10 Ott Il mio nome è Rino, Rino Barillari. e ‘a guera E’ Guera!
Il re dei paparazzi è originario di Limbadi (Vv), grande fotografo della “Dolce Vita”, giustamente detto il “king”, leggenda della “Dolce vita” e dello scatto fulmineo di costume e cronaca
di Roberto Messina
L’aspetto da duro ce l’ha. Indossa spesso degli occhiali che lo accentuano. I baffetti, poi, completano l’opera e, quando lo incontri, immagini che ti dica alla James Bond: “Il mio nome è Rino, Rino Barillari”.
Il personaggio non sfigurerebbe in un film anni ’70 con Franco Nero. Le sue armi? Una macchina fotografica Leica 35 millimetri a tracolla, che indossa a mo’ di mitraglietta, ed una Nikon tascabile allacciata e nascosta in vita, sempre pronta nel caso che la prima faccia cilecca o, più realisticamente, come spesso accade, gli venga strappata di dosso. E frantumata. D’altronde le stimmate del veterano di guerra ce le ha tutte: sfuggito a 5 sparatorie, accoltellato allo stadio, 11 costole rotte, 163 “visite” in ospedale. Ci si potrebbe domandare come fa a stare in piedi. Ma il motivo di questa tempra è presto spiegato.
Il soggetto nasce una settantina di anni fa a Limbadi, vicino Vibo Valentia. E’ un calabrese coriaceo e testardo, come vuole lo stereotipo diffuso. Una “pellaccia” che, già indurita dai raggi del sole mediterraneo e dalla salsedine del Tirreno, si è ancor più rinforzata durante la “dolce vita”, che per lui tanto dolce pare non essere stata… anche se la vita “da film” l’ha respirata sin da bambino, dato che la famiglia aveva un cinema ambulante.
Partito dalla sua terra a 14 anni, mai dimenticata, e anzi sempre da lui citata e “vantata”, con la calabresità considerata come un imprescindibile dato culturale e una risorsa e linfa caratteriale, comincia con qualche lavoretto a via del Tritone, ma la strada è già chiara quando, presto, si mette al seguito dei fotografi “più grandi” ed è quindi arruolato al quotidiano il Tempo, dove resta 25 anni, per poi approdare a il Messaggero. La sua prima “vittima” è Irma Capece Minutolo, sospettata di un flirt con Faruk, re d’Egitto. Fotografa i brigatisti rischiando la vita. Prende calci nel basso ventre da Ava Gardner. Va ad abitare a piazza Navona, dove il caso ha voluto che il suo appartamento affacciasse proprio sul caffè “Dolce vita”. Ma chi ha dato il nome a chi?
Rino è “politically incorrect”. Per lui “privacy” vuol dire “pròvaci”. E’ solo un’ulteriore soglia verso il gusto del proibito, che diventa così ancor più eccitante. A questo punto, ci tocca una difesa d’ufficio. Forse Rino non sa (ma se lo sa, probabilmente “no jene po’ frega’ de meno”) che per gli anglosassoni la privacy vale per i comuni cittadini, ma per i personaggi pubblici l’etica puritana non solo autorizza, ma anzi pretende che il privato venga rigirato come un calzino, e da qui il successo dei giornali “popolari” (che noi chiamiamo scandalistici).
Insomma, il più mediterraneo dei fotografi nostrani potrebbe addirittura passare per un normale fotoreporter londinese! D’altronde, ha scritto di lui il critico Achille Bonito Oliva: “in qualche modo Barillari svela una caratteristica sociale tipica della civiltà di massa che chiede ai personaggi famosi la responsabilità perenne della propria immagine, sempre sottoposta al focus della macchina fotografica che non conosce intervalli, soste o assoluzioni”.
Modestamente si fa chiamare “The King”. Il Re. Di cosa? Dei Paparazzi, naturalmente. E la cosa strana, che il termine Paparazzo (ne scriveremo con dovizia a breve) ha origini storiche calabresi pure lui. E così commenta il suo mestiere, prendendo spunto dalla morte di Lady Diana, per la quale qualcuno accusò i flash dei fotoreporter, che avrebbero stordito e abbagliato l’autista: “Paparazzi assassini, ha scritto qualcuno allora sui muri del Lungosenna a Parigi. Un insulto che non avrebbe fatto il giro del mondo se non ci fosse stato un paparazzo a immortalarlo. Un paradosso, uno dei tanti di un mestiere tra i più difficili del mondo.”
Molti dovrebbero essergli grati: se sono passati alla storia, è stato per lui. Barillari storpia le lingue in uno slang anglo-romano. “Emotion” è trasformato in “emoscion” e “shopping” in “sciopping”. I vips quando lo vedono iniziano a tremare. Sanno che la loro serata sarà passata ai raggi x. Perché SuperRino è come Clark Kant, con la differenza che lui quando si trasforma in supereroe gli occhiali li toglie, mentre Rino li indossa. Scuri, impenetrabili. Salvo sollevarli per inserire l’occhio nella macchina e… clic! peggio che con una semiautomatica, colpire il malcapitato. Che a volte è un buontempone, a volte no! Allora incappa nei Walter Chiari e sono mazzate! Oppure è trascinato in tribunale. In ogni caso, sono tacche sul calcio del fucile… medaglie metaforiche appuntate sul petto. “Comunque vada, sarà un successo…” sembra uno slogan coniato per lui.
Sotto le sue grinfie è passata mezza Hollywood e tutta Cinecittà. Rino è, insomma, un tipo che nessuna suocera che si rispetti vorrebbe per sua figlia. Passa con (apparente) nonchalance, dalla cronaca nera che più nera non si può, ai seni prosperosi di una pornodiva. E’ un cinico, dunque? Vorrebbe farcelo credere. Ma non si arriva alla sua età (quale?) se non si è animati da fiducia in ciò che si fa, dalla consapevolezza di un ruolo anche sociale del Paparazzo, da un amore per la vita che si manifesta in modi particolari. Insomma da sentimenti che il cinico per definizione non può provare. Altrimenti, la caccia serale di istantanee, da tempo sarebbe diventata routine e lo avrebbe costretto al ritiro o a diventare caricatura di sé stesso. D’altronde non si perdona di aver sfasciato una famiglia a causa di una sua foto. Da buon calabrese per lui “la famiglia è sacra”.
Né la tragedia né il dolore gli sono estranei. Quando deve scattare foto a bambini morti, le lacrime gli solcano il volto e ricorda quando nel maggio del ’79 prese il caffè con gli agenti Antonio Mea e Pierino Ollanu, pochi minuti prima che venissero trucidati dalle BR. La riflessione, la dimensione spirituale è tutt’altro che estranea a questo “duro”. Ma al grido di “a guera è guera!” torna ogni sera nelle strade di Roma a rubare pezzi di vita alle celebrità e regalarle a chi a quel mondo di fortunati non appartiene. Vip, state attenti… E’ stato detto: “Dio ti vede, Barillari pure”. E il primo perdona, il secondo no!
Dimenticavamo… A Rino Barillari, alla sua straordinaria storia professionale, alla sua arte di fotografo\testimonial\reporter di oltre mezzo secolo di cronaca romana ed internazionale, dedicheremo presto un grande omaggio\evento, in corso di definizione, di cui informeremo a breve da queste pagine.
All rights reserved (Pubblicazione vietata)