
12 Mag CON ULISSE NELLA MITICA CITTA’ DI TEMESA TIRRENA
Nel golfo di Sant’Eufemia, un viaggio nella storia lungo l’antica via Popilia
di Mario Folino Gallo
Da secoli, gli storici non sono riusciti a trovare un punto d’accordo sull’ubicazione esatta della mitica città di Temesa o Tempsa (Tirreno calabrese o Cipro) i cui fondatori secondo Strabone furono gli Ausoni (Strabone Geographie, lib.VI pag 255) e poi gli Etoli di Toante. Mentre Solino ne attribuisce la fondazione agli Ioni, prima della colonizzazione ellenica.
Strabone, che parla anche dell’esistenza di un “heroon” (santuario) di Polite, uno dei compagni di Ulisse, la colloca nettamente in Calabria, poco più a nord di Terina, l’odierna Nocera Terinese. Nel IV e III secolo a.C., Temesa fu dominata da altre popolazioni, tra cui i Bretti, e sopravvisse con il nome di Noukria. Annibale distrusse Terina nel 203 a.C. circa, e lasciò invece intatta Temesa, che nel 194 a.C. divenne colonia romana.
Presso gli antichi, la città salì a grande rinomanza per le miniere di ferro e di rame che erano nelle sue terre e dei cui metalli si rifornivano puntualmente i greci ai tempi di Omero. Ecco, appunto, cosa scriveva il sommo cantore, a proposito, narrando le gesta di Telemaco, figlio di Ulisse: “Con navi io giunsi e naviganti miei, fendendo le salate onde ver gente d’altro linguaggio, e a Temesa recando ferro brunito per temprato rame, ch’io ne trarro”.
Temesa fu sede di Diocesi vescovile dal 492 d.C. all’ 871. Narra Pausania che Ulisse, dopo la presa di Troia, vagabondando per le città dell’Italia meridionale, approdò a Temesa: qui un suo compagno ubriaco, Polite, violentò una giovane vergine del posto. Gli abitanti, inferociti, lo lapidarono e Ulisse se ne andò proseguendo il viaggio. Il demone dell’uomo lapidato, cominciò per vendetta ad uccidere gli abitanti del villaggio che, su consiglio della Pizia, gli costruirono un recinto sacro ed un santuario dove ogni anno portavano in sacrificio la vergine più bella del paese, per placare la sua furia. Ciò accadde finché Eutimo, pugilatore di Locri, vincitore per ben tre volte ad Olimpia, non passò da quelle parti e decise di mettere fine a questo doloroso tributo: sfidò il demone che aveva preso il nome di Alibante, lo batté e lo sprofondò per sempre nel mare. Pausania aggiunge nel suo racconto di aver udito la vicenda da un mercante e di aver visto un quadro, copia di uno più antico, in cui erano raffigurati Eutimo e il demone, terribilmente nero e tremendo in tutto il suo aspetto, rivestito di una pelle di lupo.

Questa città mitica, la cui ricchezza ci è provata dalle monete d’argento rinvenute nel tempo, dovette avere un vivissimo commercio con la Grecia, alimentato principalmente dalle citate miniere di metallo e dai lavori che uscivano dalle sue officine, oltre ai prodotti delle sue fertili terre, olio e specialmente vini celebrati da Plinio.
Non si ha la pretesa di mettere la parola fine alla diatriba della sua corretta ubicazione, ma qualcosa qui si prova ad aggiungere. L’Abate Domenico Romanelli, nella sua Antica topografia del regno di Napoli del 1819, rifacendosi agli antichi storici quali Cluverio (che a sua volta, seguendo la Tavola Peutingeriana che segna miglia dieci da Clampetia, antica Amantea, a Temesa) fissò questa città a Torre Loppa, attuale Torre Lupo, posta tra Capo Suvero e Castiglione Marittimo.
Questa tesi, fu sposata da altri storici, tra cui Briet, Cellario, Bodrando e Arduino. A rafforzarla, l’identificazione della Torre di guardia e difesa, ubicata sotto l’attuale cimitero di Castiglione, che guarda perfettamente verso Pian delle Vigne e induce a pensare sia stata costruita in relazione e a difesa di un eventuale agglomerato urbano sull’antica via Popilia, che attraversava proprio Pian delle Vigne.
A ciò, si aggiunge che la torre guarda anche verso il mare, formando un triangolo con Capo Suvero, sin dall’antichità luogo di faro marittimo a guardia dell’istmo. L’ubicazione esatta di Temesa, per logiche di campanile da ognuno rivendicata nel proprio territorio, è comunque un “non sense”. Non si è infatti in grado di valutare l’effettiva ampiezza della città, che comunque dovette estendersi tra Sant’Eufemia e Campora San Giovanni, vasta area disseminata di reperti archeologici che rimandano a quell’epoca.