IN “DIRETTA” DA RADIORAI

Intervista a Lorenzo Opice, originario di Pianopoli (Cz), tra le voci più amate e apprezzate del GR1, l’ammiraglia del panorama radiofonico italiano

di Roberto Messina

La Calabria che fa… notizia. O meglio, la Calabria della notizia. Quella dei giornalisti, radiocronisti, volti della tv, inviati, corrispondenti, opinionisti, scrittori-saggisti, editori. Una pletora, un vero esercito, che negli anni è cresciuto ed è diventato forte, importante, determinante, occupando ruoli chiave del sistema dell’informazione italiano e internazionale. Un mondo che ci siamo messi in testa di raccontare, poco alla volta, uno alla volta, con calma e gesso, ma senza cancellino… cercando cioè di scavare, di andare in profondità.

La nostra carrellata di incontri con i “big” dell’informazione a matrice calabra, il viaggio tra le tante e buone “penne al peperoncino”, comincia dal mondo della radio. E che radio! La più importante e la più seguita del Paese: il Gr1 di Radiorai, la testata ”ammiraglia”.

A Roma, Saxa Rubra, cittadella Rai, giorni pre-pandemia, giungiamo coi pendolari del trenino partito dal Flaminio per incontrare una “vecchia” conoscenza: Lorenzo Opice, tra le più belle e amate voci del panorama giornalistico radiofonico italiano, con oramai una lunga esperienza ai microfoni e nella “confezione” di programmi cult di successo e di spessore, come “La radio di Notte” e “Baobab”, vere punte di diamante del palinsento di mamma RadioRai.

Lorenzo cominciamo dal principio. Quando e dove è sbocciato il tuo amore per il giornalismo? Si dà il caso che io sappia bene dove si è materializzato per prima… C’ero anch’io a VL7, l’emittente privata di Lamezia Terme.

“Come mi piace ribadire ogni volta che ne parlo, non mi considero un giornalista puro. Uno di quelli che fanno inchieste e verso i quali va la mia totale stima. Io volevo fare tutt’altro, l’attore. E l’ho anche fatto. Ho studiato in una scuola internazionale a Firenze. I miei maestri sono stati Chabrol, Mikalkov, Zeffirelli, i Fratelli Taviani, Monicelli…  Poi, con la vita e le circostanze che decidono per te, ho avuto la fortuna di essere assunto appena finito il servizio di leva: avevo 21 anni, apriva una piccola televisione privata, VL7, a Lamezia Terme, e fui chiamato come voce dei promo aziendali. Editore lungimirante per l’epoca, Francesco Grandinetti, cui va la mia totale stima. A scuola di teatro avevo fatto doppiaggio, dizione, recitazione, e quello mi servì a crescere e ad aver fiducia. In seguito, quella Tv divenne grande, divenne nazionale, con il circuito Cinquestelle consociato Rai, un’altra bella intuizione dell’ing. Grandinetti. Fu in quell’occasione che mi fu proposto di fare il praticantato.

Devo dire che se all’inizio ho avuto perplessità, col tempo mi sono innamorato di questo lavoro. Da sempre attratto dalla comunicazione, considero il giornalismo una freccia in più nell’arco. E mi spiego. Nel mio lavoro in radio, ho consapevolezza che ogni qual volta si accende un microfono e si illumina la scritta “on Air”, dall’altra parte milioni di orecchie ascoltano e milioni di sensibilità recepiscono un messaggio. L’esposizione di un qualunque fatto, viene così rapportata a sensibilità individuali. L’aver fatto l’attore, mi ha aiutato a capire questa dimensione molto particolare”.

Quanto di finzione e quanto no?

“Nessuna finzione. La notizia viene sempre riportata il più correttamente possibile nella sua specificità, ma è per così dire nelle sfumature di voce, che la rendi fruibile, nonostante tu sia in onda su un mezzo che non ha immagine. La radio, che tutto sommato è un vecchio strumento di comunicazione, è al tempo stesso tra quelli più moderni in assoluto: perché, oltre ad essersi fusa perfettamente col web, è un media che ha sempre bisogno di un’anima e di un’anima ‘moderna’ figlia del proprio tempo, contemporanea, sincronica, attuale. Se non c’è niente ‘dentro’, non passa niente ‘fuori’. Puoi, cioè, essere tecnicamente perfetto, ma ogni notizia, ogni storia scorrono attraverso un essere umano e vengono recepite da altri esseri umani: la notizia ha necessità di essere introiettata, vissuta, fatta propria, in un certo qual modo condivisa, più che semplicemente esposta. L’ascoltatore, oltre ad orecchi, è come avesse occhi che vedono nell’etere… Riconosce se chi gli sta raccontando la storia, lo sta guardando dritto in faccia, o se si è girato da un’altra parte. E’ incredibile, magico! Ma è proprio così. Gli anni, la pratica, l’esperienza te lo insegnano, te lo fanno capire senza dubbi”.

Ripercorriamo le tappe della tua carriera. Dopo VL7?

“L’arrivo in Rai, azienda che è parte del mio Dna sin da bambino. Chiarisco. Sono della generazione della Tv dei ragazzi, quando i programmi iniziavano alle cinque del pomeriggio. Io accendevo mezz’ora prima per guardare il monoscopio con la scritta Rai, che mi rapiva. Avevo sei anni credo, ed è stato allora che ho detto…’voglio lavorare in questa azienda’. Non avevo la più pallida idea dove, come e cosa fosse la Rai, e nonostante le sue trasmissioni ancora in bianco e nero, chissà perché, io le ricordo a colori… E’ la fantasia dei bambini, il bene più prezioso di noi tutti, da alimentare anche da adulti.

Sono nato in Calabria, come mi diverte dire ‘ai confini dell’impero’. Non essere cresciuto in una grande città, mi ha probabilmente spinto a puntare con determinazione su un obiettivo, e cercare di raggiungerlo. In questo, mi riconosco nella testardaggine dei calabresi. Non ho avuto genitori importanti, ma grandi genitori, che mi hanno sempre insegnato che le cose a cui aspiri le devi guadagnare. E così!

Quando avevo sedici anni, a Pianopoli, nel paese in cui abitavo, in provincia di Catanzaro, aprì una piccolissima radio che divenne per me la prima meta e il posto in cui vincere la timidezza. Non si direbbe, ma sono stato un timido. E’ stata la mia vera palestra. Il contratto con l’azienda di Stato è arrivato nel 1996 quando avevo ventinove anni. Ricordo, indelebile, l’arrivo a Saxa Rubra, e l’emozione di trovarmi in un luogo nella mia testa da tanto tempo. Mi sono sentito comunque subito a casa.

In radio, a Radio1, mi affidarono una trasmissione che andava in onda dalle 24.30 alle sei del mattino: ‘La notte dei misteri’, un lungo rotocalco in diretta, anche con le telefonate degli ascoltatori. Un’esperienza fantastica, dove ho capito che di notte esiste un’altra Italia. Gente sola, persone che hanno bisogno di amici, uomini e donne che nel silenzio della notte riescono a tirare fuori il meglio di se stessi. Ci sono anche i matti, certo, ma un po’ di follia aiuta…”.

Se permetti, Lorenzo, continuo io… mi sono preparato. Poi è venuta “Baobab”, contenitore giornalistico del pomeriggio, e a seguire “Ben Fatto” con Annalisa Manduca alle 8.30 del mattino, con gli ascoltatori invitati a commentare i fatti da diverse sfumature. Poi “Start, la notizia non può attendere” fino al 2014, grosso contenitore di musica e notizie con grandi ospiti: Gianni Nannini, Ligabue, Franco Battiato, Rita Pavone, Roberto Vecchioni, Giorgia. Giusto?

“Sì, e a ‘Start’ una lunga teoria di grossi nomi dello spettacolo, grazie anche al lavoro di un altro straordinario collega calabrese, Gianmaurizio Foderaro. Ora conduco due dei principali giornali di Radio1 alle 19.00, il giornale della sera, ed alle 24.00 il giornale della mezzanotte, uno degli appuntamenti storici dell’informazione radiofonica della Rai”. 

La voce radiofonica: un dono naturale, una risorsa spontanea, o anche una “pratica” virtuosa?

“Il timbro, il colore, lo danno la natura o il buon Dio. Ma bisogna sempre tenere a mente che la voce è uno strumento, e come tutti gli strumenti musicali va allenata, esercitata, studiata. Torniamo a quello che dicevamo prima: la voce è la parte finale di una catena, il suono fisico ascoltato dalle orecchie. Le sfumature nascono invece dalla parte emotiva”.  

Quali sono oggi i “numeri” del Gr1: ascoltatori, share, dipendenti?

“Siamo la testata ammiraglia della radiofonia Rai, i numeri sono difficili da quantificare, perché la radio si ascolta ovunque, dalla più classica radiolina portatile a quella in auto, dal digitale della Tv al web e al telefonino. Poi esiste l’app ‘Rai Play radio’, dove puoi ascoltare quando vuoi tutto ciò che non hai sentito in diretta. Insomma, una sorta di palinsesto personalizzato”.

Una tua giornata-tipo al Gr1…

“In azienda dalle 16.30 alle 24.30, più o meno. Nella mia fascia oraria, abbiamo due riunioni per il Gr1 delle 19 e quello delle 24. E’ una macchina molto complessa, nell’arco della giornata diverse edizioni, quasi una ogni ora, che vengono aggiornate fino a pochi istanti prima dalla messa in onda. C’è il bisogno del coordinamento con i capi redattori delle redazioni tematiche, gli inviati, i corrispondenti esteri, i vicedirettori di turno e il vaglio del direttore”. 

La radio di notte… un mondo a sé. Raccontaci perché e in cosa.

Sono arrivato a Radio1 ed alle trasmissioni della notte quando avevo ventotto anni e sembrava cercassero proprio me. Volevano uno giovane, che fosse giornalista, che avesse esperienza di conduzione e capace di reggere una diretta di 6 ore, dalle 24 alle 6 del mattino. Arrivai a Saxa Rubra per incontrare il vicedirettore responsabile della trasmissione, Carlo Barrese, ancora un calabrese, di Bocchigliero, molto legato anche a  Rossano Calabro, che purtroppo è venuto a mancare da poco. Quando mi vide, mi disse testualmente: ‘Ma sei tu, ti ho visto tante volte in Tv, figurati se non sei in grado di condurre un programma alla radio! Sta per arrivare Gianni Morandi, te la senti di registrare una mezz’oretta con lui?’. Così, senza nemmeno parlare più di tanto, mi ritrovai in uno studio a registrare una finta diretta con Morandi ospite. Andò benissimo, in regia c’era anche Paolo Ruffini, il direttore di allora, che io non conoscevo nemmeno, e che mi fece firmare subito un contratto di quattro mesi con la trasmissione. E’ iniziata così”. 

Veniamo alla terra d’origine. Calabria e calabresi.

“Ho un rapporto molto contraddittorio con la Calabria. Sento fortemente di essere figlio di questa terra, ma mi rendo perfettamente conto che se non mi fossi staccato, non avrei avuto quello che cercavo. Ho bisogno di spazi aperti e la Calabria nel suo struggente attaccamento all’identità, è come ti rilegasse in ambiti circoscritti. Un po’ come il Mediterraneo in confronto all’Oceano. Ho bisogno di aria e di vastità, colpa mia, ma mi serve l’Oceano. Come diceva Corrado Alvaro…: ’la Calabria, forse, è incapace di guardare alle proprie possibilità”.

Esiste un’identità, una peculiarità calabrese?

“Riconosco di essere fortemente testardo, come tutti i calabresi. Riconosco che nel mio Dna esiste la fierezza della regione in cui ho le radici. Come tutti i calabresi, riesco a dare anche l’anima, ma non ammetto la falsità”. 

E dei calabro-romani, che dici? 

“Roma è la mia mamma adottiva, la città in cui mi sono sentito sempre a casa. Le mie radici, la mia famiglia, sono in Calabria, ma la mia testa è a Roma da sempre. Ci vivo da trent’anni e ogni giorno mi sembra di scoprire qualcosa di nuovo. Adoro la storia, e Roma ha segnato il solco della civiltà nel mondo. Il diritto romano, è ancora oggi alla base del ‘diritto’ delle organizzazioni occidentali. Probabilmente sono matto… ma quando sono giù di morale, e mi ritrovo tra i ruderi dei fori imperiali, trovo forza, mi ricarico. Guardare, toccare il segno delle bighe e dei carri rimasti scolpiti sul selciato delle strade dell’epoca… Forse questo, il legame tra Roma e la Calabria. Avere basi forti, nelle quali cercare l’energia per costruire qualcosa di nuovo”. 

Torniamo alle radici, Lamezia\Pianopoli, la tua infanzia, la tua gioventù, ricordi, rimpianti…

“Sì, non sono propriamente di Lamezia, sono nato a Pianopoli, a poca distanza. Ho avuto un’infanzia tranquilla, protetta, il più piccolo dopo tre sorelle molto più grandi di me, con nipoti che hanno la mia età.  Mi chiamo Lorenzo, perché sono nato il 10 agosto, il giorno dei desideri e probabilmente sono stato il desiderio dei miei genitori, arrivato quando non mi aspettava più nessuno. Mia mamma aveva trentotto anni, per l’epoca una donna di una certa età per fare ancora figli, e mio padre quarantadue, un abisso generazionale complicato da gestire. Forse questo mi ha dato la voglia di capire, e di non deludere. Mio padre non c’è più e mia mamma oggi ha novantadue anni. Una generazione che ha visto una guerra, cresciuta in un’Italia distrutta, in una regione complicata come la Calabria. Nei loro occhi, nel loro sguardo, però, ho sempre visto la fierezza e la forza del sud. Mi hanno insegnato che nulla è impossibile, e che tutto nella vita va guadagnato con dedizione e impegno, che bisogna guardarsi allo specchio e vedere la propria faccia senza ombre. La più grande lezione ricevuta. Non ho avuto genitori importanti, che materialmente mi potessero spianare la strada, ma grazie a Dio ho avuto genitori grandi, che mi hanno insegnato come la vita va vissuta e guadagnata”. 

Il mare di Calabria…

“Il mare per me è un elemento vitale. La libertà, gli spazi aperti, il luogo da dove arrivano le novità… Non saprei vivere in un posto lontano dal mare”.

Il tratto peculiare del tuo carattere?

“Sono orgoglioso e testardo… come tutti i calabri. Riconosco di essere permaloso, ma so chiedere scusa se sbaglio”.

Il principale pregio?

“Sono terribilmente onesto e non accetterei mai di scendere a compromessi per raggiungere una meta”.

Il tuo motto?

“Sono un uomo, semplicemente un uomo, con pregi e difetti come tutti”.

Lettura preferita?

“Amo molto ‘ll gabbiano Jonathan Livingston’ di Richard Bach”. 

I tuoi hobby?

“Adoro la fotografia, l’archeologia, l’arte e la storia. Sono orgoglioso di essere nato e vivere in un Paese che possiede i tre quarti dell’arte mondiale”.