30 Mag Ottavio Mancuso in viaggio tra inchieste e misteri d’Italia…
Il nuovo libro sul giornalismo investigativo del già caporedattore centrale dell’AGI, originario di Catanzaro (cui dedica un affettuoso ricordo), a breve presentato da Calabria Mundi nel capoluogo calabro
È da poco in distribuzione “Inchieste e Misteri d’Italia. Il giornalismo investigativo nella storia, il diritto di essere informati” (Edizioni Nuova Cultura): il nuovo, intrigante libro del giornalista Ottavio Mancuso (che nel 2022 aveva pubblicato con la stessa casa editrice “Giornalismo d’inchiesta. Modelli storici e tecniche di scrittura”, cui ha fatto seguito nel 2023 la masterclass in Giornalismo d’inchiesta, per Edulia-Treccani), che sarà presentato a breve in Calabria.
Nato nel 1958 a Catanzaro, dove ha iniziato gli studi classici al Liceo-Ginnasio “P. Galluppi”, trasferitosi poi a Roma, maturità al Liceo “Mamiani”; quindi, laurea in Scienze Politiche alla “Sapienza”, giornalista professionista, Mancuso ha maturato la sua fondamentale esperienza all’agenzia di stampa Agi, tra le principali italiane, di cui è stato caporedattore centrale fino al 2021. Dall’anno accademico 2021-2022, insegna “Giornalismo d’inchiesta” alla facoltà di Lettere della “Sapienza”, corso di Laurea magistrale in Editoria e Scrittura. Nel 2000 il capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi lo ha insignito dell’onorificenza di “Ufficiale della Repubblica” per meriti acquisiti nel campo dell’informazione, in occasione dell’unificazione monetaria europea, con il passaggio dalla lira all’euro.
La carica di caporedattore centrale dell’Agi, ai vertici della macchina organizzativa della testata, gli ha consentito di occuparsi di tutti i settori dell’informazione: politica, economia, cronaca, esteri, fino ai prodotti multimediali. In precedenza, in qualità di responsabile del servizio economico della stessa Agi, si era occupato specificatamente dei più importanti temi legati alla finanza pubblica, al sistema produttivo e a quello bancario. Ha, inoltre, seguito in qualità di inviato le riunioni dei capi di Stato e di governo dei Paesi del G7, i Consigli dell’Ue, i principali vertici finanziari internazionali. Prima di iniziare il lavoro di giornalista ha lavorato alla Banca Commerciale Italiana, maturando un’esperienza specifica nella gestione dei patrimoni mobiliari e nelle transazioni di titoli alla Borsa Valori di Roma. Insomma, un cursum honorum di prim’ordine, e un’esperienza di lavoro più che solida.
Pur vivendo da tempo nella capitale, Mancuso ha sempre mantenuto un forte attaccamento alle origini calabresi, tornando frequentemente nella “sua” Catanzaro per ritrovare l’affetto di parenti e amici e rinvigorire il legame con una terra della cui grande storia e cultura – così lui dice – “spera di essere degno”.
Abbiamo incontrato Ottavio a Roma per sapere di più di quest’ultimo importante volume che non mancherà di interessare addetti ai lavori e no. La conversazione comincia dalle basi, dai “pilastri” su cui poggia il libro con le sue tesi.
“La storia recente del nostro Paese, riletta attraverso le inchieste giornalistiche. E il diritto dell’opinione pubblica di ottenere un’informazione corretta e non subordinata alle logiche del potere. Sono queste le basi del volume – spiega Mancuso – con la riflessione sul ruolo che il giornalismo d’inchiesta ha giocato e può ancora giocare oggi”.
Qual è precisamente il periodo storico esaminato?
“Copre il quarto di secolo che va dall’inizio della Strategia della tensione, con la bomba di Piazza Fontana nel dicembre 1969, alla fine della Prima Repubblica nel 1994. Anni costellati di stragi e attività eversive, in cui hanno avuto un ruolo attivo anche importanti settori istituzionali infedeli alla Costituzione, con depistaggi e deviazioni sui quali c’è ancora molto da scoprire. Avvenimenti riguardo ai quali, inchieste giornalistiche serie – quelle che mettono al centro la cultura del dubbio e rifuggono da ogni forma di complottismo – hanno spesso contribuito a far luce, anche laddove la verità giudiziaria stentava a imporsi”.
Nel tuo saggio trovano ampio spazio i tragici eventi che hanno insanguinato l’Italia. Gli Anni di piombo, gli attentati neofascisti, il terrorismo rosso, le stragi di mafia…
“Si parla delle trame ordite dal Sistema P2, dei sistematici depistaggi istituzionali, dei misteri che ancora avvolgono il recente passato del nostro Paese. L’opera si rivolge, in primo luogo, alle giovani generazioni, che quella parte di storia poco conoscono, perché colpevolmente trascurata dai programmi scolastici. Ma anche a chiunque voglia rivisitare e approfondire la conoscenza di vicende che rischiano di essere ridimensionate nella loro gravità, se non addirittura rimosse dalla memoria collettiva”.
Che ruolo può giocare in questo contesto il giornalismo investigativo?
“Con le sue caratteristiche di creatività e originalità, può giocare un ruolo importante in un’epoca in cui strumenti tecnologici sempre più sofisticati, come le piattaforme di Intelligenza artificiale, offrono grandi opportunità ma presentano allo stesso tempo il rischio di appiattimento dell’informazione”.
Spiegando come si realizza un’inchiesta, tu segnali gli ostacoli che incontra oggi il giornalismo investigativo, a partire dai pesanti condizionamenti aggravati dalla crisi economica del settore, che rende – diciamocelo – più ricattabili e meno liberi editori e giornalisti.
Poi cos’altro non hai dimenticato di quegli anni?
“Da qui la proposta di inserire in Costituzione il diritto dell’opinione pubblica di essere correttamente informata. Con l’obiettivo che questo possa aiutare il giornalista a resistere a pressioni indebite, e a saper dire, quando serve, dei no…”.
Giuliano Turone, il magistrato milanese che insieme al collega Gherardo Colombo ordinò la perquisizione a Castiglion Fibocchi, dalla quale venne fuori l’elenco degli iscritti alla P2, ha fatto la prefazione al libro in cui sottolinea come questa tua opera rappresenta “una guida davvero preziosa e completa per chi voglia diventare giornalista d’inchiesta e per tutti coloro che hanno interesse a conoscere un periodo decisivo della storia d’Italia”. Che ne dici?
“Bontà sua… Sono naturalmente lusingato da queste considerazioni, e un tantino anche inorgoglito. Mi fanno pensare di aver fatto un buon lavoro e soprattutto qualcosa di utile”.
E veniamo alla Calabria e a Catanzaro…
“Pur vivendo a Roma dall’età di 15 anni, ho sempre mantenuto un forte attaccamento alle mie origini calabresi. Almeno una volta l’anno, in estate, torno a Catanzaro per ritrovare l’affetto di parenti e vecchi amici e rinvigorire il legame con una terra della cui storia e della cui cultura spero di essere degno. Sono nato e vissuto nel quartiere di Pontepiccolo, ma ho frequentato le scuole a San Leonardo – quella elementare all’’Antonietta Aldisio’ e la media alla ‘Giovanni Pascoli’ – perché mio padre, dirigente dell’Inail, lavorava lì e gli veniva comodo accompagnare me e mia sorella. Ci portava a scuola una buona mezz’ora prima dell’orario di ingresso e così avevo il tempo di giocare con i compagni. Dell’Aldisio ricordo interminabili partite di calcio giocate con le pigne che cadevano dai grandi pini del cortile della scuola. Sì, tiravamo calci alle pigne, sia perché mai ci avrebbero permesso di portare un pallone vero a scuola, sia perché all’epoca i palloni erano merce rara. I Super Tele e i Super Santos, del resto, erano troppo leggeri per il vento delle nostre parti, e i San Siro, che avevano lo stesso peso di quelli regolamentari, erano preziosamente custoditi. Per non parlare dei palloni di cuoio, assoluta rarità”.
“Della ‘Pascoli’ ricordo che prima del suono della campanella passavamo il tempo a scambiarci le figurine dei calciatori Panini. Avevamo inventato uno strano gioco che consisteva nel creare una pila di figurine, messe una sull’altra, e provare a rovesciarle con il soffio della bocca o con lo spostamento d’aria provocato da un colpo secco della mano posta a coppa. Tutte le figurine che riuscivi a rovesciare diventavano tue. Giochi semplici, come tutti quelli che si facevano all’epoca, ma che richiedevano una certa abilità. Un giorno che la fortuna era stata dalla mia parte, vinsi centinaia di figurine che ficcai a fatica nelle tasche del grembiule. La professoressa di matematica se ne accorse e me le sequestrò: fu uno dei giorni più tristi della mia infanzia…”.
E ora? Che rapporto hai con la città?
“In estate passo almeno una decina di giorni a Catanzaro Lido. Sono rimasto legato alle sue lunghe spiagge e al suo mare blu e profondo. Nella mia vita ho visto tanti mari, ma bello come il nostro non l’ho mai trovato da nessuna parte. Mia moglie dice che non sono obiettivo e probabilmente ha ragione, ma la bellezza non è mai un valore assoluto. È legata alla percezione soggettiva che se ne ha. Il mare di Lido mi riporta indietro alla mia infanzia, ai miei genitori che non ci sono più, ad emozioni e sentimenti che traggono la loro forza dalle mie origini”.
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