Max Martino: la foto d’autore, l’autore nella foto

Lo scatto …di scatto. Il motum perpetuum. Riflesso e movimento. Denotazione e connotazione. L’artista milanese, originario di Catanzaro, grande creativo e versatile, una vita tra stampa, moda, design e ricerca, spiega: “cerco di comunicare la duplicità della realtà, la sua ambivalenza, la sua caducità anche, o per lo meno la sua probabilità e la sua diagonalità”. Con le sue immagini – scrive Lanfranco Colombo: “ci dà il permesso di giocare con i nostri occhi, con la nostra fantasia e di farci intendere ciò che noi, consci, non ci aspetteremmo”.

di Roberto Messina

Max Martino, autoritratto

Le foto sono un momento di arresto nel tempo e ciò è inconfutabile: sono un momento reale, vissuto, per così dire irrivivibile, effettivo, e per questo magico e irreale. Ancora più irreale è, diciamo, una mia foto, che è come uno specchio d’acqua davanti a una scena, al piccolo spazio che mi si presenta nell’obbiettivo”.

Massimo (Max) Martino, artista straordinariamente creativo e versatile, fotografo soprattutto (ma non esclusivamente), calabrese (Catanzaro e poi Soverato) per origini e cuore, per testa e passione milanese, si descrive, si guarda allo specchio, si confessa.

E così spiega il suo fare: “Realizzo foto nelle foto, questa è la mia vera passione naturale, questa è la mia scelta. Foto quasi surreali. E uso il termine senza riferimenti a questa o a quella corrente. Faccio ‘ricerca’ con un lavoro di ‘limatura’ della realtà, e non perché questa non mi piace. Ma semplicemente per mutarla momentaneamente e nel modo per me più affascinante. Passo gran tempo immortalando ciò che più mi attira. E quando stampo, per ‘loro’, le foto, inizia il movimento, la vita. E per me le sensazioni, la mobilità, il mio ‘viaggio’“.

Per Martino, che parla volentieri del suo lavoro artistico, resta comunque “strano” parlare di sé… E che non lo faccia con piacere e souplesse, si capisce. La ritrosia c’è. E rende un tantino difficile decifrare e focalizzare le sue idee e le sue “vedute”. E un po’ complicato registrare il vero significato delle sue parole, dal momento che solitamente si esprime per immagini. Ecco allora un po’ della sua biografia, per aiutarci a capire.

“New York”, cover di musica jazz
“Spazzino a Milano”, dalla Mostra “Metamorfosi milanesi” (1997)

Nato, come si diceva, in Calabria, ma da sempre milanese, dopo la formazione professionale alla scuola civica “Galileo Galilei”, Martino si avvia al mestiere come fotografo di scena alla fortunata trasmissione “Drive in” su Italia 1 (è il 1984). Dopo una breve esperienza come reporter free-lance per la carta stampata, si dedica alla pubblicità collaborando con varie riviste del settore. Dal 1996 inizia la collaborazione con la casa discografica “Soul Note & Black Saint”, per la quale crea una serie di cover. Le macchine utilizzate sono ancora analogiche, da qui in poi passa al digitale e nel frattempo avvia una significativa ricerca, passando dall’astrazione alla deformazione: “Con le sue immagini – scrive bene Lanfranco Colombo – Martino ci dà il permesso di giocare con i nostri occhi, con la nostra fantasia e di farci intendere ciò che noi, consci, non ci aspetteremmo. Una sua foto fa dispiegare davanti a noi, come a causa di un riflesso incondizionato, un’immagine che sembra a sua volta una foto nella foto, non un particolare di essa”.

Questa sua “metafotografia” o “iperfotografia” originale, innovativa, spettacolare, e grottesca, ironica, iperbolica e metonimica a seconda dei casi, viene prevedibilmente da lontano con un’esperienza e una tecnica che l’aumenta e la potenzia con sofisticate tecniche di post-produzione che generano cifre espressive e stilistiche inedite e affascinanti. “Nell’era della sostenibilità dell’arte – spiega Marco Eugenio Di Giandomenico – le antiche tassonomie perdono significato, l’opera digitale alla fine si sostanzia in un semplice file informatico, diventando una pittura, una scultura, una fotografia o addirittura un’architettura ovvero altra tipologia di arte o meglio di media, a seconda della modalità di printing utilizzata (2D, 3D, etc.)”.

David Bowie, abstract portrait
Edwige Fenech, abstract portrait

 “Ho sempre nutrito un vivo interesse per l’arte in tutte le sue forme di espressione – chiarisce a riguardo Max Martino – e in generale per l’arte misconosciuta, non divulgata, anche rifiutata. Per l’arte soprattutto vissuta e sofferta. Ho interesse e mi dà senso di piacere quella fatta di immagini, sagome, stilizzazioni, fantasia. Da giovane mi ha reso felice dipingere ‘paesaggi su tela’, che alla fine erano nient’altro che pensieri e sensazioni materializzate con l’ausilio di un pennello.

Mi piaceva mescolare i colori, mi interessava ‘giocare’ per farci esperimenti, studi e verifiche. Ho iniziato ad appassionarmi di fotografia da quando, avevo sedici anni, ho impugnato una vecchia rolleiflex biottica 6×6 regalatami da mio padre, incuriosito dalle possibilità di questo nuovo mezzo da me scoperto quasi per caso, per comunicare col mondo circostante. A Milano incominciai così a ritrarre un mondo fatto di piccole cose, di curiosità: soggetti preferiti i vagabondi, i vecchi, e naturalmente, la città, colta però in momenti profondi, di quiete e raccoglimento”.

E poi, la storia come prosegue?

Giorgio Lotti
Gabriele Basilico

La conoscenza dei mezzi e meccanismi fotografici è diventata col tempo il primo interesse e nel 1980 ho deciso di iscrivermi ad un corso professionale di fotografia per studiare teoricamente e storicamente l’arte della comunicazione e rappresentazione fotografica. Terminato il corso, ecco una prima occasione di lavoro come fotografo di scena negli studi Fininvest ad immortalare scene televisive, personaggi, con le foto finite su varie riviste. Poi, all’opera con importanti quotidiani milanesi come “il Giorno” e “il Corriere Della Sera”, a riprendere scene di cronaca e vita quotidiana. Quindi il salto a Roma nella pubblicità e la moda, non trascurando la foto creativa. Parentesi chiusa cinque anni dopo, col ritorno a Milano nel 1990, e il rinnovo della collaborazione con i quotidiani e il settimanale londinese ‘European’. Poi, in esclusiva con la Rizzoli, trovo spazio nella rivista ‘Max’ per foto ancora commerciali e di moda, ma già ‘trasgredendo’ con l’impiego di tecniche particolari di scomposizione dei colori e delle immagini. E’ un bel momento. Sembra tutto perfetto. Ma il guadagno fa a botte con la necessità di creatività, e incomincio ad avvertire un senso di disagio. Poco tempo per la mia ricerca, per la mia esistenza, e per la mia passione”.

Milano al tempo del coronavirus

E così, cambio di rotta…

Sono stato costretto a sospendere la collaborazione con ‘Max’ per via della crisi che colpisce fotografia ed editoria e trovo occupazione come dj in locali e discoteche milanesi, recuperando un’altra mia vecchia e grande passione. Con i guadagni da dj, recupero tempo per la fotografia e comincio a creare le mie prime immagini riflesse, le distorsioni fotografiche delle mie stesse foto create in precedenza. I temi all’inizio sono astratti, o meglio ‘paesaggi astratti’ che utilizzerò più in là come cover con la casa discografica Soul-Note & Black-Saint di Milano che produce musica jazz in tutto il mondo. Inizia un periodo di grande soddisfazione a livello creativo. Si realizzano le mie prime pubblicazioni e le prime importanti esposizioni nel capoluogo milanese.

Alcune copertine realizzate da Max Martino per “Max” e per altre riviste

Nasce ‘Metamorfosi milanesi’, presentata dall’illustre critico d’arte Lanfranco Colombo: fotografie distorte analogicamente, che a primo impatto sembrano rifatte al computer: solo che in quegli anni di computer non ne sapevo proprio nulla… C’è molta curiosità intorno al mio lavoro. Conosco grandi artisti del mondo dell’immagine, ma non solo: critici, pittori, scultori, designers. Ed è proprio a loro che dedico la mia seconda esposizione ‘Sensigrafie’, altro grande successo grazie al quale ho cominciato a vendere foto e avere commissioni per ritratti a personaggi noti. Non si tratta di immagini ‘normali’, ma di rivisitazioni distorte dalla realtà, però riconducibili ai personaggi stessi. Continuo ad esporre, ed è la volta delle cover-jazz e della mostra che la SOUL-Note & Black-Saint vuole dedicarmi, col titolo di “Jazz for a new millennium”, presentata da Colombo: un collage di 100 foto dei miei primi paesaggi astratti, dalle quali vengono selezionate 16 copertine per grandi musicisti jazz”

Parliamo un po’ della tua “poetica”, della cui forza si accorgono ad un certo punto in molti, a cominciare dalla rivista “Fotographia” diretta da Maurizio Rebuzzini che dedica un numero alle tue “Sensigrafie”. Altri giornali si interessano a te, come “Photo”, “Trend”, “Foto-digital”. E le tue opere vengono scelte da vari e importanti studi di architettura per arredare interni, appartamenti, hotel di lusso e locali trendy. Spazio per te anche dal mondo dell’arte che conta, con le tue foto sotto le rielaborazioni musicali in chiave minimal-elettronica dei poemi fonetici di Mimmo Rotella, e sotto alcuni brani del Paradiso dantesco interpretati da Carmelo Bene, e quelli dell’Inferno da Arnoldo Foà.

Ezio Greggio, Massimo Boldi,
Christian De Sica e Max Martino
a “Drive in” (1984)
Nello studio milanese di Mimmo Rotella

Navigo nello spazio creato per me, per la mia mente, la mia creatività e fantasia. Lavorando su una vecchia foto, cerco di renderla ‘eterna’, senza presunzione, dandole vita tramite movimento, sinuosità e mobilità di forme, contorni, mescolanza di colori… E’ come un onda che passa su quella realtà per un momento, la ‘rinfresca’ e la fa rivivere diversa ma sempre uguale a se stessa. Cerco di comunicare la duplicità della realtà, la sua ambivalenza, la sua caducità anche, o per lo meno la sua probabilità e la sua ‘diagonalità’. Mi identifico nelle mie foto, in dialogo con la mia identità e il mio ‘movimento’. In ogni caso, e ogni volta, cerco di esprimere me stesso, ciò che vedo, e ciò che intendo in cose che ‘rimangono’, perché dal loro ricordo e dalla presa di coscienza traggo le mosse (nel vero senso della parola) per decifrarmi, combattermi, cambiarmi, migliorarmi… Nulla si può fermare, e questo è un dato indiscutibile. Il tempo, quindi la realtà, sono inafferrabili. Come inarrestabile è lo svolgimento della vita umana”.

Model portraits

“La fotografia è un’arte; anzi è più che un’arte, è il fenomeno solare in cui l’artista collabora con il sole”, scriveva Alphonse de Lamartine. E se poi la fotografia si concentra, si specializza, va a ritrarre direttamente, portandosi dietro il dubbio di Picasso su chi alla fine veda la figura più correttamente: il fotografo o lo specchio, succede allora che venga fuori una realtà così intima, rivelatrice e pregnante di senso, che sovente la nuova foto diventa più vera del vero, più reale della realtà. Così la fotografia di Max Martino, foto di architettura, sociale, di moda, ritrattistica, pop, aggiunge spessore, emozione, slancio e significato ulteriore a sé stessa. E quanto “ritratto” dal suo obiettivo, acquisisce nuova autorevolezza e fondatezza, oltre la propria stessa ontologia.

Fotografia. Foto-grafia. Significa “scrivere con la luce”. E come ci spiegava prima Martino, vuol dire conferire alle immagini energia, chiarore, che è come una specie di immortalità. E così dargli preminenza rispetto alla vita reale. Una fotografia riuscita, dunque, “scava”, immortala, rivela, disvela, documenta. Ma nello stesso tempo, suggerisce, rende eterno l’attimo, il creato. E vi aggiunge una patina, un simulacro.

Fotocollage

Come insegna Roland Barthes: “il senso dato di una foto nasconde il senso costruito”. La denotazione di una fotografia, ciò che di essa vediamo, sovente può coprire la sua connotazione, quello che non cogliamo, ovvero il suo significato culturale. Il mero guardare, deve perciò evolversi in un ben più articolato osservare che analizza le componenti strutturali. Quello che vale per una parola, vale anche per una fotografia. Non è detto che questo significato ci sia sempre. Ma se c’è, e quanto c’è, è un’altra cosa.

In Max Martino non solo, dunque, e allora, meta-fotografia o iper-fotografia. Ma forse, anche, concreto viatico di un codice linguistico universale che rinvia oltre sé. Tensione permanente che rompe l’assolutezza monolitica di foto nate per esistere non solo in loro stesse, ma in chi le fruisce e ci guarda dentro come in uno specchio rifesso della propria anima e dell’anima mundi. Allora grazie. E bravo Max! Stranito, sul principio, a parlare di sé. Ma poi, invece, sincero e chiaro a spiegarsi. E a spiegarci.

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