Cariati, la tradizione dei “vuculari” nella manipolazione della creta

Nella cittadina cosentina (e nei suoi quartieri) la lunga storia di abilità manifatturiera dei suoi bravi artigiani ceramisti

di Franco Emilio Carlino

Tra i tanti procedimenti artigianali appartenenti alla tradizione popolare che in qualche modo si sono difesi dall’aggressione dei tempi, in Calabria c’è senz’altro la lavorazione della creta, soprattutto in area della Sila Greca, in un luogo che di questo materiale è ricchissimo. Ma anche in particolare, lungo la costa ionica prospiciente il mare, da Corigliano-Rossano fino a Cariati, dove è evidente l’origine argillosa del territorio, è stato favorito lo sviluppo di prodotti ceramici ottenuti mediante la foggiatura di materie naturali (oltre l’argilla, il caolino e il quarzo) impastati con acqua e successivamente sottoposti a cottura.

Due prodotti tipici dell’artigianato locale:
la “cannata” e il “tarzaluru”:

Il nome ceramica, d’altra parte, deriva dal greco chèramos, che significa appunto argilla: un materiale che allo stato naturale è molto plasmabile, con l’aggiunta di acqua reso facilmente adattabile con le mani, ma che dopo la lavorazione e la necessaria cottura, perde la sua malleabilità acquistando al contempo rigidità e robustezza.

La lavorazione della creta, presuppone alcune azioni preliminari prima della necessaria essiccazione e della successiva cottura a circa 1000 gradi. La foggiatura viene praticata manualmente con il tornio, in particolare per oggetti di forma tonda, e poi a stampo, a lastra o a pressa, a seconda del tipo di manufatto da realizzare. Seguono l’essicazione e le operazioni più complesse, come la rifinitura, la smaltatura, la decorazione, la seconda cottura.

Il territorio menzionato, è noto per l’abilità manifatturiera dei suoi artigiani ceramisti, basti ricordare Cropalati, dove ancora oggi sono presenti virtuosi esempi; Mandatoriccio dove nel secolo scorso era presente una fabbrica di mattoni e dove si ricavavano ‘pignatte’ in argilla; o ancora Rossano, dove tuttora è presente una fabbrica di laterizi. Col passare del tempo, quest’antica tradizione si è consolidata nella cittadina di Cariati, diventata per l’intero settore un punto di riferimento.

Le “gummule” in terracotta

Cariati, cittadina costiera e marinara del Basso Jonio Cosentino, è posta sulla litoranea S.S. 106 tra Sibari e Crotone. La sua fondazione affonda remote origini nel periodo magno-greco, con tracce del suo insigne passato nella tomba di origine Brettia rinvenuta presso il sito di Salto, in contrada Prujja, tra IV-III secolo a.C., insieme a ruderi di arcaiche dimore, oggetti in pietra lavorata e di ceramica. A partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, fino ai nostri giorni, Cariati è andata via via rafforzando le sue potenzialità nel settore della ricezione turistica, facendo leva anche in qualche modo sui pochi vasai rimasti, le cui botteghe erano un tempo raggruppate nel rione dal toponimo i vucalari, termine derivato da vucalu, il recipiente con manico e beccuccio usato per versare l’acqua, attività artigianale peculiare molto esercitata e rigogliosa che, secondo la tradizione, metteva sul mercato manufatti in terracotta grezza e ceramica.

Peccato che tale eccellenza della Calabria, come ci ricorda Assunta Scorpiniti: “sembra essere giunta al crepuscolo per mancanza di ricambio generazionale. Reperti e documenti storici, attestano che fin dal VII secolo a.C. i Sibariti importavano ceramiche dalle regioni elleniche dell’Attica e dall’Asia Minore, e che inoltre, impiantarono in Magna Grecia, quindi anche nella zona di Cariati, una propria produzione, analoga a quella importata.

Il Palazzo comunale di Cariati (Cs) e il suo stemma

Nel tempo tale produzione perse la caratteristica di raffinatezza che le conferivano le decorazioni dei ceramisti greci (pitture raffiguranti scene, eroi, miti) e, pur conservando l’eleganza delle forme, acquistò semplicità e funzionalità all’uso domestico cui venne destinata. Gli storici raccontano che Epifanio, monaco del VI secolo collaboratore di Cassiodoro, abbia dato a Cariati, in riferimento al tempo in cui si chiamava Paternum ed era sotto l’egemonia romana, la denominazione di “città nota per i suoi vasi”, e che numerose erano nel Cinquecento le botteghe dei vucalari o cretai. L’arte fu fiorente per secoli, poi s’interruppe bruscamente all’inizio degli anni ’60 del Novecento, per effetto della massiccia emigrazione in terra tedesca.

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