
17 Apr IL MISTERO DELLA CROCE DI PAUCIURI
Nel libro di Giovanni Cristofalo un sorprendete viaggio storico e archeologico in territorio di Malvito, che riporta ai Templari con l’abate Ursus e altri monaci calabresi fondatori del Priorato di Sion.
di Carmelo Lentino
Attorno ai Templari sono fiorite nel corso dei secoli varie leggende: chi li voleva custodi della Sindone o del Santo Graal, la coppa nella quale Gesù bevve durante l’ultima cena; chi di una misteriosa pietra caduta dal cielo, come racconta Umberto Eco nel Pendolo di Foucault. Ma in realtà chi erano i Cavalieri Templari?Sicuramente uno degli ordini religiosi cavallereschi medievali più antichi d’Europa (il secondo è quello Gerosolimitano) che riuniva i “Poveri compagni d’armi di Cristo”.
Questo Ordine nacque intorno al 1118, all’epoca delle crociate, per difendere il cammino dei pellegrini dalle scorrerie dei predoni musulmani e preservare i luoghi sacri della cristianità a Gerusalemme. I suoi membri fecero voto di povertà ma, nel corso degli anni e grazie alle donazioni di principi e potenti, divennero invece ricchissimi, e questo attirò su di loro l’invidia del re di Francia Filippo il Bello nel 1307, che li accusò di eresia, sodomia, tradimento, avidità e idolatria. Centinaia di Templari furono fatti arrestare, torturare e condannare al rogo. L’Ordine fu sciolto dopo un drammatico processo, tra il 1312 e il 1314, per ordine di Papa Clemente V con la bolla Ad providam e inevitabilmente attorno a loro sono sorte una miriade di racconti fantastici.
Ma al di là di favole, leggende e fiction cinematografiche di successo, la storia reale e puntuale dei templari è quella di un ordine religioso che, sia pure con molte zone d’ombra da chiarire, si adoperò moltissimo, sino all’estremo sacrificio, per la preservazione della cultura cristiana e dei luoghi santi del Nuovo Testamento.
E di quella storia, quella seria ed autentica, parla Giovanni Cristofalo, professore di materie letterarie ed autore di altri testi, con un interessante parallelismo fra Templari e un oggetto sacro rinvenuto nella necropoli medievale di Pauciuri di Malvito, in un breve ma denso saggio dal titolo “Il mistero della croce di Pauciuri Sulle tracce dell’Abate Ursus, dell’Ordine di Sion e dei Templari in Calabria” (Editore Guy Boliane). Si tratta di un interessante studio corredato da fotografie, fra le quali alcune inedite, che riguardano appunto la preziosa Croce reliquario del XI° sec., tema conduttore della ricerca. Prodotta in Terrasanta nel periodo delle Crociate, la croce venne ritrovata nel 1989 a Pauciuri di Malvito, a migliaia di chilometri dal suo luogo di origine, all’interno di una tomba monumentale.
Il prezioso reperto rappresenta l’elemento clou di questo misterioso e aggrovigliato viaggio compiuto a ritroso nel tempo. Un viaggio in un passato remoto, tortuoso e poco conosciuto, dove vengono esposte in modo chiaro e particolareggiato alcune ipotesi sul ritrovamento dell’enkolpion e sui possibili legami storici che potrebbero legare questo reperto sacro (che custodiva nel proprio interno un pezzettino di legno della Vera Croce di Cristo) ai templari, alle Crociate e, soprattutto, alla figura di un carismatico e oscuro monaco medievale: l’Abate Ursus.

La croce che portava incisa la lettera “U” e sul recto una sorta di “Croce Patente”(simbolo adottato dai Monaci Cavalieri su concessione di Papa Onorio III) diventa quindi anche un trait d’union con le vicende normanne in Calabria e, in particolare, con un personaggio che visse in quel territorio e che ebbe un ruolo sicuramente importante e decisivo durante la prima Crociata: Boemondo di Altavilla, primogenito di Roberto, alias il Guiscardo (e della sua prima moglie la nobildonna longobarda Alberada di Buonalbergo) un audace condottiero che divenne dopo la conquista della Terrasanta Principe di Antiochia, uno degli Stati creati dai Crociati che includeva parte della Turchia e della Siria attuali, che guarda caso è proprio esattamente l’area geografica da cui proviene la croce di Pauciuri. Boemondo ebbe come precettore il Priore dell’Abazia della Matina, di San Marco Argentano, proprio quel monaco che in un documento del 31 marzo del 1065 si sottoscrive come “eius Ursus”. Per la frammentarietà delle fonti storiche, Ursus è un personaggio ancora oggi poco conosciuto; tuttavia una parte della tradizione storiografica, sulla falsariga di una bolla papale conservata nel Monastero di Orval in Belgio, lo indica come uno degli otto monaci calabresi che diedero vita al Priorato di Sion.
Il libro di Giovanni Cristofalo ha una esposizione narrativa molto fluida, a tratti avvincente, quasi fosse un romanzo, e si sviluppa attraverso indizi e congetture inedite raccolte direttamente dall’autore nei luoghi interessati allo studio; tracce abbondantemente supportate da fonti documentarie, archeologiche e toponomastiche, che lasciano poco spazio alla fantasia. Dalla lettura emergono tante storie che alla fine si intrecciano per diventare un’unica che riconduce al luogo dove l’Abate Ursus visse gran parte della sua vita tumultuosa, prima che iniziasse il suo viaggio che lo porterà a fondare il Monastero di Orval, per poi ritirarsi negli ultimi anni della sua vita in uno sperduto angolo della Calabria, dove stanco e vecchio, fondò molto probabilmente il Monastero di “Santa Maria Legno de Crucis”, Abazia edificata alle pendici dell’antica e fortificata cittadina dell’Esaro, dove ancora oggi sono visibili gli imponenti resti architettonici a breve distanza dall’impenetrabile cunicolo della “Timpa dell’Orso” che sovrasta i ruderi del Monastero nel cui interno negli anni ‘40 furono rinvenuti numerosi reperti di età medievale oltre ad un voluminoso masso bianco con inciso il graffito di una croce di Malta dipinta in rosso. Nel monastero malvitano, che custodiva forse il pezzo della reliquia più importante della Vera Croce di Cristo, Ursus trascorse gli ultimi anni della sua vita, per poi essere sepolto in gran segreto dai suoi confratelli in una località indicata con il nome di “Ursus Bauczuri” (l’attuale Pauciuri) come viene documentato nella Platea di Santa Maria della Consolazione di Altomonte del 1486.
Tradotto in quattro lingue, il volume pubblicato dall’editore canadese Guy Boulianne, con l’introduzione di Giuseppe Pisano e la prefazione di Alfonso Morelli, appassiona sicuramente ed apre uno squarcio di luce e di verità sulle vicissitudini, ancora tutte da approfondire, di colui il quale viene ritenuto uno dei principali promotori del potente Priorato di Sion che, tra l’altro, ha ispirato, tra realtà e fantasia, Don Brown, con il celebre romanzo best-seller “Il Codice da Vinci”.
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