MARIO GRECO, LA FOTOGRAFIA CHE IN-CANTA

L’artista di Castagna (Cz), oltre che abile ritrattista, fotoreporter e documentarista sociale, è un formidabile cantore degli elementi naturali del vivere calabrese trasposti e catturati nell’alchimia dei fotogrammi. Arguto osservatore del mondo rurale e di tutto ciò che lo rappresenta, nei suoi scatti fa balzare agli occhi la straordinaria simbiosi tra terra e uomo e la grande bellezza della natura.

di Paolo Arcuri

Mario Greco con Roberto Messina
a Carlopoli (Cz)

Mario Greco nasce a Castagna (Carlopoli, Cz) nel 1954. Nei primi anni ’70 studia a Catanzaro scoprendo la “magia” e l’attrazione per la fotografia. Si trasferisce a Torino dove frequenta vari corsi e realizza i primi servizi immortalando da par suo i matrimoni della folta comunità calabrese lì emigrata. Comincia poi a fotografare la musica, i cantanti famosi, i grandi concerti in giro per l’Europa: Bob Dylan, Peter Gabriel, Santana, i Pink Floid, i Genesis, pubblicando per riviste di settore come “Ciao 2001” che ne fanno anche preziosi e ricercatissimi poster. Dopo una decina d’anni di Piemonte torna a Carlopoli e apre il suo studio fotografico avviando un’interminabile sequela di reportages e di attività di documentazione della sua Calabria vista da diversi aspetti, in particolare attraverso i suoi “personaggi”: uomini e donne al lavoro nelle campagne, tra i boschi, sugli altopiani, a mare. Le sue foto sono state giustamente definite da Demetrio Crucitti “alvariane”, perché – come scrive Demetrio Guzzardi -: “catturano il tempo-spazio componendo empaticamente luoghi, visi, paesaggi, persone e lavoro. Elementi fisici e umani, rappresentativi di una storia naturale e sociale che è la nostra, di questi nostri paesi (…) e delle proprie radici”. E’ ancora Guzzardi sul dichiarato “amore” di Greco per il bianco e nero: Il bianco e nero è scelto da lui per comunicare con immediatezza e senza fronzoli quello che fotografa, ma è anche un modo per ricollegarsi a un passato, che porta ricordi mai sopiti. Imbattendosi nella fotografia sociale di Sebastião Salgado, ha iniziato a guardare con occhi diversi il lavoro tradizionale e manuale”. Così dice infatti il celebre fotografo umanista brasiliano:“Nelle fotografie a colori c’è già tutto. Una foto in bianco e nero, invece, è come un’illustrazione parziale della realtà. Chi la guarda, deve ricostruirla attraverso la propria memoria che è sempre a colori, assimilandola a poco a poco. C’è quindi un’interazione molto forte tra l’immagine e chi la guarda. La foto in bianco e nero può essere interiorizzata molto di più di una a colori, che è un prodotto praticamente finito”. Nelle foto di Greco il silenzio sembra parlare, come si ascoltasse la voce, l’armonia, la melodia, il rimo della natura. “Anche quando ritrae paesaggi marini – scrive Salvatore Piccoli – riesce a cogliere soffuse, delicate movenze cromatiche che danno l’identica emozione, come se la varietà dei paesaggi calabresi, così apparentemente diversificati tra mare e colline, tra verde e azzurro, in realtà concorresse a modellare sentimenti e luoghi in un’unica sinfonia, in un’unica luce. All’improvviso, dentro tali scenari prorompono con forza emotiva, volti duri, uomini che paiono rimasti incollati ad un tempo immutabile, in bianco e nero, in tutte le sfumature di grigio. Con l’inizio del 2020, Mario Greco ufficialmente è andato in pensione (ma si fa per dire), ha chiuso la sua attività commerciale e, rimettendo in ordine il suo archivio-museo, oltre le centinaia di macchine e di attrezzi vari, ha ritrovato un tesoro, un mare di diapositive che hanno ormai 40 anni… E’ poi fresco di stampa, il suo davvero magnifico libro “Calabria storie di uomini e di terre” (Editoriale Progetto 2000) un prezioso compendio della sua ricerca che ha prodotto questi meravigliosi documenti visuali con la loro anima viva. Roberto Messina

Mario Greco, Untitled

Henri Cartier-Bresson diceva che: “Fotografare è porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore. È un modo di vivere”. Ho conosciuto il fotografo Mario Greco quando ancora adolescente e lo vedevo girare in paese con a tracolla la sua inseparabile Reflex meccanica. Nei primi anni ‘80, dopo il suo ritorno a Castagna da Torino, mise in piedi il primo laboratorio fotografico in cui sviluppava fotografie in bianco e nero. Situato nella vecchia casa dei nonni, mi ritrovavo spesso con lui nella stanza adibita a camera oscura, tra un vecchio armadio e varie masserizie tra cui un’icona di Cristo incorniciata di gesso, che spiccava dalla luce rossa soffusa al centro di una parete. In questa stanza, con i fili di spago stesi per appendere le fotografie ad asciugare, Mario aveva realizzato un modesto laboratorio.

Ma non facciamoci ingannare della descrizione di quell’ambiente, il suo era uno scrupoloso e attento lavoro dietro i tanti strumenti: mille e uno, mille e due, mille e tre… erano le sue parole scandite a voce bassa per dare il tempo giusto alla luce proiettata dalla macchina per l’esposizione del negativo che s’imprimeva sulla carta. Assistevo a quella magia stupefatto, mentre dai fogli bianchi immersi nel liquido di una bacinella, vedevo comparire le immagini che vi si fissavano in bianco e nero. Un giorno gli chiesi se fosse stato meglio stampare quelle foto a colori, e lui con aria professionale mi rispose: “Ci vuole occhio attento nel bianco e nero, Paolo, poiché esso rivela in sé il suo colore nella scala dei grigi”.

Mucche podoliche al pascolo in Sila lungo le rive
del Lago Passante

Stentavo a capire cosa volesse dire, ma poi più in là nel tempo, arrivai a comprendere il suo pensiero: l’artista delle immagini è colui che può farci vedere oltre il silenzio di una foto persino il movimento, anche quando i colori sono l’intensità onirica del bianco e del nero. La sua fotografia può così narrarci innumerevoli situazioni senza bisogno di pronunciare nemmeno una parola. E in altro modo se ne potrebbe discutere per ore, quando poi il tutto è rinchiuso in un’immagine, in un momento catturato in una singola frazione di secondo.

Certo, Mario ci ha messo tanta passione, tanto lavoro e pazienza per spaziare in lungo e in largo sulla nostra terra a raccoglierne l’essenza in immagini fotografiche. La ricerca sempre improntata ad evidenziare le caratteristiche peculiari dell’uomo, del suo adattarsi all’ambiente che lo circonda, attraverso il suo arcaico confrontarsi con le stagioni. E della terra di Calabria, dura e aspra, i suoi scatti ci restituiscono l’idea originaria del suo popolo e l’appartenenza a una cultura millenaria.

L’Etna visto dal Monte Tiriolo

Un mondo dove la bellezza dei luoghi e la durezza della fatica umana restano come staccate dal progresso, mostrandoci scenari che sanno di purezza, sorgenti di un mondo quasi scomparso. Una Calabria che malgrado tutto continua ad affascinare per le sue genti, nei gesti antichi, nelle fattezze del loro vissuto, nell’etica del lavoro impressa nei visi, sempre con il sorriso della vita stretto sulle labbra.

Direi che l’arte di Mario esprime in assoluto questo connubio tra uomo, mestiere e ambiente circostante. Penso che in questo sia la grandezza del professionista: mettere insieme gli elementi naturali del nostro vivere nell’alchimia di un fotogramma.

Ma soprattutto definirei Mario Greco un testimone attento del nostro tempo, un arguto osservatore del mondo rurale e di tutto ciò che lo rappresenta. Non ho dubbi su questo, vista la straordinaria simbiosi tra terra e uomo e la bellezza della natura che salta agli occhi nei suoi scatti.

Carbonai a Serra San Bruno
Pastore sull’Aspromonte

La fotografia è stata e continua ad essere per lui passione infinita, conquista di un linguaggio, occasione di incontro…. E di incontri Mario ne ha fatto tanti durante la sua carriera. Credo siano pochi i fondi fotografici così vasti che possono rendere pienamente l’idea di un prospetto antropologico sociale che attraverso la fotografia evidenzia molteplici realtà locali.

Per questo ritengo che Mario Greco sia un ammirevole testimone del nostro tempo, il cui obiettivo ci ha fatto conoscere meglio la Calabria delle tradizioni culturali, dei costumi, di quegli ambienti rurali che hanno legato l’uomo con le sue fatiche a questa terra per secoli. Mi riferisco a quel mondo ormai scomparso, o per lo meno che stenta a scomparire, di quel legame che pareva imprescindibile nei tempi passati tra uomo e terra, e oggi guardando le foto di Mario, ci rendiamo conto che lo stiamo perdendo. Assistiamo infatti impassibili e disarmati allo spopolamento dei nostri paesi specialmente nell’entroterra, fin quando sarà inevitabile l’epilogo di tradizioni e conoscenze che ci sono state tramandate.

“Ritorno di rondini”, la foto con la quale Mario Greco
ha vinto il Premio Scatto d’autore per Tropea 2020 (Vv)

L’uomo ha bisogno di guardarsi indietro per ricredersi di ciò che è stato: conservare la memoria del nostro passato è la cosa più importante per affrontare meglio il futuro, e in questo Mario Greco ha il merito di aver conservato parte di questa memoria nelle sue pellicole; di aver saputo spaziare nei vari campi della fotografia, da quella cosiddetta sociale e documentaristica, a quella paesaggistica, e, per necessità professionali, a quella ritrattistica. 

Ciò che ha portato Mario ad essere quello che oggi meritatamente è diventato, è stata solamente la sua bravura. Mario Greco è un grande fotografo, un artista che sa emozionare e stupire. La sua arte non lascia spazio all’artificio, agli involucri esteriori dell’essere, ma traspare pura nella sua semplicità, contrapponendosi ai surrogati cinici e volgari della nostra epoca.

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