A Fiumefreddo Bruzio (Cs) la prima “Associazione Alimurgica d’Italia”

Per iniziativa di Giacinto De Rosario e di un gruppo di entusiasti, il via al sodalizio che si propone di far conoscere storia, specificità e impiego in cucina, delle erbe spontanee, grande patrimonio della biodiversità calabra ancora da esplorare 

di Roberto Messina

Alleluia, Alleluia! Quindi è nata… La prima “Associazione Alimurgica d’Italia”, apre felicemente i battenti, e con belle prospettive, in quel meraviglioso borgo di Fiumefreddo Bruzio (Cs), con sede nel prestigioso home restaurant di Vico Granatello del prof. Raffaele Leuzzi. Auguri e lunga vita!

Giacinto De Rosario (ph R. Messina)

Il progetto ha come principale protagonista il cuoco alimurgico Giacinto De Rosario, guru del campo, che lo aveva in mente da tempo e che ogni volta lo procrastinava, ma che gli amici stavolta pressandolo in virtù dell’importanza e dell’urgenza (complice anche la pandemia) della cosa, lo hanno “costretto” a definirla.

Crotonese, grande conoscitore e appassionato divulgatore di “tutto quello che si può mangiare, quando nulla resta da mangiare”, prendendo quanto offre il mondo vegetale spontaneo e selvatico, è tra i pochi a conoscere e volersi impegnare attivamente e caparbiamente nel rivelare il tesoro verde ancora sconosciuto, e però diffuso a piene mani in particolare in Calabria. Oltre a cucinare, De Rosario è impegnato in un gran lavoro di divulgazione in tv, in radio e in eventi in giro per l’Italia: tutto per la valorizzazione dell’Alimurgia ed in particolare del patrimonio botanico e culturale calabrese. Poi, altrettanto seriamente, nell’organizzazione di una rete di “cuochi per la terra” e del “manifesto” ad essa associato. Quindi, da poco, presidente della neonata, e come si diceva, prima Associazione Alimurgica d’Italia, con sede a Fiumefreddo Bruzio (Cs) dalla cui attività c’è da attendersi, e non abbiamo dubbi, tante belle sorprese. Infine, è autore di un bel libro sull’argomento, in corso d’opera, tutto dedicato a raccontare e riscoprire prodotti della terra bistrattati, che invece regalano profumi e sapori d’altri tempi, e che oggi tornano prepotentemente alla ribalta, considerando pure che a fine Ottocento il pasto di noi altri Europei era mediamente composto da un buon 70-80% di prodotti selvatici.

L’arbusto del corbezzolo con fiori e frutti

“Mi piace il suono… – dichiara De Rosario -. ‘Prima Associazione Alimurgica d’Italia’. Non so per voi, ma per me evoca gli alti silenzi dei prati e dei boschi, delle coste dove abitano e vivono le mie erbe. Erbe, erbacce, erba selvatica, erbe infestanti, erbe spontanee…”.

I nomi narrano, raccontano ai molti il valore, l’essere, il significato. Alimurgia, il termine è nato dalla penna e dalle osservazioni di Targioni-Tozzetti nel lontano 1767, uno scienziato che voleva spiegare al mondo come la cultura popolare possedesse grandi conoscenze sull’arte di sopravvivere alle carestie, del cibarsi di erbe non coltivate, spontanee appunto. Toccò a lui sistematizzare queste amiche vegetali, regalando al mondo un altro modo di chiamarle, da lì e per sempre: Alimurgiche, appunto.

“Ci occorreva poi, dare un logo, un segno grafico, per questa nostra nuova entità – spiega De Rosario -. Esplicita, ma nello stesso tempo evocativa. Ed ecco i ricordi che non muoiono mai, quelli d’infanzia, venir su leggeri dalle scuole Elementari, con il mio unico maestro (maschio), con la sua ispirata voce nell’Ode al Corbezzolo (arbutus unedo) di Giovanni Pascoli. ‘I bianchi fiori metti quando rosse; hai già le bacche e ricominci eterno; quasi per gli altri ma per te non fosse; l’ozio del verno; p verde albero Italico…’. Nelle passioni risorgimentali, il Pascoli dà dell’Italico al Corbezzolo, albero (arbusto) che porta d’inverno sui suoi rami i tre nostri colori nazionali: verde nelle foglie, bianco dei fiori, rosso nei frutti. Ecco il nostro simbolo”.

La farfalla “Ninfa del corbezzolo”

Ma ancora non bastava. Un segno ancora più forte, ci voleva, che parlasse di territorio, ambiente, ecologia (che abusata parola!). Un elemento vitale. Ed allora, ecco la ninfa del Corbezzolo, una farfalla simbiotica con la pianta. Che si nutre della sua dolcezza. Che sugge veramente il frutto del corbezzolo quando è in fermentazione, e cioè si ubriaca! Bella, la Ninfea del corbezzolo, una grande farfalla, la più grande forse, che vive in Italia.

Il logo è fatto. E l’Alimurgia? Cosa c’entra col Corbezzolo? Se l’Alimurgia è la scienza che insegna a riconoscere per la nostra alimentazione estrema (non vi è nulla da mangiare) ciò che ci offre spontaneamente la natura (nella sua stagionalità), allora i frutti del corbezzolo, a pieno titolo sono Alimurgici.

Nella cultura popolare il Corbezzolo viene trattato in vari modi. Conservato sotto spirito. In marmellate. Il suo miele combatte il raffreddore ed è molto ricercato. Nel Centro Italia in alcuni paesini il 28 dicembre si va per boschi alla ricerca delle bacche più mature, come per le antiche “Dionisiache”. In Sardegna i suoi rami, chiamati “Su Pilisu”, venivano usati per rompere la cagliata. Con le foglie, che contengono tannino, in passato si conciavano le pelli. Se ne poi fa un decotto diuretico ed astringente. I frutti sono antidiarroici. Il suo carbone ha lunghissima durata. E’ poi, ancora, simbolo di ospitalità, messo sugli usci, dà il benvenuto.

Racconta ancora il dottissimo De Rosario: “Ovidio narra che La Ninfa Carna, che viveva nella vicina Alerno, non lontana dal Tevere, era gelosa della sua integrità. Ma Giano il dio bifronte se ne invaghì. E dopo una serrata corte, la fece cedere. Per risarcirla della perduta integrità, gli diede in dono poteri divini e cioè, di allontanare le influenze nefaste (gli spiriti maligni). Un dì le Strigi (specie di uccelli dal corpo femmineo) attentarono alla vita di Proca, ancora lattante ed erede al trono di Alba Longa. La nutrice disperata invocò l’aiuto di Carna, che accorse toccando per tre volte la porta con rami di Corbezzolo, e spargendo acqua magica, allontanò le Strigi. Ecco perché si pensa che il corbezzolo respinga le streghe la notte di San Giovanni. Ed è così che a Roma alle calende di giugno, il primo del mese si festeggia la CARNARIA. Alla Dea veniva offerta una zuppa di Fave fresche e lardo”.

La speranza di Giacinto De Rosario è che adesso questo modesto arbusto (che vive pure nei giardini del Quirinale, sotto l’ombra di più paludati alberi) protegga dall’alto le buone decisioni della politica, che combatta i malefici come per millenni ha fatto per noi tutti, e che dia fortuna e prosperità alla prima “Associazione Alimurgica d’Italia…” (come suona bene!).

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