Alessandro Crocco a New York, un mo(n)do nuovo, o forse antico, per parlare di cibo E DI SOLIDARIETA’

Il giovane imprenditore originario di Acri (Cs), in un ruolo di primo piano nella ristorazione della metropoli statunitense e nel nobile impegno di “charity” dell’Arcidiocesi locale con cui collabora strettamente (che lo scorso anno ha raccolto ben 21 milioni di dollari, spesi in opere di beneficenza)

di Anna Morabito

Alessandro Crocco nella sede
del Consolato Italiano a New York

Una delle città più raccontate sul grande schermo, in decine di film, è certamente New York. Anche chi non l’ha mai visitata, ha imparato a conoscerla grazie alle innumerevoli scene qui girate da registi come Martin Scorsese e Woody Allen. Una città multietnica e soprattutto multiculturale, che è da oltre 150 anni un irresistibile polo d’attrazione per generazioni di immigrati, fra cui i tantissimi italiani che hanno lasciato il Belpaese tra fine dell’800 e i primi anni del ‘900.

La “grande emigrazione”, come fu definita, ha portato via milioni di persone, in un viaggio della speranza che aveva con sé la sfida di traslare nel futuro una storia millenaria, quella italiana. Una vita nuova, di là da un mare che sembrava infinito, con un tema, quello dell’emigrazione, rimasto attuale e universale.

Francis Scott Fitzgerald amava dire che New York aveva tutta l’iridescenza dell’inizio del mondo… La città che non dorme mai, ha conquistato anche Alessandro Crocco, giovane imprenditore con un profondo amore per la Calabria, sua terra d’origine, che al telefono ci ha parlato della sua metropoli adottiva in maniera entusiasta, non solo per le tante opportunità lavorative che offre, ma anche per le esperienze umane che lì è possibile vivere, grazie alla presenza di persone provenienti da tutto il mondo, con il loro background del quale è intanto necessario avere rispetto e considerazione. Quim nella Big Apple, le persone liberano un potenziale che crea valore. Qui non sei né troppo giovane, né troppo vecchio. E vieni considerato per te stesso, per quanto vali.

Ma non si viene negli States solo per cercare fortuna. Quella, la si può trovare anche incontrando la persona giusta che ti porta via, oltremare. La moglie di Alessandro è figlia di un emigrato di Acri, in provincia di Cosenza, e lì lui l’ha conosciuta e frequentata, nel suo paese natale, dove era già un piccolo imprenditore di ampie vedute. All’arrivo di Alessandro nella comunità italo americana, c’è un primo invito nel New Jersey, per un antico rito della tradizione contadina calabrese: l’uccisione del maiale! “Ti senti a casa?” – gli chiedono. “Proprio no!” – la risposta di Alessandro, che ad Acri non ha mai assistito alla lavorazione della carne di maiale, una consuetudine che accomuna molte zone della regione.

Alessandro Crocco con il sindaco di White Plains, Thomas Roach

Cibo e tradizione. Ecco il binomio perfetto del nuovo business di Alessandro Crocco. E del resto, con questo cognome (che storpiato dagli americani, diventa Cracco) cosa di meglio poteva fare?

“Cracco lo conoscono in tanti – ci spiega divertito -. Mi fa sorridere sentirmi chiamare così, noi italiani sappiamo tutti chi è… Forse dovrei contattarlo. Ma non sono un ristoratore nel senso etimologico del termine, sono un imprenditore che ha investito nel food italiano ed anche nel vino per stare agganciato alle mie origini e con l’entusiasmo di poter aiutare le aziende italiane a farsi conoscere qui in America. Mi sento un ambasciatore del made in Calabria…. Lasciare la propria terra non è facile, sei sottoposto ad uno shock culturale, porti con te una nostalgia che non ti abbandona, e anche se ti ambienti nel migliore dei modi, ti senti sempre tolto dalla tua terra. Occorre una mentalità adattativa per vivere a New York, ma se riesci a superare quella fase, è un posto che può darti tanto. New York è la patria della ristorazione, un vero e proprio melting pot di cucine di tutto il mondo”.

Il suo primo ristorante, lo ha aperto ormai dieci anni fa a White Plains, la seconda Contea più ricca dello Stato di New York: una cittadina di circa 70.000 abitanti, dove Alessandro vive da tempo insieme ad Annamaria e alla loro figlioletta Serena Pia. Qui hanno sede numerosi punti vendita e magazzini di grandi marchi famosi, e il suo ristorante “La Bocca”, con il logo raffigurante la testa di fauno, conosciuto da tutti come “Bocca della verità” (quella murata a Roma nella parete della chiesa di Santa Maria in Cosmedin) offre agli avventori una solida cucina tipica della tradizione e della memoria, rielaborata con guizzi creativi, senza però tralasciare sapori e tradizioni calabresi e la fondamentale “semplicità” di questa tavola antica.

Siamo nella terra del fast food, anche se ultimamente ci sono varie start-up nel food and beverage che qui chiamano “farm to table”, dalla fattoria alla tavola, la nuova frontiera del chilometro zero. Si tratta di ristoranti che si riforniscono da produttori locali, alcuni perfino provvisti di un orto, ma si tratta di un lusso per pochi. Un pranzo può costare dai 300 ai 400 dollari a persona… Un discorso esclusivo, in netto contrasto con la filosofia dello slowfood, che io condivido e apprezzo, secondo cui il cibo deve essere per tutti, così come l’acqua, altro grande problema qui a New York…

“Papì”, uno dei ristoranti-pinseria
più apprezzati di New York

Ma la vera scommessa giocata da Crocco è stata l’apertura di un locale un mese prima che scoppiasse la pandemia da Covid-19. Un’avventura che probabilmente in un altro luogo si sarebbe spenta da lì a poco, Ma non a White Plains… Un progetto ambizioso, il “Papì, Pasta e Pinsa” che cavalca la vivace ricchezza della cucina italiana, con la pasta fresca fatta a mano da cuocere in pochi minuti per soddisfare in un lampo la necessità di chi lavora e vive molte ore fuori casa, e vuole consumare pasti veloci ma sani.

Spaghetti, tortellini, penne, ravioli, vengono qui abbinati a scelta dai clienti che possono creare il proprio piatto aggiungendo alimenti proteici animali o vegetali. Oltre la pasta, viene proposta la “pinsa” romana, realizzata secondo l’antica ricetta, con un mix di farine di frumento, riso e soia, e una lunga lievitazione: ben 80 ore, restando croccante fuori e morbida dentro. Sono 180 le pinserie certificate nel mondo, se ne trovano solo 6 negli States, con “Papì” che è una di queste poche. I prezzi sono contenuti rispetto alla media di altri ristoranti e il target cui ci si rivolge è soprattutto quello dei giovani, un segmento di popolazione ultimamente molto attratto dalle cucine orientali e sudamericane, colorate e speziate. L’idea di Alessandro è di far recuperare l’interesse verso la cucina italiana, di insegnare che il gusto non sta nelle lavorazioni complesse ed elaborate, e che un piatto ben calibrato, fatto di carboidrati e proteine, di ingredienti naturali, è altamente salutare, così come ricorda la nostra dieta mediterranea.

“È stato un banco di prova – precisa Crocco – abbiamo lavorato anche in pandemia, chiudendo positivamente sia il 2020 che il 2021, e posso dire che la proiezione di quest’anno vede un segno positivo al 30%”.

I locali di Alessandro Crocco con il marchio “Ospitalità Italiana”

Gli impegni, per Alessandro, non finiscono neppure qui, perché al ruolo di imprenditore nella ristorazione e nell’importazione di vini, affianca quello di Presidente dei Comites “Tri-States”, i Comitati degli Italiani all’Estero di New York, New Jersey e Connecticut: organismi nati per rappresentare le esigenze degli italiani residenti all’estero.

“Sono stato il candidato più votato in tutti gli Stati Uniti, e mi hanno eletto presidente. Così ho aggiunto altro impegno alla mia vita, già piena di suo… Con Alessandro e un team di persone alla prima esperienza, lavoriamo con una gran voglia di metterci al servizio della comunità italiana. La sfida, per i prossimi cinque anni, è contribuire a preservare la cultura e le radici italiane che si vanno perdendo”.

I nostri connazionali si sono via via molto americanizzati, e l’interesse del giovane presidente Crocco (ha appena 35 anni!) e del suo team, è perciò quello di rivalutare le qualità italiane attraverso proposte culturali, gastronomiche, artistiche. La bellezza del nostro Bel Paese va preservata, e può alimentare un turismo di ritorno, di radici, di opportunità di investimento, magari anche per ripopolare i piccoli borghi della provincia italiana.

Le nuove generazioni che si sono formate negli Stati Uniti, in larga misura non parlano l’italiano o vi riescono a stento, e si sentono pienamente americane anche se con genitori e nonni italiani. Fra loro, sono pochi quelli tornati a vedere l’Italia, e in genere ne hanno un’idea statica, fuorviante, come nulla fosse lì cambiato dai tempi dei bisnonni a fine ‘800. Ecco, perciò, la necessità di fornire loro un’idea nuova, moderna, di Italia, con uno storytelling fatto di condivisione di esperienze e valori comuni della cultura, che sostengano la veridicità della storia del nostro Paese, la giusta e consona sfera emozionale e memoriale.

Alessandro Crocco, con
Monsignor Franco Hilary,
attachè della Santa sede
presso l’Onu

“Vorrei fare qualcosa di più per la mia Calabria – sottolinea convintamente Alessandro – e anche in questo è necessario un cambio di passo”. Ha molti sogni, lavora sodo, ha fiuto e un grande cuore che mette a disposizione di attività no profit, a cominciare da quella più importante e prestigiosa: la gestione del settore dell’Arcidiocesi di New York per l’”Obolo del Cardinale”, ovvero il contributo spontaneo dei fedeli della Chiesa cattolica che viene organizzato annualmente per essere destinato ai bisognosi della città; agli innumerevoli senzatetto; a persone che hanno sofferto economicamente a causa della pandemia; ad organismi come la Caritas con cui collabora strettamente. Il suo ufficio nell’Arcidiocesi newyorkese è composto da 22 persone che si occupano del fundraising: lo scorso anno ha raccolto ben 21 milioni di dollari, puntualmente spesi in opere di carità.

“Mi sono reso conto che i ricchi americani destinano una parte significativa della loro fortuna personale alla beneficenza, non solo perché è possibile ottenere sgravi fiscali anche molto significativi, ma perché esiste un aspetto molto bello della loro cultura, per cui donare è un piacere, una gioia, un atto nobile e fraterno, ovvero un modo per ‘restituire’ alla comunità, a chi è stato meno fortunato, qualcosa della propria fortuna. Un donatore quest’anno mi ha staccato un assegno di 2 milioni di dollari, e non è stato un atto ‘per ripulirsi la coscienza’, ma una cosa molto sentita. La donazione qui è una buona abitudine sociale. Poi, chi è cattolico, consapevole che non tutto dipende dalle proprie capacità, ma anche dalla fortuna e dalla Provvidenza, ritiene che se Dio è stato così benevolo nel concedergli tanto, bisogna essere altrettanto caritatevoli verso gli altri. In Calabria, c’è un detto: “u piducchio che saglie in gloria, perde ogni memoria”. In America, pare non sia così…”.

All rights reserved (Riproduzione riservata) – Foto Archivio personale Alessandro Crocco