29 Ago Addio Bepi Nava, giornalista-gentiluomo con la Calabria nel cuore
Un ricordo personale dello storico capoufficio stampa della Rai, famiglia originaria di Vibo Valentia, con la sua preziosa testimonianza scritta per il libro “Un’altra Calabria”
di Roberto Messina
Ho avuto il piacere, e pure quello che una volta si diceva l’onore, di aver conosciuto, e poi esser diventato amico di Bepi Nava, lo storico capoufficio stampa della Rai (dal 1995 al 2010, e prima impegnato sempre lì, in altri ruoli, per un totale di oltre 40 anni di attività) che ci ha purtroppo lasciati lunedì scorso, professionista di assoluta serietà e autorevolezza, ma anche anima nobile, persona pacata e disponibile come pochi della sua caratura e del suo livello.
Venuto a conoscenza delle sue salde origini calabresi (era nato a Roma da famiglia di Vibo Valentia dove ha trascorso una parte degli anni giovanili) mi sono fatto avanti, sul finire degli anni ’90, per ottenere un incontro romano, prontamente concessomi nel suo strategico ufficio di viale Mazzini, ai piani alti del palazzo di vetro costruito nel ‘67 su progetto di Berarducci, con davanti il grande cavallo di Francesco Messina. La mia richiesta, un suo prezioso scritto\testimonianza da accludere al libro “Un’altra Calabria”, edito da Rubbettino, ideato e curato per la Camera di Commercio di Catanzaro, con i saluti introduttivi dell’allora presidente Alfonso Muleo e del segretario generale Raffaele De Franco Paladini, altri due galantuomini al timone dell’Ente.
Da quel momento, con Nava è nata una preziosa amicizia, rinsaldatasi nel tempo, con la “parentesi” meravigliosa e indimenticabile che ho qui la gioia di ricordare: la sua entusiasta presenza\moderazione a Parigi (assieme all’allora caporedattore di Radio Rai, calabrese anche lui, il compianto Antonio Jacona) nientemeno che al celebre “Lido”, sugli Champs Elysees, per la presentazione di questo volume organizzata con un pubblico d’eccezione dall’Ente catanzarese in trasferta nella capitale di Francia per il Salon Nautique International, nell’ormai lontano dicembre 1997.
La comune matrice regionale (come mi auguravo, e com’è stato) ha fatto tra di noi da forte collante, da spinta iniziale, e poi da liaison affettiva, identitaria e “radicale” già al primo incontro. E quando si è poi trattato di “dire la sua” sulle pagine di questo libro, ribadendo in ciò il forte legame territoriale; e poi, di presenziare personalmente, accompagnato dalla gentile moglie Patrizia cui va il mio più sentito cordoglio, alla prima “uscita” estera del volume nella sfavillante ville lumière, come ogni Natale eccezionalmente e festosamente addobbata, Bepi (come veniva chiamato da tutti, e come a lui piaceva, invece che con l’anagrafico Giuseppe) non si è fatto pregare, aderendo ad entrambe le occasioni con esplicito ardore, sintonia e simpatia.
Nel suo scritto per il libro, che commosso sono andato a rileggere, Nava parla della Calabria come la sua terra di origine: “è la mia patria – dice – anche se sono nato a Roma. I miei genitori erano calabresi, e non è solo per loro che trovo in me un legame profondo con la regione. Credo che ci sia qualcosa in più, qualcosa che senti vibrare dentro di te quando sull’autostrada vedi il cartello con scritto ‘Calabria’, e quel qualcosa che provi sentendo coloro che ne parlano male e che per reazione ti portano a sentirti sempre di più calabrese”.
Poi ricorda una sorta di “rito di iniziazione” familiare, quando, come in preda ad un raptus, in un assolato pomeriggio d’estate ha fatto calpestare bene il suolo e sporcarsi le scarpe con la terra della campagna vibonese, ai suoi figli Irene e Tommaso, allora di otto e quattro anni: “Una sorta di cerimonia – racconta – che è rimasta dentro di loro, da quando quella volta ho spiegato che lì sotto c’erano le loro radici, perché quella era la loro terra d’origine”.
Bepi Nava dice delle tante potenzialità inespresse della regione: “che sono vive e aspettano solo un segnale per venire fuori, per poter trasformare quella che sembra una Cenerentola in una Principessa. Per far questo, perché questo avvenga, manca la Fata, che però deve essere cercata lontano, non nello Stato né nelle Istituzioni, bensì tra i tanti calabresi sparsi nel mondo. Non si tratta di fare miracoli o di ricoprire di soldi la regione: basta fare come fa la Fata di Cenerentola, che ha preso cose di tutti i giorni e le ha trasformate in ricchezze. Ci vuole fantasia e creatività, ci vogliono consigli disinteressati, l’indicazione di qualche porta giusta, ma anche gli ammonimenti di chi ha dovuto imparare ‘quanto sa di sale lo pane altrui’. Per unire tutto questo, ci vuole qualcosa in grado di avvicinare i calabresi della Calabria con i calabresi nel mondo, e questo sforzo c’è in questo libro di Roberto Messina al quale mi onoro di aver preso parte. La strada è dunque aperta, vediamo di percorrerla tutti insieme, ma vi avverto subito che, vestito da Fata, non sto molto bene, perché ho i baffi…”.
Di Bepi Nava tutti ricordano il garbo, la serietà, l’attaccamento al lavoro, il rapporto stretto con la “sua” Rai, intesa come azienda di servizio pubblico, dove ha ricoperto senza alcun tentennamento, e con unanime apprezzamento, uno dei ruoli più delicati. E poi, la sua “resilienza”: la capacità di affrontare e dirimere ogni questione con un grande aplomb e un’evidente sicurezza, accompagnata sovente da un sorriso sornione capace, quando era il caso, di celare i suoi disappunti aiutato in ciò da baffi, occhiali e sigaro toscano tenuto perennemente tra le labbra. Una sicurezza evidentemente derivata dalla sua preparazione e dalla profonda conoscenza del mestiere e delle complesse dinamiche interne ed esterne alla Rai. Come ha dichiarato Barbara Scaramucci, altra importante figura Rai, già direttore dei telegiornali regionali, lui, Bepi, era la Rai: “era il servizio pubblico, come dovrebbe essere, inclusivo, onesto, autorevole, credibile, che riconosce il suo editore in ogni utente che paga il canone.” Ed è quanto.
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