19 Ott Da Domodossola, un commosso ricordo poetico di Catanzaro
La suggestiva raccolta di poesie dialettali di Giuseppe Basta: un’emozione tradotta in parole…
“Paroliculuriesapuri”, un titolo che la dice lunga sulla “centralità” del dialetto catanzarese quale strumento e cifra espressiva, ermeneutica e stilistica della suggestiva raccolta poetica di Giuseppe Basta, nato nel capoluogo, classe 1961, trapiantato in quel di Domodossola, ennesima enclave (oltre 7.000 persone e un intero quartiere esclusivamente calabro, chiamato “Cappuccina”, su 18.000 abitanti) tra le valli alpine del Verbano-Cusio-Ossola sullo sfondo impareggiabile e incantevole del Lago Maggiore, che ha dato corpo a questa silloge di liriche (pubblicata da “Calabria Letteraria” dal chiaro sapore nostalgico, quanto agreste e familiare, in cui il ricordo evoca un luogo, uno spazio originario onusto di significati e significanti. Poesie in cui i personaggi respirano, si animano di vita. Dove i paesaggi si trasformano in gouaches brillanti e luminose. E gli affetti in altrettanti flashback di una solida scenografia emozionale su fondale naturale.
“Quandu ti penzu resti luntana, sembri tu favola, favola strana, favula fatta de jocu ‘e gagliuna, de sula còcenta o friscu de luna. Cercu nta l’occhi e nta l’occhi ti viju comu nu sonnu ch’ancora ‘on finiu, si tu “la terra”, si fimmina o sposa, si nu penzeru chi acqueta ogni cosa. Si tu l’incantu… si senza respiru, si tu la mamma, ma: i figghi partiru!”. L’incipit non lascia dubbi su chi (e cosa) costituisca il principale soggetto narrativo: e cioè il rimpianto, la lontananza, i sentimenti che suggellano e guidano come musica di sottofondo il suo faticoso e costante cammino a ritroso. Stati d’animo venuti su dal profondo di chi è rimasto quasi volutamente forestiero nella città che lo ha accolto, per non perdere di vista, anzi, per coltivare fino in fondo il suo mondo interiore ispirato, colto e naif al tempo stesso, e quella meraviglia senza eguali, quel cielo poetico dell’amatissima Calabria felix, celebrata artefice di un’arcadia che non ha ancora chiuso le porte alla civiltà.
Per il poeta, la sua Catanzaro è senza indugio come “Na bomboniera nta notta de stelli, antica magera de favuli belli, si tu lu presebbiu de catanzarisi… nu jornu si chiantu, nu jornu si risi, e tu Madonnuzza de subbra u Duomu chi duni la pacia a fimmina e omu!”. Si legge, invece, in “Volera”:“Volera prestu-prestu regalatu n’orologgiu ppemma tornu arretu, ma cunta diciott’anni a la rovescia, ma mi riporta ‘a faccia liscia-liscia. Volera ma mi portu appressu ‘e mia ‘a forza, ‘a gioventù, a’ zita mia”: edè più chiaro il quadro diunapoesia della memoria, dal taglio romantico, raramente sfociante nel sorriso, sempre con un velo di tristezza, pur se temperata, e in cui l’esprimersi intimo, personale, trova nella quintessenziale parola antica, nella parola vissuta, la via d’uscita, la maniera di sciogliere il grumo e consegnare comunque ai presenti (e al presente) vivide ferite ancora sanguinanti e simulacri confortanti e pii.
L’uso del dialetto dalla semantica domestica e congeniale, la “connivenza” col genuino materiale narrativo, il rapporto e il richiamo potentissimo al territorio (ed è qui la forza di Basta), liberano però nel verso una dolce musicalità che è davvero capace di arrivare dritta al cuore, anche a chi è straniero a questa lingua… “Su’ cca e st’occhi aperti vidunu niva e muntagni: allora cu st’occhi chiusi… vaiju e viju violi de campagni, strata de sula vrusciata, fiocchiu de timpa, crita hjaccata. (…) Aiju ma vaiju ma viju chiddu chi sta capu ancora ‘on stanca, e dda ‘a nustargia è daveru tanta” – si legge in “Vaiju e viju”. La lingua si trasforma in vita struggente, rabbia e impotenza, conato (la lingua è anche rancore), pure se sempre con una prospettiva finale di speranza, di calda emozione e di spirituale collaborazione.
La lingua dunque! Non il verso, ma la lingua è il mezzo attraverso cui Giuseppe Basta libera e rivela al mondo i suoi più intimi timori, le sue paure, le sue melanconie. Ed ecco la sentita esortazione ai catanzaresi, ne “A lingua”: “Nu compitu Castagna ni dassau: parrati cu sta lingua canusciuta, non vi scordati ‘e duva siti nati, si n’a sapiti prestu v’a mparati! N’impresa mancu tantu leggereḍḍa nessunu ‘e vui mò si nda chiama fora, cu tantu orgogghiu allora jamu avanti no ni tiramu arretu tutti quanti. Cu li difetti e doti do dialettu parramuni ppe gustu e ppe dispettu, Catanzarisi, nu pattu a giuramentu: ‘a lingua mia mi piacia ma vi sentu!”
Basta, è dunque un “ragazzo di Catanzaro” la cui raffinata sensibilità riesce a cogliere, come per una sorta di automatismo emotivo, un incontenibile fiotto e zampillo dell’anima, l’immediatezza e l’universalità del “sentire” catanzarese e calabro. La “mentalità”, i sentimenti, gli atteggiamenti, perfino i “tic” dei suoi concittadini, come la forte gestualità, il tono alto della voce, l’usanza di offrire al bar, di darsi pacche vigorose, l’impiego dei soprannomi e il ricorso costante ai proverbi. Tutto questo è riassunto, racchiuso,
amalgamato in una composizione sinfonica che mitiga l’impatto caotico e cacofonico, il rumore doloroso del privato personale, riflettendolo e purificandolo nell’io collettivo del mondo. Così, l’archeologia dialettale diventa poesia moderna, invenzione e metafora del tempo che viviamo. E Giuseppe Basta, stando al crepuscolare Sergio Corazzini e al suo definire “il poeta come un bambino che piange”, ora che è uomo maturo, lontano dalla sua terra, impegnato moralmente in un onesto e coscienzioso sforzo critico, in una chiara collusione e un’inevitabile collisione col suo background culturale – come scrive Achille Curcio – “resta veramente un bambino che si strugge con calde lacrime per quanto ha perduto…”.
Giuseppe Basta, nasce a Catanzaro nel 1961. Dopo la maturità in Agraria, si trasferisce a Domodossola per motivi di lavoro. Un distacco forzato dai suoi luoghi d’origine, che fa esplodere un fortissimo sentimento di malinconica nostalgia. La riscoperta delle radici è un tutt’uno con la taumaturgica pratica della poesia dialettale, espressione sincera ed autentica di una vita genuina, intima e familiare. Ha ottenuto vari riconoscimenti in concorsi e rassegne letterarie.
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