21 Mag Alfonso Agnino, il cardiochirurgo che opera al cuore con il robot
Incontro a Bergamo con l’illustre dottore originario calabrese, propriamente un “luminare”, che ha aperto concretamente la speranza a traumi e decorsi operatori assai meno complicati
di Roberto Messina
Nato a Torino, genitori originari di Castroregio e San Lorenzo del Vallo, moglie di Rossano Calabro (tutti in provincia di Cosenza) già “Ancienne Chef de Clinique et Assistant des Hopitaux” di Francia (assieme a colleghi di formazione del prof. Carpentier, il padre della ricostruzione della valvola mitrale ed il primo ad utilizzare il robot in cardiochirurgia, dove resta sei anni occupandosi di cuore e di chirurgia toracica, apprendendo le tecniche videoscopiche nonché tutta la patologia cardiaca dell’adulto, incluso trapianti e assistenze venticolari, e quella pediatrica), poi Responsabile della UO di Cardiochirurgia della Clinica “Santa Maria” di Bari, quindi direttore del Dipartimento Cardiovascolare al “Sant’Anna” di Catanzaro fino al 2014, il dott. Alfonso Agnino è il primo cardiochirurgo italiano che opera al cuore, alla valvola mitralica e alle coronarie, con una modernissima tecnica mininvasiva.
Responsabile dell’Unità Funzionale di Cardiochirurgia robotica e Chirurgia mininvasiva all’ospedale “Humanitas Gavazzeni” di Bergamo, ha qui effettuato il primo intervento europeo di telementoring. Dal novembre 2018, Agnino è anche Professore a contratto presso l’Università “Città della Salute” di Torino, dove insegna le tecniche di circolazione extracorporea ed è membro della Task Force Europa della Cardiochirurgia Robotica. Ogni mese ritorna nella nostra e sua Calabria per visite specialistiche. Oggi su oltre 5000 interventi realizzati come primo operatore, oltre 1000 sono stati da lui realizzati secondo tecnica mini-invasiva o robotica.
“Mini-invasività”. Da metà degli anni ‘90 ad oggi, questo concetto si è fatto giustamente strada in tutti gli ambiti chirurgici, ed è attualmente divenuto consolidata realtà in molti Centri Ospedaliero-Universitari di tutto il mondo. La ragione di questo successo è legata al riconoscimento dei significativi vantaggi derivanti dalla riduzione del trauma chirurgico: meno dolore, tempi di ospedalizzazione ridotti, più rapido ritorno alle attività quotidiane e miglior risultato estetico. A facilitare l’espansione di queste tecniche, hanno inoltre contribuito i progressi tecnologici nello strumentario chirurgico, nei sistemi di perfusione e nelle piattaforme di video-assistenza.
L’evoluzione più moderna è incarnata dal Sistema robotico Da Vinci, il device chirurgico più perfezionato e più ampiamente utilizzato in ambito clinico. Il primo intervento eseguito sul cuore mediante un prototipo del Da Vinci è stato un bypass fatto da A. Carpentier nel 1998. La settimana successiva Mohr, in Germania, eseguiva 5 plastiche mitraliche e 1 bypass aorto-coronarico. Chitwood nel 2000, eseguiva negli Stati Uniti il primo intervento in robotica. Nel 2002, dopo 2 successivi trials clinici condotti dal servizio di controllo della FDA, viene approvato negli Stati Uniti la chirurgia robotica per valvola mitrale con il Da Vinci. Questo alleato cibernetico permette infatti di eseguire interventi cardiochirurgici attraverso una o due piccole incisioni di 1,5 centimetri e quattro piccoli fori (detti “port”) di appena 8 mm l’uno. Attraverso questi accessi chirurgici, fatti negli spazi intercostali, vengono inserite una piccola telecamera, dalle eccellenti prestazioni video e tre braccia robotiche con inseriti dei minuscoli strumenti chirurgici che sostituiscono in tutto e per tutto le mani e le braccia del chirurgo e consentono una maggiore precisione d’intervento. Le applicazioni più comuni in ambito cardiaco sono rappresentate dalla chirurgia mitralica, le congenitopatie semplici e la rivascolarizzazione miocardica.
Abbiamo incontrato il dott. Agnino nel suo studio nel centro di Bergamo, una gentile pausa concessaci tra una visita e l’altra nello scorrere della sua comprensibilmente fittissima agenda, per farci spiegare meglio questo nuovi, grandi traguardi della scienza medica di cui è assoluto protagonista. Il colloquio è schietto, rapido, ma al tempo cordiale e pure emozionante per l’alto livello dell’argomentazione scientifica, e pure per il sotteso e ricorrente riferimento alla sua e alla nostra amata Calabria, ricordata da Agnino con trasporto ma anche con un velo di amarezza per averla lasciata e non aver potuto portare lì a compimento, sono sue parole, quello che invece è riuscito a mettere in pratica qui Bergamo. La prima domanda “tecnica” è proprio sui nuovi traguardi, sui “vantaggi” della tecnica che impiega negli interventi al cuore.
“A mio parere – ci spiega il prof. Agnino – il grande vantaggio, non è il solo ridurre il dolore toracico, il sanguinamento intra e post-operatorio, il migliorare l’estetica ed ancora più in generale ridurre l’impatto infiammatorio dell’intervento tout court, già ampiamente ridotto con la ‘vera’ tecnica Heart Port. Ma è soprattutto quello di fornire una qualità del gesto chirurgico talmente elevata da poter, probabilmente, garantire un ulteriore miglioramento di quelli che sono, ad oggi, i risultati a distanza della riparazione della valvola mitrale. Ed ancora, più si è mini invasivi più lo studio diagnostico pre-operatorio si eleva. Ognuno di noi ha un torace, un cuore, delle valvole, ma la loro posizione all’ interno appunto del torace è diversa per ciascun individuo. Questo device sicuramente migliora la comprensione della fisiopatologia della valvola mitrale e questo può aumentare la possibilità di correzione della insufficienza mitralica stessa, permettendo il mantenimento della geometria del ventricolo sinistro e della sua architettura”.
Qual è oggi, quindi, il vostro indirizzo medico specifico?
“E’ nostro mandato, offrire al paziente la migliore soluzione possibile attraverso le moderne tecnologie a nostra disposizione. Tale device, aumenta in maniera esponenziale il ‘custom made’, potendo potenzialmente ridurre i rischi intra-operatori insiti in qualunque intervento. Eleva l’intero sistema clinico-strumentale che ruota intorno al paziente, vero “centro” del nostro agire. Ultimo aspetto ma, per me, estremamente importante.
Quanto è importante e “lunga”, allora, la storia robotica?
“E’ molto lunga, e percorrerla significa partire da molto lontano quando, già agli albori dell’umanità, l’uomo si dimostrava affascinato dall’atto della creazione. La prima immagine di un robot, dunque quella di un automa che si affianchi all’uomo nello svolgimento dei lavori più difficili, nasce con la capacità di narrare e presto lascia le sue prime tracce nei poemi omerici. Efesto, dio del fuoco, è il primo personaggio della mitologia a creare macchine semoventi in grado di aiutarlo nella sua fucina nelle viscere dell’Etna. È evidente che l’uomo sia sempre stato affascinato dalla creazione e che abbia impegnato le sue capacità per progettare macchine utili a migliorare la qualità della vita”
L’abbiamo letta citare Archita da Taranto e la sua celebre colomba… Ci racconti.
“Nel IV Secolo a. C. Archita da Taranto, filosofo e matematico della scuola Pitagorica, costruisce una colomba volante di legno, che messa su un albero, era in grado di volare di ramo in ramo. L’invenzione di Archita, è spesso citata come il primo robot della storia, e alla luce dei recenti progressi tecnologici forse potremmo addirittura considerarla il primo drone, la prima macchina in grado di volo autonomo – come scrive Jimmy Stamp in un articolo sullo Smithsonian -. Oggi può apparire ingenuo quel primo inventore che progetta una colomba volante, come se dai suoi sforzi non fosse nato che un giocattolo. Ebbene, se oggi è possibile intervenire su un cuore umano e dare nuova vita ad un paziente, regalandogli sia la possibilità di non avvertire dolore che quella di non portare su di sé i segni estetici evidenti dell’operazione permettendogli, quindi, un recupero psicofisico funzionale molto più rapido, lo si deve anche a quella colomba a vapore…”.
In sintesi, cosa rappresenta per Lei il robot in cardiochirurgia?
“L’evoluzione più moderna del concetto di mininvasività. Questo strumento potenzia tutto ciò che sono i sensi umani, dalla capacità di vista alla precisione del movimento, diventando, in tal modo, un alleato senza pari nella riuscita di interventi delicati come quelli che si effettuano sul cuore. Grazie ad esso, il cardiochirurgo ha la percezione di entrare fisicamente all’interno delle camere cardiache ed operare non solo con estrema precisione, ma anche al massimo delle sue capacità sensoriali. Peraltro, la formazione e soprattutto il controllo per via remota, consentono di ottenere maggiori livelli sia di interazione che di abilitazione delle competenze, evitando sedute in presenza e mettendo in sinergia i professionisti al di là dei confini. Aspetto, quest’ultimo, ampiamente compreso dall’uomo proprio grazie a questa maledetta pandemia. Spetta adesso farlo proprio, ponendo particolare cautela a questa ulteriore fase. Infatti, se da una parte il robot si presenta come un efficiente device da poter sfruttare, dall’altra non bisogna dimenticare che si tratta pur sempre di un operatore meccanico”.
Come dire, progressi concreti, ma magari anche un po’ frettolosi?
“Sì, è vero, stiamo viaggiando ad una velocità estremamente elevata e ciò lo dimostra anche il fatto che esistono già sale operatorie robotiche simili, seppur con trent’anni di anticipo, a quelle descritte, per la sua French Correction sulla valvola mitrale, dal Professore Carpentier nel 1983 sul Journal Thoracic and Cardiovascular Surgery. Eppure, proprio questa accelerazione richiede la padronanza assoluta della tecnologia per evitare di perdere ciò che rende un medico tale, quell’elemento insostituibile che gli permette di guarire i suoi pazienti: ossia l’empatia”.
In concreto quali sono i vantaggi di questa tecnica?
“Innazitutto l’annullamento del tremore. Poi il poter utilizzare indifferentemente e in contemporanea sia la mano destra che la sinistra per poter fare la stessa azione. Poter utilizzare contemporaneamente sino a 4 strumenti chirurgici. L’accorciamento del fulcro rispetto allo strumento endoscopico nonché la possibilità di poter usufruire di un polso articolare che ha ben sette gradi di libertà rispetto ai 4 degli attuali strumenti endoscopici, con possibile rotazione di 360 gradi. Non ultimo, la visione tridimensionale ad alta risoluzione, più specificamente una visione non parallela del Da Vinci, che permette una guida del gesto chirurgico basata su un’immagine che risulta ulteriormente ottimizzata e potenziata. Vi è, in sostanza, un’amplificazione del senso della vista e della destrezza delle mani”.
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