La “pennulara”, una straordinariA varieta’ di olivo tra grandi testimonianze del passato

In territorio di Caccuri (Kr), nell’agriturismo e complesso architettonico “Grancia del Vurdoj”, si coltiva la pregiata cultivar che regala un olio unico per gusto e qualità

di Thomas Vatrano

L’antico complesso architettonico del “Vurdoj” in agro di Caccuri (Kr)

Il germoplasma, ovvero il materiale ereditario genetico olivicolo, in Calabria ha origini antiche, e da tempo regala ai suoi abitanti oltre venti varietà coltivate, anche se alcune di queste solamente sotto forma di vecchi impianti, dunque, poco, se non per nulla, valorizzate. Un peccato, certamente.  Nell’areale dell’Alto crotonese, ne spicca su tutte una di notevole interesse: la cultivar cosiddetta “pennulara”, il cui pregiato olio regala ai sensi un fruttato intenso di carciofo ed erba sfalciata; al gusto, la nota di carciofo si trasforma rapida nel sapore nobile del cuore di carciofo crudo, e dà una dolcezza che resta in bocca preceduta da un’esplosione di amaro e piccante persistente.

Questa nobile varietà di oliva, risale con molta probabilità ai tempi dell’attività florense legata all’abate-filosofo “di spirito profetico dotato” Gioacchino da Fiore, intorno al 1200, dunque, con la sua coltivazione spinta fino ad una quota altimetrica di circa 700 s.l.m. tra i comuni di Caccuri, Cerenzia, San Giovanni in Fiore e Castelsilano. Il gusto e il flavour di quest’olio, devono molto alle caratteristiche pedoclimatiche dei luoghi in cui si produce, è chiaro, ma altrettanto alla sapiente maestria dei frantoiani, con il buon impiego della tecnologia di estrazione che influisce e determina le caratteristiche organolettiche del buon olio d’oliva.

Da queste parti, e più precisamente in agro di Caccuri, c’è un posto in cui il tempo sembra essersi fermato, dove il silenzio aiuta la pace interiore, il sole accarezza le fronde degli alberi, la brezza li piega dolcemente. Un luogo magico, in cui ogni anno si ripete puntuale il ciclo e il rito di coltivazione e produzione dell’olio d’oliva da piante ultrasecolari, immerse in un territorio speciale e ospitale ai piedi del massiccio silano.

L’olivo “pennulara”,
preziosa cultivar da cui nasce un grande olio

È la“Grancia del Vurdoj”, un’azienda a conduzione familiare (azienda agricola biologica di circa 50 ettari, con annesso agriturismo) che porta avanti la coltivazione dell’ulivo su antichi impianti di pennulara, immersi in un suggestivo territorio sullo sfondo del mar Ionio. Qui gli ulivi sono “sacri”, vengono tirati su con grande amore e estrema cura, come si addice, appunto, a qualcosa di divino, di santo e celestiale, per poterne frangere ogni volta i preziosi frutti e assicurarne l’alta qualità del prodotto finale: l’olio verdissimo, profumato, saporoso e benefico.

Al “Vurdoj” si coniugano principalmente tre parole: territorio, qualità, cortesia. Del territorio, abbiamo detto. Dell’ospitalità, ecco prontamente sottoscritto. Della cucina, basti aggiungere che è di livello, e pure originale: nell’antipasto, per parlare solo di questo, spicca un prodotto comune come le braciole di carne, ma con un assemblamento fuori dall’ordinario, che è significativo ed emblematico, ossia l’impasto avvolto su uno spiedo fatto con il fusto del finocchio selvatico. L’arte culinaria, in piena osmosi col territorio. Ecco la sintesi della caratteristica tavola locale.

Il palinsesto architettonico del monastero del Vurdoj è singolare e spettacolare. È caratterizzato dalla Chiesa intitolata a San Giacomo, edificata nel 1196, la cui facciata è impreziosita da un bel portale ad arco acuto con finestre monofore dello stesso stile e da un palazzotto signorile. Fondato dall’Abate Gioacchino tra il 1196 e il 1197 come Grancia del monastero Florense, ha a fianco un oratorio e varie case coloniche per la coltivazione delle terre ricevute in dono dall’Imperatore Enrico VI. Il complesso è costituito da una serie di edifici contingui, che nel tempo dovettero soddisfare varie esigenze legate alla gestione del fondo. La parte principale è costituita dal palazzo padronale che mostra una complessità notevole per volume e varietà di ambienti. Si sviluppa su tre livelli: due piani interrati, piano terra, primo piano e mansarda. Negli interrati, stavano magazzini, cantina e pollaio; al piano terra i locali di servizio e di accoglienza della servitù, con cucina e dispensa; al primo piano gli ambienti padronali e poi la mansarda adibita a cucina a servizio del piano nobile sottostante.

L’abate Gioacchino da Fiore
in un’illustrazione d’epoca

È ipotizzabile che la Grancia del Vurdoj (“Grance” erano le antiche fattorie o gli insediamenti rurali di conventi, ordini religiosi e ordini monastici lungo le vie di pellegrinaggio utilizzate come ricoveri, ostelli e luoghi di sosta per i viandanti in pellegrinaggio verso le mete religiose. La Calabria era un’importante crocevia per il traffico dei pellegrini) sia stata luogo di ristoro nel lungo pellegrinare dei viandanti devoti a San Giacomo. Questa tesi è avvalorata dal fatto che al suo interno sorge una piccola chiesa dedicata a San Giacomo. Lungo questo sacro tragitto i pellegrini potrebbero aver trovato il luogo di ristoro in stretto contatto con l’Abbazia Florense, e come grancia del monastero della stessa.

Dentro e intorno al Vurdoj gli ulivi sono una componente fondamentale della “scena”. Hanno radici profonde e come attaccate alla terra, e con tronchi e rami nodosi e possenti, come un corpo e delle braccia pronti a proteggerla, difenderla, abbracciarla e sostenerla. “Pure colline chiudevano d’intorno marina e case; ulivi le vestivano qua e là disseminati come greggi, o tenui come il fumo di un casale che veleggi la faccia candente del cielo”, per dirla con le parole del grande Montale di “Ossi di Seppia”.

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