L’arte dell’intreccio, antica tradizione della Sila Greca

Cesti, panieri, graticci, còfini e fiscèlle, oltre a cappelli e suppellettili vari, si producono qui da sempre e con grande abilità, creatività e qualità, attorcigliando e intessendo paglia e rami ammorbiditi di salice, castagno, palma, giunco e vario altro

di Franco Emilio Carlino

Argomentando sulla tecnica dell’intreccio, non si ha difficoltà ad affermare che si tratta di un’arte lontana, la cui origine, grazie al rinvenimento di alcuni arcaici manufatti artigianali, pare risalire al periodo dell’Età della Pietra. Questa nobile pratica resta presente almeno fino agli anni ’70 in quasi tutti i borghi del territorio della Sila Greca, dove si trovano a lavorarci su entusiasti artigiani cestai, qui, come credo in buona parte dei paesi calabresi.

Funzionali ma anche artistici, i contenitori fatti con l’intreccio
possono diventare oggetti utili ma anche preziosi e belli da vedere

Il territorio della Sila Greca, grazie alle sue importanti risorse naturali da sfruttare (paglia, salice, castagno, olivo, giunco, grano, palma) si è trovato sin dalle origini con i suoi artigiani impegnati a lavorare diversi tipi di materiale, raggiungendo la massima concentrazione sul finire del secolo scorso. Fattori sociali ed economici, ma soprattutto il fenomeno migratorio degli anni ‘50 ne hanno decretato il declino, e oggi, gli artefici rimasti a svolgere questa bella attività si contano sulla punta delle dita. Pochi, infatti, sono gli esperti artigiani ancora in grado di eseguire i lavori di rivestimento delle damigiane, o di impagliare i fiaschi, le sedie, o ancora di realizzare cesti, panieri o graticci (stuoie) per seccare la frutta. Peccato, considerato che realizzare recipienti, da sempre, ha rappresentato un’esigenza imprescindibile per poter ottemperare alla raccolta e nello stesso tempo poter conservare o seccare quanto la natura offre per la sopravvivenza. La lavorazione della paglia, operazione peraltro comune e molto conosciuta, è comunque non solo funzionale, ma anche decorativa, per realizzare vari accessori, a cominciare dai cappelli fatti a mano, ben presenti nella tradizione locale e contadina.

La tecnica dell’intreccio presuppone la trasformazione di varie piante e arbusti, molto flessibili, i cui rami spogliati dalla corteccia sono adoperati per la realizzazione di manufatti che fanno ricorso a veri e propri “segreti” di lavorazione tramandatisi nel tempo. Si citano, al riguardo, i rami del salice, le canne, o i polloni di castagno, di nocciolo, di ulivo, il lentisco, il mirto, la rafia, l’asfodelo utilizzato anche per avvolgere le ricotte, la ginestra. I polloni, rami originati per lo più sul tronco in prossimità dei vecchi tagli o alla base del fusto dell’albero, opportunamente fatti a strisce, sono tra quelli che meglio si prestano alla lavorazione per la loro maggiore flessibilità, e al tempo stesso robustezza e resistenza. La lavorazione artigianale in questo settore è anche memoria collettiva, perché nei tempi passati questo tipo di artigianato agro-pastorale ha coinvolto intere popolazioni. Ancora oggi, non esiste famiglia del territorio in cui non siano presenti manufatti di questo tipo, acquistati o realizzati in proprio.

Recipienti, ma anche cappelli, borsette, astucci

Tra le materie prime più usate, c’è il salice, da cui si ricava il vimine impiegato per la realizzazione di cesti, canestri di diverse forme, colori e disegni, a seconda della loro finalità, vari elementi di arredo e i famosi panàri adoperati per la raccolta di frutta e verdura. La canna, invece, tagliata a strisce si presta per la realizzazione di cesti e panieri e per la costruzione di stuoie (canìzzu) utilizzate per l’essiccamento di prodotti dell’alimentazione (fichi, pomodori, melanzane) o anche per conservare il pane.

Alcuni tipi di cesto in vimini, chiamati fìscine, molto più voluminosi e consistenti, anticamente erano impiegati per il trasporto con gli animali (asini e muli) di quanto si produceva nella campagna, ma soprattutto in occasione della vendemmia, per il trasporto dell’uva; mentre i còfini, contenitori alquanto voluminosi e più resistenti, ricavati dall’intreccio dei polloni di castagno, erano utilizzati per il trasporto di pietre e radica di erica arborea, molto adoperata a Mandatoriccio nella lavorazione artigianale delle pipe. Altra antica tradizione della Sila Greca, l’intreccio del giunco per la realizzazione delle fiscèlle: tipici recipienti adatti a dare forma alle ricotte e ai formaggi in genere, poiché consentono la colatura, a volte utilizzate per servire direttamente il prodotto a tavola nei buoni ristoranti.

L’arte dell’intreccio è impiegata anche per la creazione di panieri per i quali vengono utilizzati i polloni o i rami dell’ulivo o di altre piante che riescono a mantenere un alto tenore di elasticità. Tra queste la rafia, ricavata dai nastri dell’epidermide superiore delle foglie di alcune palme, per la produzione di cestini e piccole borse, ma anche come elemento flessibile per legature nelle diverse pratiche in agricoltura. E poi la vitalba, pianta infestante dai rami molto flessibili, utilizzata per lavori di intreccio oltre che come succedaneo del tabacco.

La varietà dei manufatti artigianali obbedisce storicamente ad alcuni fattori non trascurabili. Il primo, quello del contesto territoriale, ossia il luogo dove vegetano e si riproducono le piante fornitrici del materiale. Il secondo, riguarda le proprietà del materiale impiegato. Oggi, molta parte di questa antica produzione di manufatti può essere ammirata solo in alcuni musei etnografici e della civiltà contadina.

I materiali impiegati per l’intreccio devono essere in principio morbidi e duttili,
ma sanno poi diventare robusti e resistenti

Quella del cestaio è una delle attività artigianali tipiche della zona presilana e sebbene sia un’arte molto antica e diffusa, le sue realizzazioni sono ancora molto ricercate. Si tratta di un mestiere una volta presente in ogni angolo del territorio, bene in vista in particolar modo nell’occorrenza di mercati settimanali, fiere e feste patronali, con grande varietà di prodotti per forma e dimensione, realizzati da mani esperte in grado di ottenere con l’ausilio di semplici arnesi (coltello, falcetto, punteruolo) vere opere d’arte.

Attualmente, sono rimasti in pochi a portare avanti il mestiere del cestaio e gli esigui prodotti in circolazione si rivelano, oltre che più costosi, anche difficilmente reperibili, quasi oggetti da collezione per il valore storico e artistico che tramandano. Una volta, oltre agli artigiani locali, non mancavano quelli ambulanti e occasionali, che si spostavano di paese in paese per impagliare le sedie e realizzare ventagli per il fuoco.

Il comune di Campana è uno dei centri della Sila Greca che da sempre simboleggia la vitalità di questo tipo di artigianato, con donne esperte nelle varie operazioni che portano ad annodare, attorcigliare, incrociare e intessere steli per creare meravigliosi prodotti e produrre opere di qualità apprezzate per fascino, forme e bellezza, oltre che per la funzionalità.

Panorama di Campana (Cs)

Campana, l’antica Kalasarna, fino agli anni ’70 ha conservato inalterate le sue consuetudini agricole e pastorali. Un borgo dalla storia millenaria, nel quale sono presenti tracce di civiltà rupestri, dalle origini remote, ritrovamenti archeologici risalenti al periodo antecedente a quello degli Enotri e dei Brettii, e doverimangono tracce dell’arte millenaria dell’intreccio della paglia. Anticamente, qui si lavoravano e adoperavano cesti artigianali di particolare bellezza, venduti in occasione di una delle più importanti e antiche fiere del Meridione: la Fiera della Ronza. Un evento che ancora, dopo oltre cinque secoli e mezzo, si rinnova tra il 6 e il 7 giugno di ogni anno, confermando la sua importanza nei settori dell’agroalimentare, della zootecnia e dell’artigianato.

I cesti venivano un tempo prodotti manipolando gli steli delle spighe di grano. Dopo la mietitura, le spighe rimaste sul terreno venivano raccolte e conservate per essere poi lavorate nel corso dell’inverno. Era in tale circostanza che l’arte manuale dell’intreccio, intorno al camino, aveva la sua massima espressione. Diverse le operazioni indispensabili e le accortezze da tenere prima di poter intrecciare gli steli puliti dalle foglie e privati dei nodini in precedenza recisi. Gli steli venivano coperti di acqua, con la quale venivano addolciti e resi più morbidi alla manipolazione. Le artigiane del luogo intrecciavano gli steli con cura e scrupolosità, serviva esperienza, abilità manuale e creatività. Il manufatto veniva realizzato preparando prima un ordito a spirale, sul quale venivano arrotolati e annodati gli steli di grano. Una manualità sorprendente (oggi, purtroppo, pressoché dimenticata) oltre a garantire il miglior impiego, ne assicurava anche la lunga resistenza negli anni.

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