12 Ott Gaudio e Musuraca, la Calabria degli Oscar per la fotografia
Da ultimo con Mauro Fiore, originario di Marzi (Cs), con l’ambita statuetta ricevuta nel 2010 per il film “Avatar” di James Cameron, la regione vanta grandi personalità in questo particolare campo del cinema
di Giovanni Scarfò
Le cronache sull’Oscar vinto da Mauro Fiore nel 2010 per la direzione della fotografia del film “Avatar” di James Cameron, non hanno fatto giustizia di un passato che in questo campo del cinema, in quanto a personalità originarie calabresi, ha registrato altre due figure eccezionali: Antonio (Tony) Gaudio (1883-1951) e Nicholas Musuraca (1892 – 1975).
Il primo (nella foto di apertura con la statuetta degli Oscar) di origini consentine, l’ha vinto nel 1937 con Avorio Nero, diretto da Mervin le Roy e interpretato da Olivia de Havilland e Fredric March. Ricevendo anche altre sei nominations per Angeli dell’inferno (1930), Il conquistatore del Messico(‘39), Ombre malesi(‘41), Corvette K-225 (‘43), L’eterna armonia (‘45) e Song to Remember (‘46), suo primo film a colori, che lo hanno consacrato come grande autore della fotografia cinematografica. Raffaele Gaudio è uno stimato fotografo di Cosenza con uno studio in Corso Telesio. I fratelli Antonio ed Eugenio, nati rispettivamente nel 1883 e nel 1886, hanno intrapreso la professione di fotografi con la passione del cinema che, a Cosenza, è giunto la prima volta il 1897: “Abbiamo avuto in questi giorni, offertoci dall’ottimo e instancabile Cav. De Maria, le trasmissioni del cinematografo, l’ultima novità del giorno… Il cinematografo offre quadri viventi, scene di vita reale che son degne davvero di essere viste”. (Cronaca di Calabria, 12/2/1897).
Antonio si è formato a Roma e, in quel periodo, ha girato piccoli cortometraggi per la Ambrosio Film di Torino, e, nel 1903, ha realizzato come regista il corto Napoleone crossing the Alpis. La famiglia Gaudio giunge a New York nel 1906. I fratelli Gaudio si inseriscono subito nell’ambiente cinematografico di New York realizzando, come direttori della fotografia, tra gli anni 1910 e 1920, tantissimi film, soprattutto con Thomas H. Ince e Fred J. Balshofer. Tony ed Eugene sono dotati di notevoli competenze tecniche. Nel 1908 collaborano allo sviluppo dei laboratori cinematografici della Vitagraph e della IMP (Independent Moving Picture Co.). Purtroppo, Eugene muore nel 1920, a 34 anni, lasciando in eredità l’American Society of Cinematographers per la formazione di giovani direttori della fotografia, che aveva fondato nel 1919.
Tony cura la fotografia di molti corti di Mary Pikford, diretti da Thomas H. Ince. Nel 1922 inventa il mirino della nuova cinepresa Mitchell e, qualche anno più tardi passa alla Warner Bros, dove con il direttore della fotografia palermitano Sol (Salvatore) Polito (No, No Nanette, La carica dei seicento, Maschere e pugnali, Il principe e il povero, Gli angeli con la faccia sporca, Arsenico e vecchi merletti), contribuirà notevolmente ad affermare lo stile Warner, per una fotografia che si distingueva per essere spoglia e priva di quella patina “glamour” che caratterizzava molti film di allora, anche perché Jack Warner non approvava la spesa per sofisticazioni fotografiche varie od altri effetti, a meno che non li giudicasse indispensabili per il successo del film. In particolare Tony Gaudio era molto versatile ed abile nell’affrontate qualsiasi tipo di film, dal grande budget al B-movie, consentendo alla sua Major di muoversi con grande facilità all’interno dei generi cinematografici e dei gusti del pubblico.
Ed era molto esperto soprattutto nel “manipolare” la fotografia in laboratorio, ottenendo effetti originali e sofisticati. Per certi versi la sua fotografia è stata considerata anticipatrice dello stile “nero” americano, che Musuraca porterà ai massimi livelli; un genere di film che è stato preferibilmente “stilizzato” attraverso la corrente artistica dell’espressionismo tedesco, spesso sopravvalutandone l’influenza. In realtà, preso atto che la definizione di noir è stata creata a posteriori come categoria critica, Marc Vernet, citato da Leonardo Gandini in Il film noir americano (Lindau) sottolinea che, in realtà: “l’influenza è dovuta anche al cinema americano horror e gotico” e che i direttori della fotografia che ne sono responsabili hanno iniziato a lavorare a Hollywood già negli anni ’10 e ’20”, come Tony Gaudio, per esempio.
La sua bravura può essere sottolineata ricordando anche il forte sodalizio artistico che lo legò a Bette Davis, il cui “caratterino” umano e artistico non era facilmente gestibile, ricevendo la seconda nomination per la fotografia de Il conquistatore del Messico, senza dimenticare gli splendidi effetti raggiunti in Ombre malesi, sempre con la Davis, con un bianco taglio di luce da luna piena. L’ultimo film a cui ha prestato la sua genialità è stato The Red Pony (1949) di Lewis Milestone, con Myrna Loy e Robert Mitchum.; regista con il quale aveva già collaborato nel 1927 per il film Two Arabian Nights, che ha fatto vincere a Milestone l’Oscar nella prima edizione della manifestazione, 16 maggio 1929; mentre nel 1931 è stato direttore della fotografia non accreditato per The Fronte Page (tre nominations). E’ morto nel 1951.
Musuraca è nato a Riace (Rc) da Cosimo e Anna Rosa, contadini. Emigrò negli Stati Uniti all’età di quindici anni assieme al padre, da Napoli, il 18 luglio 1907 sul piroscafo Re d’Italia, con arrivo a New York il 3 agosto. Superata l’ispezione a Ellis Island, i Musuraca si stabilirono a Brooklyn, sulla Flushing Avenue, accolti da zio Francesco. Dopo vari lavori casuali, viene assunto come autista da J. Stuart Blackton, general manager della Vitagraph, dimostrando buone attitudini anche a lavorare negli studios come proiezionista, addetto al montaggio, assistente alla regia e, a partire dal 1918, primo operatore. Muove i primi passi sul set a Londra, come collaboratore di Blackton per i film Glorious Adventure (1922) e A Gypsy Cavalier (1922), prodotti dalla J. Stuart Blackton Feature Pictures, fondata dal vulcanico produttore dopo aver lasciato la Vitagraph.
Debutta come direttore della fotografia nel 1923 con The Virgin Queen e On the Banks of the the Wabash, sempre con la regia di Blackton. Da quel momento diventa uno dei cinematographer più ricercati, apprezzato per il talento ma anche per la modestia, il carattere schivo, la rapidità dei metodi di lavoro, la semplicità e l’efficacia delle sue soluzioni tecniche, trovando una definitiva consacrazione come Autore nel momento in cui contribuisce a tracciare l’impronta visiva del noir americano degli anni Quaranta e Cinquanta prodotto dalla gloriosa Rko(Radio Keith Orpheum): un’impronta indelebile ri/conosciuta anche in Italia e riproposta, qualche anno fa, da un Fuori Orario di Enrico Ghezzi dal titolo: Hollywood Ama (Rko) Rd. Tutte le frecce della Rko: Nicholas Musuraca.
E’ stato autore della fotografia di 180 film. Ne ricordiamo alcuni considerati autentici cult-movie della storia del cinema mondiale: Lo sconosciuto del terzo piano (1940), Il bacio della pantera (1942), Il passo del carnefice (1943), Gli eroi del Pacifico (1945), La scala a chiocciola (1946), Il segreto del medaglione (1946), Manicomio (1946), Le catene della colpa ( 1947), Sangue sulla luna (1948), per il quale sperimentò una nuova pellicola sensibile agli infrarossi per simulare la luce notturna della luna durante il giorno, superando il tradizionale “effetto notte” degli altri direttori della fotografia. Negli anni Cinquanta lavorò anche in due film di Fritz Lang, La confessione della signora Doyle (1952) e il noir The Blue Gardenia (1953), in cui sperimentò l’uso del “crab dolly”. Sempre nel 1953 ha diretto la fotografia del film La belva dell’autostrada, per la regia dall’attrice Ida Lupino.
Nel 1942 gli fu affidata la fotografia di alcune sequenze aggiuntive de L’orgoglio degli Amberson, di Orson Welles, perché la RKO non era soddisfatta del risultato. Musuraca è stato un figlio dell’emigrazione che ha avuto successo, anche grazie a Lamerica. Ma, come ogni emigrato che si rispetti, non ha dimenticato il suo “paese ombra”. Negli ultimi anni della sua vita sembra sia tornato a Riace per salutare il paese per l’ultima volta. Qualcuno ricorda quel “piccolo grande uomo” che camminava lentamente respirando la dolcissima brezza del mare Ionio, ammirando il paesaggio, sorridendo e stringendo le mani dei suoi compaesani, molti dei quali non sapevano qual era il suo vero mestiere, ma soltanto che “ce l’aveva fatta” a coronare il sogno di ogni emigrante.
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