FUDOLI RACCONTA …FUDOLI

Sessant’anni di giornalismo attivo: la lunga e preziosa storia professionale di Nicola Fudoli, dalla Calabria a Milano con Indro Montanelli, e nel mondo. La carriera, lo sconfinato amore per la terra natìa, la profonda amarezza per non averla vista crescere e sviluppare come merita

di Roberto Messina  

Quando ho chiesto alla giornalista Rosanna Fudoli, figlia di Nicola, di raccogliere un po’ di materiale per scrivere un “pezzo” su suo padre, collega di lungo corso, mi sembrava cosa facile. “Se posso permettermi… Rosanna, entra discretamente nel suo pc. Recupera qualche vecchio dato. Ed aggiungi qualche aneddoto.”. Ma non è stato così facile, invece…

Nicola Fudoli

Rosanna si è dovuta, intanto, “scontrare” con l’età del padre. Se in periodo di Covid19 chiedi ad un signore di 87 anni suonati la sua biografia, pur se in buona salute e con la mente sveglissima, senza dare troppe spiegazioni ma non volendo gironzolare a vuoto nel suo computer, è chiaro che lui sbianca con un: “Cos’è, vuoi preparare il mio coccodrillo”?

Non ci avevo pensato. E dico lo stesso a Rosanna: “Ma no! Dì a tuo padre che un amico (io) vuole fargli una sorpresa pubblicando la storia della sua vita”. E così Rosanna, pazientemente, aderisce alla mia richiesta e si tuffa nella lettura, scoprendo e riferendomi una parte dell’insieme di ricordi, poesie e racconti (che non sapevo fossero già destinati a diventare un libro) che proviamo qui a condensare assieme ad una mia precedente intervista fatta a lui, Nicola Fudoli, per il  piacere di fargli omaggio e riverire una figura stimata di giornalista-galantuomo, corregionale di successo trapiantato a Milano, che ho frequentato al tempo della mia collaborazione a “il Giornale” avviata nell’ultimo anno di Montanelli direttore, il 1993, prima della sua clamorosa rottura e la fondazione de “La Voce”. 

Ripercorriamo intanto, ci sembra utile, la carriera di Nicola Fudoli, cominciata ben presto al Liceo “Maurolico” di Messina nel 1952, dove crea i giornalini “Fiera Studentesca” e “Juvenilia”. Laureato in Giurisprudenza, giornalista dal 1953, Nicola ha concluso la sua attività al “Giornale” di Montanelli (che lo chiamava “Nicolino”) dove ha prestato la sua opera sin dalla fondazione (1974), al settore Esteri prima, poi capo servizio al Notiziario nazionale, quindi responsabile del settore Turismo e Viaggi da lui stesso creato (circa 35 anni fa). Dal 1953, a Messina lavora nei quotidiani “Gazzetta del Sud”, “L’Ora di Palermo” e “Tribuna del Mezzogiorno”. Poi al settimanale “L’Isola”. Fonda e dirige il settimanale “Sette Giorni Sud”, trasformato successivamente in “Il Nuovo Sud”, del quale è redattore capo.

Nicola Fudoli con la figlia Rosanna

Per qualche tempo a Catanzaro, Cosenza e Reggio, come responsabile delle redazioni distaccate di “Gazzetta del Sud” e della “Tribuna del Mezzogiorno”. Ha prodotto e diretto due documentari cinematografici: “Invito alla Calabria”, presentato nel 1961 alla Mostra di Torino per il Centenario dell’unità d’Italia; e “Un giornale, come nasce, come vive”, per presentare la “Tribuna del Mezzogiorno” in un giro promozionale in Sicilia. Ha ancora collaborato per il turismo con “ViviMilano” (inserto settimanale del Corriere della Sera), le riviste “Noi” e “Chi” della Mondadori, le pubblicazioni di Seat (“TuttoCittà” e “Pagine Gialle Turistiche”) per le quali ha curato la presentazione degli itinerari turistici italiani. Ha diretto le riviste “Welcome”, “Viaggi Vacanze”, “L’Etichetta”, “Itinerari del Gusto”, collaborando per i monografici di “ViaggiItalia” e la pubblicazione di house organ di Enti turistici stranieri. Ha concluso l’attività giornalistica creando e dirigendo il periodico “L’AltraCalabria”, la voce della comunità calabrese in Italia.

Insieme a due amici e colleghi (Torriani e Zanini) nel 1991 è stato tra i fondatori del GIST (Gruppo Italiano Stampa Turistica): riconosciuto ufficialmente dalla Federazione Nazionale Stampa Italiana, oggi il gruppo è costituito da 256 giornalisti (a lui devo la mia “introduzione” al sodalizio). Per anni ha fatto parte del Consiglio direttivo dello SKAL, organizzazione professionale di esperti di turismo che in tutto il mondo promuovono il turismo globale e l’amicizia (Skal International, ha circa 20.000 soci, conta oltre 500 club, in 98 nazioni). È stato vicepresidente della Federazione Italiana delle Associazioni e Circoli calabresi riconosciuti dalla Regione Calabria. E’ stato anche tra i fondatori dell’Associazione CalabroLombarda: un gruppo di professionisti ed imprenditori che con impegno ha raggiunto lo scopo di realizzare quanto mancava ai calabresi di Milano e Lombardia. Dal 2008, incuriosito e interessato da un’amica d’infanzia, sensitiva, si avvicina al paranormale con un libro che è in rete “Noi ci siamo. L’Amore muove tutto il Mondo Invisibile”. Con la collana “Navigare” ha di recente pubblicato una serie di poesie scritte dal ‘53 ad oggi, alcune musicate e filmate dalla produzione della stessa casa editrice: https://www.youtube.com/watch?v=GFUGg8_kjGs  

Ed ecco, dopo le opere, la vita di Fudoli, a partire dallo stesso suo cognome, che ha origini antiche, e che quando, tra mille anni, ci sarà la “dipartita” dei fratelli Nicola, Bruno e Giuseppe Fudoli, sparirà dall’anagrafe italiana, perché con questo nome di famiglia sono rimasti unici. Cominciamo, dunque, dal trasferimento da Reggio Calabria a Verona, con Nicola impegnato al quotidiano “l’Arena”, dove un bel giorno, inaspettata, giunge la straordinaria telefonata diretta di Indro Montanelli che lo vuole nel team dei suoi “ragazzi” per fondare il quotidiano che negli anni, dopo di lui, sempre più “trasformato”, è rimasto sempre “Il Giornale”. Quando hanno gambizzato il direttore Montanelli, Nicola Fudoli era lì accanto, a piangere e pregare per il suo “grande amico”.

Nicola Fudoli nella redazione de il Giornale (1975)

Ad un certo punto, con un gruppo di colleghi, fonda come detto il GIST, volendo a tutti i costi che il turismo diventi un’importante voce nell’Italia di quei tempi. Riguardo, poi, agli amici calabri, mai dimenticati, con loro ha entusiasticamente creato associazioni, iniziative e vari giornali.

Abbiamo chiesto, intanto, a Nicola Fudoli: ma a parte il lavoro, che per te è stato sicuramente al primo posto nell’ordine del giorno della vita, ci dici un’altra delle tue grandi soddisfazioni?

In ambito familiare, le mie figlie, Rosanna, che ha portato avanti il mio nome nel panorama giornalistico e con la sua vena imprenditoriale ha saputo sfondare in un campo, quello della comunicazione e del giornalismo turistico, a cominciare dagli uffici stampa di vari Enti esteri e da circa 20 anni dal web magazine Viaggivacanze.info. E sua sorella Cinzia, che a parte i trascorsi professionali, da 8 anni mi ha reso nonno, ed è un’ottima mamma”.

Restiamo all’impegno professionale, il giornalismo, il tuo grande amore…

In campo lavorativo, devo riconoscere di aver avuto tutte le soddisfazioni chieste alla vita: come giornalista, mi sono occupato di cronaca, nera, esteri, e sicuramente l’aver portato nei quotidiani nazionali il turismo, creando le pagine ne “Il Giornale”, era il era il 1985, è stata una bella scommessa. Abbiamo accompagnato migliaia di lettori a scoprire il mondo. Da alcuni anni, il bravo collega Stefano Passaquindici, all’epoca un ragazzo alle prime armi, le ha riportate al successo. La storia continua… quando un’idea è buona, funziona nel tempo.

A fine anni ’70, assieme a Montanelli e a te responsabile delle pagine di Turismo, ecco il primo viaggio organizzato apposta per i lettori de “il Giornale”, quasi un capitolo a parte della tua vita… Vi partecipa il grande Indro, a bordo della motonave Stradivari che compie un tour lungo il Po. A Cremona, Montanelli saluta i viaggiatori con una conferenza sul tema del viaggio come scoperta, incontro e conoscenza. Raccontaci…

Indro Montanelli e Nicola Fudoli all’inaugurazione del primo viaggio dei lettori de ” il Giornale,”
con la motonave Stradivari, lungo il fiume Po (fine anni ’70)

A quei tempi c’era sempre un giornalista che accompagnava i gruppi e rappresentava la parte culturale del tour, spesso ci sono stato io, e poi un altro giornalista “pezzo grosso” raggiungeva da qualche parte il gruppo e teneva una conferenza tematica. L’affiliazione era esagerata, tanti prenotavano senza neanche leggere il programma, in un periodo in cui viaggiare era questione quasi sconosciuta ai più. I lettori avevano grande fiducia nel loro quotidiano, in Montanelli, e posso dire con orgoglio, anche in me che organizzavo viaggi alla scoperta del mondo, per conto loro. Si muovevano migliaia di persone. Un’altra epoca…

Oggi Fudoli si divide tra la casa sulle Orobie, per stare accanto a Rosanna e alla moglie, e la Sicilia dove da oltre 50 anni torna puntuale nella sua villetta a picco sul mare per stare vicino a Cinzia ed all’adorato nipote Samuele. Dalla spettacolare balconata che ha un affaccio che ricorda Taormina, vede la sua Calabria, la terra che ha sempre amato in maniera viscerale e dove ogni anno si tuffa in una full immersion fatta di visite a parenti ed amici in vita e non, di sapori e profumi che sanno di passato e di origine. È stata una vita densa, la sua, vissuta con determinazione e consapevolezza: “nessuno ti dà niente e se vuoi sfondare devi sudare” – è uno dei suoi motti da emigrante arrivato a nord negli anni ’70 non proprio con la valigia di cartone, ma con le armi per combattere i tanti luoghi comuni e le “serrate” ai meridionali, per dimostrare che con la testa dura dei calabresi si vince sempre.

Facciamo ancora un po’ di storia. Il 14 maggio 2011, chiude a Mumbai, in India, la “Godrei and Boyce”, l’ultima fabbrica al mondo di macchine da scrivere, ormai soppiantate in questo inizio di terzo millennio, dopo quasi 300 anni di attività, dal computer. La prima macchina dotata di tasti corrispondenti alle lettere dell’alfabeto è stata brevettata dall’ingegnere inglese Henry Mill nel 1714, mentre nel 1888 l’americano Charles Spiro presentava al mondo intero quella che veniva considerata la prima macchina da (o “per”?) scrivere: la diatriba letteraria è ancora in piedi. Nicola, com’è cambiata da allora, e con il pc, la vita dei giornalisti?

Fudoli sulla terrazza della villa in Sicilia, con alle spalle la “sua” Calabria

Soppiantata dal progresso, la macchina da\per scrivere resterà comunque legata nel nostro ricordo. e nell’immaginario delle generazioni a venire, alla foto sbiadita in bianco e nero di quel maestro del giornalismo italiano, Indro Montanelli, con la “lettera 22”, costruita dalla Olivetti negli anni ‘50, sulle esili ginocchia, foto che ha fatto il giro del mondo ed è entrata nei libri di storia, mentre la statua in bronzo di Montanelli, con la sua inseparabile lettera 22, esposta nei giardini Palestro di Milano, ne preserverà, oltre il ricordo a futura memoria. Un ricordo intinto nella nostalgia, particolarmente per quei giornalisti, come me, che hanno doppiato i diversi “anta” e che nel mondo della carta stampata hanno trascorso i migliori anni della propria vita seguendo e vivendo le tante, numerose trasformazioni che hanno cambiato il modo stesso di fare giornalismo e giornali, e che nelle tipografie hanno portato alla sostituzione dei “camici neri” con quelli “bianchi”, perché l’intero processo di composizione e stampa è stato negli anni rivoluzionato. Sparite le linotype e i caratteri mobili per comporre i titoli, sostituiti dalla fotocomposizione e poi dalla videoscrittura. Dimenticate le bozze di stampa, tirate con il rullo e l’uso della carbonella. Disarmate le antiquate macchine di stampa piana, sostituite dalle rotative a cilindri. Oggi ci si avvia forse a soppiantare la stessa carta stampata, per sostituirla con il giornale elettronico da diffondere attraverso la tavoletta dell’iPad…

E tutto questo nel giro di sessant’anni, caro Nicola… Che sono anche i tuoi personali sessanta, vissuti davanti ad una macchina da\per scrivere prima, ad un computer poi; nelle tipografie a respirare l’aria che sapeva di piombo prima, e a farti accecare dalla luce dei tavoli luminosi dell’impaginazione, poi. E per ultimo, ad assordarsi col fragoroso frastuono della rotativa, in attesa di prendere la copia del giornale ancora fresca di inchiostro, passando dalla macchina piana, alla rotativa e all’offset. Ma riveniamo alla nostra Calabria…

Torno ogni anno, in Calabria. Da sempre. Per riabbracciare i parenti, per deporre un fiore ed una prece in quella cappella del cimitero di Locri che custodisce le spoglie terrene dei miei genitori, per rinverdire il ricordo di quell’antico avito focolaio domestico in quella casa di Ciminà dove sono nato e che non è più della famiglia. Ritrovo qualche amico il cui ricordo resiste alla muffa del tempo. Mi bagno nel mare che mi ha visto bambino. Calpesto le zolle amiche della terra che fu degli avi e non è più mia, ed assaporo i gusti familiari sempre cari a un “terrone” che non ha alcun vergogna di esserlo, tutt’altro.

Fudoli con amici a Ciminà (2018)

Torno in Calabria per ritrovare le mie radici, forse me stesso, da quando, e sono passati quasi 50 anni, sono stato costretto a trapiantare altrove casa e famiglia: prima a Verona, poi a Milano e ora sulle Orobie. Vengo in Calabria e me ne ritorno al Nord sovente con l’amaro nel cuore, ma senza nostalgia. Perché la penso, e mi spiace, anche come una terra matrigna che non ha saputo, ieri, trattenermi, e che nulla sa fare, oggi, per non continuare ad essere matrigna di nuove generazioni di emigranti per necessità. Poco o nulla è cambiato da allora, purtroppo. Il crimine è dilagato, pure se contrastato, non si arresta. Il malcostume, al passo con i tempi, è diventato anche qui “tangentopoli”. I sogni che hanno dato vita alle “cattedrali nel deserto”, sono degenerati in delusioni che sopravvivono abbarbicate agli stessi ruderi delle medesime “cattedrali”.

Cosa vuoi ricordare a proposito?

Le mie tante inutili battaglie dalle colonne di Gazzetta del Sud: quando mi beccai una querela per aver attaccato e denunziato pubblicamente un potente Dc che giocava con i “lavori pubblici”; quando fui buttato di peso fuori dalla sala del congresso Dc perché osavo contestare le aperture nazionali a sinistra; quando contrastai la realizzazione delle acciaierie di Gioia Tauro, ben sapendo, come tutti sapevano a Roma e dintorni, che si trattava di promesse demagogiche non realizzabili.

Fatti di altri tempi, di sessanta anni fa: storie cancellate se non fossero scritte, a futura memoria, sulle colonne di un giornale, la Gazzetta del Sud, a quell’epoca sulle pagine di cronaca di Reggio Calabria, a mia firma, per condurre una battaglia di moralizzazione della vita pubblica tanto solitaria quanto pressoché inutile. Inutile, perché nulla si è modificato malgrado quella “rivolta di Reggio” etichettata politicamente, ma che è stata la più genuina protesta di un popolo che aveva voluto opporsi a logiche politiche e partitiche ed a spartizioni a tavolino che hanno contribuito ad accentuare le divisioni laceranti, da sempre, delle “tre Calabrie”.

Davvero nulla è cambiato da allora?

Nulla, o poco, o non quello che sarebbe servito e ci si sarebbe legittimamente aspettato. Crimine, economia bloccata e depressa, la regione non può più neppure alimentare ingenui sogni, perché è finito pure il tempo delle illusioni e delle “cattedrali nel deserto”, così come la facile e demagogica politica delle sovvenzioni a pioggia e delle invalidità immaginarie. Senza sogni, delusa e forse rassegnata, la Calabria ogni volta che vi ritorno mi appare eguale, pure se profondamente diversa. Eguale, perché sempre abbarbicata alla sua cultura ed alle sue forti tradizioni, alla sua storia ed ai suoi retaggi. Diversa, perché, frenata da ataviche rassegnazioni e da condizionamenti, continua a segnare il passo, perdendo sempre più il contatto con il resto d’Italia e d’Europa, tanto da apparire addirittura e paradossalmente come “diversa” ai cittadini dell’altra Italia e d’Europa.

Laddove nella stessa nostra penisola è movimento, è progresso, pure se sulla spinta di un consumismo non sempre positivo che impone ritmi di vita accelerati, qui è però stasi conclamata. Qui anche le Casse di Risparmio che altrove hanno prodotto utili, hanno saputo realizzare perdite. Qui anche il turismo, che altrove ha visto crescere esponenzialmente presenze e strutture, riesce a chiudere in rosso i suoi conti. E, mentre ciminiere spente e sbancamenti inutili denunziano e condannano antiche scelte politiche errate, le fiumane, incontrollabili quando sono in piena, e l’alluvione di cemento senza regole fino all’altro ieri, hanno modificato la stessa geografia del paesaggio, lasciando lungo i crinali delle montagne disboscate e i litorali delle coste deturpate, ferite che neppure la chirurgia plastica del tempo potrà sanare.

Dopo avere per un ventennio vagheggiato ciminiere ed alimentato illusioni, dopo aver sacrificato i lussureggianti agrumeti della Piana di Gioia Tauro e la marina di Saline per fare posto a due fatiscenti santuari nel deserto, il Centro siderurgico e la Liquichimica della Sir, la Calabria sembrava avere scoperto la vera vocazione di estremo lembo della Penisola avamposto del Mediterraneo: e cioè il turismo e l’agricoltura. Almeno questo era il messaggio che vari amministratori regionali succedutisi nell’ultimo trentennio si erano sforzati di ripetere alla stampa del Nord e alle tante BIT. Ed era questo l’auspicio che io, giornalista calabrese di Milano, con il cuore al mio Sud, ho con entusiasmo colto e trasmesso attraverso le colonne de “il Giornale” di Montanelli, nella speranza che veramente per la Calabria fosse giunto il momento di cambiare. Ma c’è da chiedersi oggi, dopo oltre cinquant’anni, cosa è stato fatto perché la scelta segnasse veramente una svolta e l’inizio del riscatto?

Che ora sia veramente giunto, invece, il tempo di voltare pagina? Tanti calabresi di Calabria, rassegnati come dici tu, magari non coltivano la speranza come dovrebbero. Ma ci sono tante giovani forze che la pensano diversamente. Mentre i calabresi della diaspora, come te, come me, lo sperano, lo speriamo, e ce lo auguriamo con forza, perché sappiamo che la Calabria, se sa riscoprire la sua vera vocazione, che è quella che giustamente indichi: turistica, agricola, culturale, ambientale, ha tutte le carte in regola per fare di una regione incredibilmente e ingiustificatamente tra le più neglette d’Europa, un vero Eldorado…

E’ però indispensabile e necessaria una scelta politica chiara, che non consideri il turismo come fenomeno isolato, bensì come componente di un programma integrato di sviluppo che possa collegarlo all’agricoltura, alla cultura, alla piccola industria ed ai servizi. Una politica ed un programma che vedano impegnati in prima linea gli uomini migliori della regione, al di là e al di sopra della colorazione politica e dei campanili, accomunati solo dall’amore sincero e vero per la loro terra. E dalla fede, anche! L’alternativa è che la Calabria, malgrado trasudi storia, malgrado la sua natura, continui a restare uno “sfasciume pendulo sul mare” condannato all’abbandono da uno Stato troppo lontano e dalla rinuncia della sua stessa gente.

Ricordi d’infanzia, odori di Calabria…

Ritorno ogni anno, puntuale, ad agosto, nella mia terra di Calabria, da quando con la mia valigia di emigrante colma di sogni e speranze della mia giovinezza abbandonata, lasciai per sempre il mio Sud. Ritorno, è quasi un rito, per rivedere i miei cari, vivi e morti, per bagnarmi nel mare della mia infanzia felice, per calpestare l’arida zolla avara ancora di frutti, per risentire gli odori, i profumi e gli aromi di tante cose che mi furono familiari. Sì, per ricercare le mie radici, che non sempre ritrovo, i ricordi e le sensazioni di allora che si affollano per un attimo nella mente, avviluppati e offuscati dalla nebbia del tempo.

Ma li ritrovo e li ricordo quegli odori, legati alle cose che riempirono la vita di ogni giorno della mia infanzia in Calabria. Il profumo del pane che, fumante, lasciava il forno ancora accalorato e si arricchiva degli aromi dell’origano e dell’aspro odore dell’olio, per diventare ghiotto boccone dei ragazzetti festanti attorno alle gonne delle donne di casa. E i mille odori, che più tardi si concretizzavano in sapori, che salivano dal padellone poggiato sul tripode sotto il quale schioppettavano legni di ulivo. Da poco l’alba aveva rischiarato la cornice di montagne tutto attorno, e da poco il porco aveva lacerato il silenzio del mattino livido di febbraio che compariva timidamente tra le ombre di una notte che lentamente scompariva. Una lama impietosa, penetrando nella gola, gli aveva tolto, con il sangue, l’ultimo respiro, e adesso brandelli saporosi di carne si agitavano nella padella, rischiarati dalle fiamme dei tizzoni accesi. Mille aromi si levavano nell’aria e stuzzicavano l’appetito, provocando piacevolmente i vizi della gola.

E poi l’odore del mosto, ubriacante, che si levava dalle vasche, dove piedi nudi pigiavano le uve da poco strappate alle viti ancora verdi di foglie. E quello dei fichi che mostravano, ancora appesi all’albero, il loro cuore rosso attraverso la verde camicia lacerata. E gli aromi selvaggi del rosmarino e della salvia, della menta e del basilico e di mille erbe che, saggiamente dosate, sanno dare gusti e sapori ai piatti, poveri e ricchi, di una cucina certamente tra le più gustose ed elaborate dell’intera penisola e dell’intero pianeta.

Chiudiamo con la Calabria in positivo….

Si, e non è difficile. La Calabria è ricca di tante piccole cose, ancora genuine, che la rendono ricercata, unica: i suoi odori, i suoi sapori, un mare e un cielo ancora vivibili, una natura a tratti avara e selvaggia, ma forse, proprio per questo ancora autentica, alveari di case quasi abbarbicate alle colline dissestate, il castello e il casolare, brulle distese ricche di povertà e giardini fioriti e odorosi di gelsomini e zagare, oleandri e gerani. Un caleidoscopio di colori, un miscuglio di odori, mille sapori. Una terra che, visitata e conosciuta, difficilmente si fa dimenticare…

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