programmi politici, oggi li sostengono perché invitati ad accomodarsi sulla poltrona del potere in nome di una presunta unità nazionale. E ciò che è più triste, è che nessuno se ne accorge, talmente il Paese è immerso in una sorta di letargia. Ecco, il voltagabbanismo, male endemico, non conosce crisi nel Paese dei compromessi che spesso sfociano in compromissioni. In questo contesto, pur rimanendo un cittadino appassionato di politica, non intendo scendere nell’arena. Si può aiutare il proprio Paese in mille altri modi, non necessariamente pensando di far politica da una poltrona parlamentare. Il mio e nostro contributo è quello di informare, scrivendo e producendo cultura italiana per la Francia ed i Paesi francofoni. Ecco perché pur avendo avuto delle offerte dall’Italia in questo senso, le ho gentilmente rifiutate. Penso di poter essere un po’ più utile da fuori. Mi va proprio bene così.
Il 26 maggio è intervenuto su Facebook con due post, denunciando da una parte il degrado ambientale che sta trasformando il nostro pianeta “in un pianeta che stiamo per perdere e che non è già più quello di una volta”; d’altra parte, rilevando che le limitazioni imposte dal confinamento hanno “ulteriormente accentuato la nostra dipendenza dall’elettronica e dagli schermi”. Ha, dunque, fatto una serie di proposte per riuscire a guardare il mondo “nella vita reale”. Come pensa di poter far applicare quelli che anche Lei non esita a definire “buoni propositi”? Forse tramite il ricorso a quelle tecniche di persuasione che anche alla Luiss di Roma stanno preconizzando, cioè di “nudging” (spinta gentile) in ambito ambientale?
Non c’è bisogno di tecniche di persuasione più o meno occulte. Il metodo per cambiare il proprio Paese è cambiare se stessi. È lo stesso da quando esiste l’uomo. Che sia la politica o l’ambiente o la salvaguardia del pianeta. Il solo criterio è la credibilità del proprio operato. Dante Alighieri, in questo senso, resta ancora di attualità. Tra gironi infernali e purgatori dove c’è chi racconta tutto e il suo contrario, la vera sfida che dobbiamo raccogliere è quella della ‘Credibilità’. Perché è inutile ed ipocrita raccontarci sempre la favola degli italiani popolo di navigatori, di geni, di poeti e di eroi. Certo, anche quelli sono veri, ma poi c’è anche tutto il resto. Ci siamo noi con le nostre cattive abitudini civili e non è, purtroppo, un bel vedere.
I divieti per gli assembramenti a causa della diffusione della Covid-19 su quali spettacoli da Lei prodotti hanno impattato? Quali prevede di realizzare durante quest’estate?
Come per tutti gli altri produttori siamo stati impattati su tutti i sette spettacoli che produciamo. L’estate 2021 è sotto il segno di un nuovo inizio, bisogna saper ‘ricominciare’. Abbiamo vari festival in Provence, Luberon, Dordogna a Sarlat e la festa della musica a Tolosa. Ma il ritorno sulla scena, si verificherà in maniera più ampia dopo l’estate.
Potrebbe dirci di più sul prossimo numero della rivista RADICI e sullo spettacolo dedicato all’emigrazione “Italiens, quand les émigrés c’était nous”?
Il numero doppio dell’estate 2021 è veramente speciale. Un numero bello da vedere e ricco da leggere. Proponiamo 20 mete di un’Italia sconosciuta anche a gran parte dei suoi abitanti. Tra le tante meraviglie di cui è ricchissimo il Belpaese, purtroppo abbiamo dovuto fare una selezione, da Nord a Sud, un borgo per ogni regione d’Italia. Per la Calabria abbiamo deciso di raccontare Fiumefreddo Bruzio. Per il resto del numero, invece, un dossier molto importante sulla Mafia. Ma non pensate che sia sempre la solita solfa. Per niente! Si tratta di un Dossier orientato al futuro e non al ‘pittoresco’ passato che ci vuole solo paese di mafia. Fabrice Rizzoli, forse uno dei maggiori esperti in Francia della mafia nonché presidente dell’associazione Crim’HALT, ci spiega con chiarezza quanto l’Italia sia ormai da considerarsi oggi più che mai come il Paese dell’antimafia. E scusate se è poco. Sempre in questo dossier, lo storico Jacques de Saint Victor proporrà, invece, una riflessione su quello che è forse il peccato originale di una parte della classe politica: la corruzione e la tragica complicità con il crimine organizzato. E per non farci mancare niente, siamo riusciti ad avere in esclusiva un’intervista a Nicola Gratteri, il magistrato coinvolto nella lotta alla Ndrangheta, la mafia calabrese. È grazie al suo lavoro che nel 2021 è iniziato l’altro grande processo antimafia dopo quello contro Cosa nostra in Sicilia, il famoso Maxiprocesso del 1986. Sempre in questo dossier, il grande critico di cinema Jean Gili, aprirà una finestra, diciamo più leggera, sul cinema e sulla maniera in cui ha raccontato la mafia lungo il corso del secolo.
Seguiranno un articolo su un fuorilegge che l’Italia lascia da decenni e consapevolmente a piede libero: il gioco d’azzardo. Un gioco che tra l’altro fa gola ad una criminalità organizzata mai paga di denaro sporco. Ma in questo numero è anche questione di grande letteratura. Lo scrittore Erri De Luca ci parla del suo ultimo libro ‘A Grandezza naturale’ (Feltrinelli). Il rapporto con il padre, ma anche con i figli e i padri della storia dell’umanità. Uno scrittore lucido, sostanziale e di grande impatto. ‘Noi donne italiane’ è invece l’incontro con Michela Murgia, una delle autrici più popolari d’Italia. L’abbiamo incontrata nell’occasione della pubblicazione del suo ultimo libro dal titolo fortemente evocativo ‘Stai zitta’. Per le donne italiane c’è ancora molta strada da fare nella ricerca dell’uguaglianza in una società ancora troppo maschilista ed è per questo che parlano. Altro che stare zitte. Non poteva mancare inoltre un po’ di glamour e di piacere. Per questo, attiro la vostra attenzione su due articoli: uno sui nomignoli e l’altro sui cliché antitaliani. Certo, oggi ci scherziamo, ma c’è stato un tempo in cui non era facile sopportare la derisione, il sarcasmo se non addirittura il razzismo con cui venivano trattati gli italiani nel mondo. Nell’articolo si potrà scoprire molto di più. Chiude il numero la rubrica di gastronomia sulla cucina italiana e i suoi rapporti con la musica, il cinema, la politica dove è tutto un magna-magna. Fidatevi e… buon appetito in tutti i sensi.
Per quanto riguarda lo spettacolo, cosa dire che non sia stato già detto. Bastano le cifre: 100 rappresentazioni, quasi 50mila spettatori incontrati, il riconoscimento della Queen Christine di Stoccolma per il nostro lavoro contro l’intolleranza, la xenofobia e il razzismo. E poi, questa scelta, sempre attuale, di ricordarci e ricordare quest’epoca non poi così troppo lontana, in cui i poveri, i diseredati, i clandestini eravamo noi. Ecco, questo spettacolo fa del bene soprattutto agli smemorati, a quelli che rivendicano con freddezza il diritto di pensare ‘prima agli italiani’. Se nel mondo, quando siamo andati a chiedere da mangiare, avessero fatto questo con noi, forse oggi non saremmo l’Italia che tanto amiamo.
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